San Martino di Tours (11 novembre)
«(Egli) previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Avvertì quindi i fratelli che ben presto avrebbe cessato di vivere. Nel frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d’accordo tra loro e (lui).. non ricusò di mettersi in viaggio per una così nobile causa.. Si trattenne quindi.. finché la pace non fu ristabilita. Ma quando già pensava di far ritorno al monastero, sentì improvvisamente che le forze del corpo lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli, li avvertì della morte ormai imminente..».
Chi è che sta morendo, di chi si tratta?
Di Martino, uno dei santi più conosciuti, morto l’8 novembre del 397, ma celebrato liturgicamente l’11, giorno della sua sepoltura. Le sue ultime parole furono: «Lasciate, fratelli, che io guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino." Detto questo si accorse che il diavolo gli stava vicino. Gli disse allora: “Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie”. Nel dire queste parole rese la sua anima a Dio. Martino sale felicemente verso Abramo.. povero e umile entra ricco in paradiso».
Chi ci ha narrato il suo trapasso?
Il suo più celebre biografo, nonché discepolo, Sulpicio Severo (360-420), che ci ha fatto conoscere questa meravigliosa figura attraverso alcune opere: Vita di san Martino (apparsa pochi mesi dopo la sua morte), tre Lettere (indirizzate ad amici e ammiratori di Martino), i Dialoghi (nei quali Sulpicio confronta Martino con alcuni monaci egiziani) e le Cronache (che narrano la lotta del vescovo di Tours contro le eresie diffuse in Gallia in quel periodo). Altre notizie ci sono state affidate da san Paolino da Nola, anch’egli discepolo di Martino e amico di Sulpicio, e da san Gregorio di Tours, successore nell’episcopato (573-594) del festeggiato di oggi.
Cosa ci tramandano di lui tutte queste fonti, cosa sappiamo?
Nato nel 316 nella provincia romana di Pannonia, nell’odierna Ungheria, dato che il padre era un militare assegnato a quella zona, desidera già da bambino di farsi cristiano. Costretto tuttavia a seguire la carriera del papà – una legge imperiale prevedeva che i figli prestassero lo stesso servizio del padre –, tra i 15 e i 18 anni si trova alle porte della città di Amiens, quando nota un povero infreddolito.. decide allora di tagliare in due, con la spada, il suo mantello militare per coprirlo. A seguito di questa scena, chiamata “la carità di san Martino”, tra i soggetti religiosi più rappresentati in campo artistico, la notte stessa gli appare Gesù, vestito con la metà del mantello da lui donato al povero. Decide allora di abbandonare le armi e di farsi battezzare. Si reca prima dal vescovo Ilario di Poitiers, suo maestro, quindi nuovamente in Pannonia per convertire i genitori. La madre sarà battezzata nel 357.
Cos’altro fece in seguito?
Tornato in Francia fondò un monastero a Ligugè, primo nucleo del monachesimo occidentale, anticipando così san Benedetto, pur ritenutone il padre. Ordinato prima presbitero e quindi vescovo di Tours, fa dell’evangelizzazione alle popolazioni rurali la sua principale occupazione. La sua fama travalica i confini d’oltralpe, tanto che la basilica inferiore di Assisi, che custodisce il corpo del santo forse più venerato della cristianità, Francesco, dà enorme spazio artistico alla figura di Martino! Ma tale fama è soprattutto testimoniata dalle oltre 4.000 chiese a lui dedicate in Francia e dagli oltre 500 villaggi che portano il suo nome (senza contare il fatto che Martin è il cognome più diffuso tra i transalpini), e giunge a noi anche attraverso il vocabolario.
In che senso?
La metà del suo celebre mantello, tolte le numerose frange sparse qua e là poiché considerate preziose reliquie, fu custodita in una cappella, il cui nome deriva proprio dal diminutivo cappa, “mantello”. Il custode di questo luogo venne quindi chiamato cappellano.
«Insegnaci, Martino, a dividere i nostri “mantelli” con chi incontriamo ogni giorno, sicuri che tale gesto sia la più preziosa reliquia da custodire in questo nostro pellegrinaggio terreno».
Recita
Stefano Rocchetta, Cristian Messina
Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri