Charles de Foucauld (1.Dicembre)
«Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per Lui.. Ho perso la testa e il cuore per questo Gesù di Nazareth.. e vorrei passare la mia vita nel cercare di imitarlo per quanto posso nella mia debolezza».
Di chi sono queste intense espressioni da innamorato?
Del santo che la Chiesa festeggia oggi, Charles de Foucauld, italianizzato talvolta in Carlo di Gesù, la cui vita è nettamente divisa da due date: se i primi ventotto anni si svolgono a Strasburgo, dove nasce il 15 settembre 1858, gli altri trenta cominciano con la sua conversione, avvenuta il 28 ottobre 1886 nella parrocchia parigina di sant’Agostino, durante il confronto col teologo Huveline, che gli chiarirà i suoi dubbi di fede e lo farà riconciliare sacramentalmente con quel Dio da cui si era allontanato. «Dall’età di 15 o 16 anni – scrive in una lettera del 1892 – Ero nel dubbio totale, lontano soprattutto dalla fede cattolica di cui alcuni dogmi, secondo me, offendevano profondamente la ragione». Da quel momento decise di farsi trappista, ovvero benedettino cistercense di stretta osservanza, prendendo il nome di Marie-Alberic e facendosi trasferire nella trappa più austera, quella siriana di Akbès. Ma una seconda conversione lo attendeva: quando scoprirà nel sacramento dell’altro, di ogni altro, il manifestarsi di quel Gesù che adorava nell’Eucaristia, tanto da rinunciare a quest’ultimo per incontrarlo più pienamente nel primo.
Come arrivò a percorrere un tale cammino?
Facciamo un passo indietro.. a sei anni un dramma lo segna: la morte dei genitori, prima della madre Elisabeth, nel marzo 1864, poi quella del padre (che si trovava in un ospedale psichiatrico) nell’agosto dello stesso anno. Non solo, in ottobre gli morì davanti agli occhi la nonna! Non gli restò che il nonno Charles, colonnello che portava il suo stesso nome, che però aveva ereditato dal fratello nato un anno prima di lui, ma subito morto, facendone in tal modo uno dei tanti “figli sostituti”. Sarà il nonno, dunque, a prendersi cura del bambino e della sorellina, più piccola di tre anni. Ad ogni modo durante la sua durissima adolescenza perderà la fede e, forse per combattere contro la “noia di vivere”, si darà al piacere e al disordine più sfrenato. Nel 1872 riceve la prima comunione e la cresima. Quanto alla sua formazione, prima studia a Nancy, poi a Parigi, dai gesuiti di Saint Geneviève. Nel 1890 si arruola nell’esercito e raggiunge l’Algeria, ma dopo pochi mesi viene congedato perché rifiuta di lasciare Mimi, la ragazza con cui ha una relazione abbastanza “libertina”. Lasciatala, viene reintegrato. Quindi abbandona l’esercito per una rischiosa esplorazione del Marocco – dopo la quale inizierà uno dei più avvincenti cammini spirituali «della storia, tanto da mutare – scrive il monaco benedettino Michael Davide Semeraro, uno dei suoi biografi – , in modo profondo e irreversibile, l’orizzonte della spiritualità in genere e della vita monastica e religiosa in particolare». Cammino che inizialmente non fu facile da intraprendere: «Il mio più grande sacrificio è stata la separazione dalla mia famiglia. – scrive – Una volta alla trappa, ho sofferto molto.. il pensiero della mia famiglia mi torturava». Ma ad un certo punto del suo cammino il dolore per la distanza si trasformerà in amore per il contatto, quello con diversi musulmani molto religiosi, fatto che farà nascere in lui la domanda cruciale: esiste dunque un Dio?
Non certo una domanda fra le tante.. come vi rispose?
