San Giuseppe da Copertino (18 Settembre)
Giuseppe Maria nasce in una stalla da Franceschina Panaca, futura terziaria francescana, e Felice Desa, custode del castello dei duchi di Acerenza e marchesi di Copertino, oggi comune di 23.000 anime in provincia di Lecce. Il doppio nome, il luogo in cui nacque (elementi probabilmente concatenati fra loro) e i nomi dei genitori, furono già segni premonitori di quanto lo aspettava. Battezzato il 17 giugno 1603 e cresciuto col soprannome di “boccaperta” (dopo che si era incantato al suono di un organo), conobbe un percorso scolastico alquanto tortuoso: un’infiammazione, o forse un tumore ad una natica – dal quale guarì miracolosamente dopo l’unzione con una lampada votiva al santuario di Galatone – , lo costrinsero a letto per cinque lunghi anni. Lo studio non faceva decisamente per lui, che tra l’altro sognava fin da bambino di consacrarsi a Dio.. ma i Minori Conventuali, tra i quali tre suoi zii, respinsero ogni richiesta di entrare nell’ordine.
Cosa decise di fare, allora, della sua vita?
Non si dette per vinto, provando ad entrare in altri conventi, ma senza fortuna, fino a che la morte di Felice, fallito sul lavoro perché troppo generoso (facendosi garante di persone poco fidate), gli lasciava “in eredità” il carcere che spettava al padre. Datosi alla macchia per mesi, fu soccorso dai già citati zii che lo fecero terziario francescano, condizione che gli dava l’immunità dal carcere. A 22 anni fu quindi ammesso tra i frati che emettono i voti senza aspirare a diventar prete, ma, fortunatamente per lui – e per noi! – le cose cambiarono. Il 3 gennaio 1627 gli furono conferiti gli allora ordini minori (rivisitati dopo il Concilio Vaticano II), ovvero ostiariato, lettorato, esorcistato e accolitato, mentre circa un mese dopo ricevette il suddiaconato (altro step soppresso col Concilio). Nel mese di marzo avrebbe dovuto ricevere il diaconato, ma per accedervi era necessario un esame, consistente nella spiegazione di un brano dell’Evangeliario, il libro liturgico riservato ai Vangeli, appunto. Giuseppe, a causa delle sue carenze nella lingua latina, tremava alla sola idea, così si affidò alla Vergine del santuario della Grottella, scegliendo di concentrarsi su un unico brano del Vangelo, quello più corto. Quando il vescovo esaminatore aprì “a caso” l’Evangeliario, ecco proprio quel brano!
Quando si dice, “la buona sorte”..
Non proprio, o non del tutto, per alcuni infatti si trattò di una soffiata fatta da un amico del vescovo. Sia come sia, per il futuro san Giuseppe si trattò di un miracolo, e noi lo crediamo con lui! Non fu tra l’altro l’unica “botta di fortuna”: se è vero che gli esami nella vita non finiscono mai, eccone un altro e ben più difficile, quello in vista del presbiterato, per il quale doveva essere esaminato da un certo Giambattista Dei. Ma diamo la parola a Gustavo Parisciani, uno dei suoi biografi: «Vescovo da un anno.. aveva ritardato l’emissione della bolla di nomina che gli dava la potestà di conferire gli ordini sacri.. Fece sospendere gli esami.. (e) prese la decisione di procedere ugualmente all’ordinazione (illecita ma valida) per chiederne poi perdono e condono alla Sacra Penitenzieria. Fra Giuseppe, che era in fila tra gli ultimi, ebbe così abbonato questo esame. Gli fu conferito il sacerdozio il giorno dopo, 18 marzo 1628». Fortuna? Miracolo? Chiamiamola divina attenzione, quella che lo farà diventare tra l’altro protettore degli studenti, patronato abbastanza recente.
E se qualcuno fosse tentato di rivolgersi a lui senza aver studiato?
È l’aspetto per cui tale “devozione” è stata spesso criticata, per certi aspetti anche giustamente, se ad affidarsi a Giuseppe è chi non ha studiato! “Aiutati che il ciel ti aiuta”, recita l’adagio popolare, nel nostro caso: “Studia che san Giuseppe ti aiuterà”. Ma questa caratteristica del santo è frutto dell’ultimo secolo, dato che per duecento anni è stato venerato per le sue estati, le innumerevoli e spettacolari levitazioni, per il suo amore all’Eucaristia e la sua cieca obbedienza. Fu proprio a Napoli, dove Giuseppe venne processato dal tribunale dell’Inquisizione, che prese piede tale “devozione”, a cominciare da un gruppetto di studenti che frequentavano i Minori Conventuali, per poi essere portata avanti dal prete francese La-Fontaine, che redasse una novena per superare gli esami, fino a che, nel 1900, questa pratica valicò le Alpi raggiungendo Osimo, dove la novena fu tradotta in italiano.