«Più si dà al Signore e più egli rende. – scrive nel novembre 1897 – Ho creduto di dare tutto lasciando il mondo ed entrando nella trappa: ho ricevuto più che non avessi donato.. Ho creduto ancora di dare tutto lasciando la trappa: sono stato colmato senza misura..». A 28 anni, infatti, dopo aver intrapreso un cammino nel tentativo di rispondere a tale domanda, incontra come detto colui che diventerà il suo padre spirituale: don Huvelin. Dopo sette anni vissuti in una trappa ne trascorre altri quattro a Nazareth, vivendo come eremita accanto ad un convento di Clarisse. In questo periodo passa ore davanti a Gesù Eucaristia e medita di continuo il Vangelo, fino a che una frase lo folgora: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così nell’agosto del 1900 abbandona definitivamente Nazareth e trascorre diversi mesi nell’abbazia di Notre Dame des Neiges in vista dell’ordinazione presbiterale, avvenuta il 9 giugno dell’anno seguente: «Il prete – scrive – è un ostensorio, suo compito è quello di mostrare Gesù. Egli deve sparire e lasciare che si veda solo Gesù..». Chiediamoci: oggi, specialmente durante le celebrazioni, è così? Lasciamo la domanda in sospeso e torniamo a lui, che parte per l’Algeria, nell’oasi sahariana di Beni Abbès, al confine col Marocco, dove dà vita a una fraternità aperta a chiunque, cristiano e non, credente e non, amico e nemico: «Voglio abituare tutti.. – precisa – a guardarmi come un fratello, il fratello universale». Dopo tre anni a Beni Abbès viene a sapere che esiste un popolo poverissimo, ma difficilmente raggiungibile, i Tuareg, così nel 1904 si rimette in cammino.. Ma i Tuareg sono molto diffidenti, tanto che solo un anno dopo riesce a rimediare un’abitazione di terra battuta in mezzo a loro. Inizia a studiarne con passione la lingua e le tradizioni, stando vicino a questi fratelli semplicemente attraverso l’amicizia di cui è capace, dato che il momento di annunciare loro il Vangelo non è ancora maturo.
Si può dire che l’incontro con l’Islam lo abbia segnato e non poco..
Proprio così, nato cristiano, infatti, riscoprì il suo battesimo – paradossalmente – a contatto con questa religione. È quando ci allontaniamo da ciò che era sotto il nostro naso, spesso, che ci rendiamo conto che tutto ciò che cercavamo era già lì, a portata di mano: bastava solo allungarla! Ma l’Islam, nel suo caso, indica la cifra dell’alterità religiosa più estrema. Mentre si trovava in Terra Santa rimase molto colpito da come i musulmani (i muslim, in arabo “sottomessi”) interrompevano ogni loro attività per cinque volte al giorno. Da questo momento in poi la sua preghiera liturgica diventerà sempre più semplice ed essenziale: trasferitosi a Nazareth per tre anni, trascorrerà ore ed ore davanti a Gesù Eucaristia. Forse non a caso è morto nel deserto del Sahara. «Proprio nel giorno in cui prendevano il via le celebrazioni del centenario (della sua morte).. – scrive il già citato Semeraro – a Parigi una serie di attentati ha rimesso in moto la paura e ci ha di nuovo resi vulnerabili al terrore, al sospetto, alla sfiducia, alla fatica.. di capirsi e di amarsi». Dopo molti anni trascorsi tra i Tuareg, Charles venne infatti preso in ostaggio da un gruppo di ribelli che con ogni probabilità non volevano ucciderlo, ma solo derubarlo (proprio a lui, che aveva fatto della povertà una scelta di vita!?).. nel panico partì un colpo di pistola che quel primo dicembre del 1916 lo farà tornare alla casa del Padre. Chissà se se l’aspettasse una fine simile, lui che amava ripetere: «Si può fare a meno di tutto tranne che di una buona morte». Mussa Ag Amastan, capo dei Tuareg e fervente musulmano, così scrive alla sorella di Charles: «Che.. possiamo ritrovarci con lui in paradiso».
Che incredibile storia di incontro, ma quanto è difficile accostarci davvero all’altro!
«L’Islam.. mi ha sedotto in una maniera smisurata», scrive l’8 luglio 1901, una religione per lui “pericolosa”: quando parte per il Sahara sa bene che «la cosa più probabile che gli possa capitare è che gli sia tagliata la testa..». Uno dei più grandi insegnamenti lasciatici è la necessità di imparare la lingua dell’altro, qualunque lingua, in senso stretto e non: quella fatta di parole come quella del non detto, degli usi e costumi e dello stile di vita, condizione necessaria per poter comunicare la Parola con la “P” maiuscola.. «Noi consideriamo ogni ospite, povero, malato che venga da noi come un essere sacro, un essere in cui Gesù vive, una cosa indicibilmente santa..». Se l’Islam fu per lui l’estremità in cui si poteva mostrare l’altro-da-lui, «Bisogna (tuttavia) essere missionari in Francia come nei Paesi infedeli – scrive nel 1914 –, e questo è compito di tutti i cristiani: sacerdoti e laici, uomini e donne».
Parole sante, la scoperta dell’altro però, sia con la a minuscola che con la maiuscola, avvenne nel deserto.. che ruolo ebbe quest’ultimo in lui?
«Il deserto – scrive il monaco trappista statunitense Thomas Merton – mette a nudo il nostro cuore.. ci spoglia anche delle imperfette immagini di Dio. Ci riduce all’essenziale e ci inchioda alla nostra vita senza possibilità di fuga». Nel suo ritiro di Beni Abbès, scriveva invece Charles, «non lasciare le novantanove pecore smarrite per restare tranquillamente nell’ovile insieme alla pecora fedele». Oggi più che mai ci viene chiesto di fare i conti con la celebre crisi di mezz’età, ovvero quella fase mediamente centrale della vita che altro non è che quella tentazione – uno dei sette vizi capitali, o meglio degli otto pensieri malvagi – che il monaco Evagrio Pontico definiva “demone del mezzogiorno”, intendendo con esso l’accidia, quel “pensiero” che puntualmente si presenta come una serie di domande: “chi me lo fa fare?”, “è questo il mio posto?”, “non sarei chiamato forse a fare altro e stare altrove?”, ecc.. Se il monaco viene tentato quotidianamente dal “demone del mezzogiorno”, ognuno di noi è tentato «nel mezzo del cammin di nostra vita», per dirla con uno degli incipit più famosi della storia della letteratura, momento in cui si è portati a rimettere in discussione tutta la propria esistenza.
Cosa fece Charles in questo momento?
«Io ti consacro tutti gli istanti di questa seconda parte della mia vita – scrive in occasione dei suoi quarant’anni – che comincia oggi e che andrà dai miei quarant’anni alla morte». Gliene resteranno ancora diciotto. La sua vita di clausura fu davvero rigorosa, eppure: «Mi son fatto una clausura morale da cui non esco: non mi reco mai a più di centro metri dall’eremo. Faccio eccezione per i malati gravemente colpiti da visitare, ma tal caso non si presenta quasi mai». La carità che lo caratterizza si manifesta infatti, come già visto e da buon monaco, nell’accoglienza dei poveri e dei viaggiatori. La sua necessità di vivere col suo Signore è sintetizzabile in ogni caso nella seguente affermazione: «Entro in ritiro la domenica di passione – scrive il 19 marzo 1899 – e vi rimarrò fino alla pentecoste.. Ho un bisogno estremo di solitudine..».
Deserto, dunque, inscindibile dalla preghiera..
«La novità e la particolarità nel cammino di fratel Carlo – è ancora Michael Davide a parlare – non è certo l’adorazione eucaristica, praticata persino in modo esagerato alla sua epoca, ma la lettura personale delle Scritture e in particolare del Vangelo, commentato per iscritto ogni mattina». «..per imparare a leggere la Parola – scrive infatti padre Amedeo Cencini, psicologo e psicoterapeuta – si deve apprendere a scrivere la lectio.. Perché è proprio lo scrivere – in generale – che aiuta a prendere coscienza dell’esperienza fatta.. (ed è) già una scrittura – prosegue – la semplice sottolineatura..». Ma come, potrebbe sobbalzare qualche purista della lettura, sottolineare non un semplice libro, ma addirittura la Bibbia?! Proprio così, anzi, a maggior ragione, dato che «la Bibbia – sono ancora parole del prete canossiano – non è un testo da biblioteca.. da conservare integro e intonso.. (ma) testo ispirato solo se ispirante; ..sacro solo se incarnato in vicende umane; è una pagina bella solo se è un campo di lavoro o di battaglia»! Tornando a Charles, «Inizio semplicemente e umilmente questa lettura della Bibbia, – annota a Nazareth il giorno dopo l’Ascensione del 1898 – col desiderio di leggerla da un capo all’altro, unicamente in vista di Dio, per meglio conoscerlo, amarlo, servirlo»: che meraviglia!