Cosa c’entra il comune marchigiano con il santo di Copertino?
Dopo l’ordinazione presbiterale Giuseppe fu trasferito numerose volte nei conventi più disparati, e questo a causa dei miracoli che compiva, partendo dalle continue levitazioni, a partire dal 4 ottobre 1630, giorno della memoria del Poverello d’Assisi, celebrazione durante la quale si sollevò da terra fino a raggiungere il pulpito, sotto gli occhi di una folla incredula. «Le estasi – è ancora il Parisciani a parlare – divennero di giorno in giorno più frequenti. Bastava un ragionamento spirituale o il solo nome di Gesù e di Maria perché restasse inerte o cadesse a terra come un cadavere.. Anche gli episodi di sollevamento da terra durante la Messa divennero quotidiani». Ma non è tutto, la sua vita intera ebbe infatti del prodigioso: come a Francesco, a Giuseppe obbedivano gli animali; era capace di scrutare i cuori; gli si dilatarono le costole come a san Filippo Neri; vedeva cose che accadevano in estrema lontananza; aveva i doni della bilocazione e della preveggenza (prevedendo ad esempio la morte di papa Innocenzo X e la propria: «Haec requies mea!», “Questo è il mio riposo!”, disse appena giunto ad Osimo); guariva dalle infermità e, soprattutto, aveva il dono della scienza infusa.. lui, che era chiamato “fratel asino”, si trasformava all’occorrenza nel migliore dei teologi! Tutti episodi che lo resero a tratti un “fenomeno da baraccone”: non solo tornava spesso in convento con la tonaca a brandelli, fuggito dalla folla che pretendeva da lui una sua reliquia seppur ancora vivo (!) ma, ovunque si trovasse, quel luogo diventava socialmente ingestibile. Lui stesso supplicò più volte i suoi superiori di non farlo uscire dalla cella, ma non bastava..
Come fu valutato tutto ciò dalla Chiesa gerarchica?
Inizialmente si volle capire: partito da Copertino il 21 ottobre 1638 raggiunse Napoli per essere esaminato, e poi dalla Campania ad Assisi (una delle mete da lui sognate, assieme a Loreto), dove rimase quattordici anni, per poi trascorrerne quattro a Fossombrone, quindi ad Osimo, dove dimorò gli ultimi sei prima della dipartita celeste. Ma il suo vero cavallo di battaglia fu la sottomissione fiduciosa.. «L’obbedienza è un coltello che uccide la volontà sacrificandola a Dio», «è la carrozza che conduce in paradiso», «è l’esorcismo più efficace», ripeteva spesso lasciandosi plasmare dalla Grazia: «Dopo il peccato (originale) – afferma sempre il biografo Parisciani – l’uomo possiede i tesori della grazia come in una miniera. Occorrerà lavorare per estrarli e farsi lavorare dalla volontà di Dio per arrivare al capolavoro: diventare Cristo crocifisso. “Come nelle monete – disse prima di lui Giuseppe –, per mettere l’impronta del principe, c’è bisogno di martellate, così Gesù Cristo dona la sua impronta ai suoi servi per via di martellate di varie tribolazioni». Parole, queste ultime, che oggi ci fanno storcere il naso, ma vanno contestualizzate nell’epoca storico, culturale e religiosa del tempo. La sua ultima tribolazione giunse martedì 18 settembre 1663, poco prima della mezzanotte quando, illuminatoglisi il volto, salutò questa terra con un lungo sorriso. Aveva sessant’anni.
Da quel momento, non è difficile da ipotizzare, Osimo divenne mèta di pellegrinaggi..
Proprio così, immediatamente, a partire dal decesso: «Dall’alba del 19.. il corpo dovette esser difeso da una palizzata di travi e tavole e vigilato a turno da otto canonici, otto cavalieri e otto religiosi, per timore che si forzasse la difesa e si facesse incetta di reliquie». Come pure, dalla sepoltura in poi, si diffusero miracoli per mano sua, così nel 1735 fu dichiarato venerabile, nel 1753 beato e il 16 luglio 1767, anniversario della canonizzazione di Francesco d’Assisi, santo.
«Grazie, Giuseppe, per come hai vissuto e per il bene che hai fatto. Ricordaci, come già facesti a fra Ginepro, che “Chi fa ben sol per paura, non fa niente e poco dura.. Chi fa ben per parer buono, non acquista altro che suono.. Chi fa ben per puro amore, dona a Dio l’anima e il core..”».
Recita
Vittoria Salvatori, Cristian Messina
Musica di sottofondo
Libreria suoni da Logic Pro