Prediligeva insomma la vita contemplativa a quella attiva..
Sostenere questo sarebbe inesatto e riduttivo. Affermazioni come quelle che seguono sembrerebbero andare in tal senso: «Amiamo e pratichiamo ogni giorno la preghiera solitaria e segreta.. colloquio a due, segreto delizioso», oppure: «Adoriamo, baciamo, amiamo, lodiamo ogni parola del nostro Diletto», ma davanti all’ingenua e ritrita dicotomia che ci presenta (apparentemente) la contrapposizione tra Marta e Maria di Betania, egli afferma: «Chi oserà dire che la vita contemplativa è più perfetta della vita attiva o viceversa, dal momento che Gesù ha condotto sia l’una che l’altra? Una cosa sola è veramente perfetta, è il fare la volontà di Dio». E aggiunge: «La più perfetta imitazione (infatti), è imitare perfettamente Gesù in uno dei tre generi di vita di cui ci ha dato l’esempio: predicazione (la sua vita pubblica, ndr), deserto (la preghiera, ndr), Nazareth (il “nascondimento” precedente la vita pubblica, ndr)». Aldilà di ciò fu senza dubbio un maestro dell’orazione: «Non esitiamo a domandare a Dio anche le cose più difficili, come la conversione dei grandi peccatori o di popoli interi: tanto più, anzi, domandiamogliene quanto più sono difficili». Quanto alla preghiera del corpo, invece, si domandava: «Qual è la posizione più ricca di amore se non quella di stare in ginocchio ai piedi di colui che si ama? ..Non facciamoci scrupoli a stare seduti alla sua presenza, come santa Maddalena, o in piedi, ma preferiamo stare in ginocchio, e ogni volta che ci è possibile, sia in ginocchio sia prostrati.. come esigono l’umiltà, la penitenza e soprattutto l’amore..».
La sua vita fu in qualche modo d’ispirazione ad altre?
Nel 1896 inizia a scrivere una regola per la futura congregazione che ha in mente, i Piccoli Fratelli, chiamati ad avere – per usare nuovamente le parole di Michael Davide – un «amore incondizionato per gli uomini.. Non.. un apostolato fatto di predicazione ma di “conversazione” attraverso.. (il) carisma del contatto.. una spiegazione esistenziale e amicale del Vangelo fatta non dal pulpito (dall’ambone, diremmo oggi.. ndr), ma attorno al tavolo della cucina, in un’atmosfera intima e colloquiale attraverso l’attitudine a conversare.. una testimonianza evangelica, il cui valore è ancora più prezioso per la sua impossibilità ad imporsi, ma solo a proporsi». Che ampio respiro ci donano tali parole! Non è forse ciò a cui ogni cristiano è chiamato, oggi più che mai? Pensiamo davvero di poterci imporre? Anacronistico, semplicemente perché non evangelico. Ma le condizioni di ammissione per coloro che volevano seguirlo erano forse troppo esigenti: «..essere pronto a lasciarsi tagliare la testa ..a morire di fame», e lui stesso se ne rende conto, tanto da rimandare Michel, l’unico postulante che ebbe il coraggio di accostarlo. Nell’agosto del ’33 vengono fondate a Montpellier le Piccole Sorelle del Sacro Cuore, un mese dopo nella basilica del Sacré-Coeur di Montmartre (dove 401 anni prima Ignazio di Loyola e altri sei compagni diedero vita al primo nucleo dei gesuiti) prendono l’abito i primi cinque Piccoli Fratelli di Gesù. Nel luglio 1956 René Voillaume fonda i Piccoli Fratelli del Vangelo, e sette anni più tardi il ramo femminile assieme a Magdaleine Hutin. Il 13 novembre 2005 Charles de Foucauld viene beatificato da Benedetto XVI; il 15 maggio 2022 la canonizzazione avviene “per mano” di papa Francesco.
Grazie Charles per il coraggio con coi hai vissuto, fino all’ultimo, nel desiderio di incontrare l’altro. Ti ringraziamo, Signore, con le sue stesse parole, rese celebri dal canto dei Gen Rosso: «Padre mio, io mi abbandono a te: fa’ di me ciò che ti piace! Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio».
Recita
Ausilia Bini, Cristian Messina
Musica di sottofondo
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