San Camillo de Lellis (14 luglio)
«Il rapporto tra il malato e la comunità cristiana affonda le radici nelle origini stesse della Chiesa e l’accompagna per tutto il corso dei due ultimi millenni. Non è facile tracciare una sintesi della lunga e complessa storia di questo rapporto che talora ha segnato in modo determinante la stessa società occidentale. Basti pensare alla nascita dell’istituzione ospedaliera dovuta all’iniziativa delle comunità cristiane e all’opera delle confraternite e in particolare all’impegno degli ordini ospedalieri. Si potrebbe dire che l’ospedale è stato un dono della fede cristiana al mondo moderno». Con le parole del vescovo Vincenzo Paglia, consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio di Roma, nonché presidente della Federazione Biblica cattolica internazionale, vogliamo introdurre il santo che celebriamo oggi.
Di chi si tratta?
Di Camillo de Lellis, che ha saputo rispondere alla sua vocazione grazie ad una semplice vescica! Nasce nel 1550 a Bucchianico, un paesino abruzzese nella provincia di Chieti, proprio nel giorno della festa patronale della parrocchia: mentre l’anziana madre (anch’essa di nome Camilla) è a Messa, ecco sopraggiungere le doglie del parto, che la costringono a correre in fretta e furia verso casa, senza però far in tempo ad arrivare. Il piccolo è costretto a nascere in una stalla! Segno premonitore di quella che sarà la sua vita.
Cos’altro sappiamo di lui?
All’età di 13 anni gli muore la madre e, fattosi giovanotto, decide di seguire il padre nelle diverse guerre, essendo egli soldato di ventura. La sua gioventù è tuttavia condizionata dal gioco d’azzardo, vizio che lo accompagnerà fino alla sua conversione. Mortogli anche papà Giovanni – tra le braccia, dopo essere tornato dall’ennesima battaglia in mare – , Camillo sceglie di abbandonare la carriera militare: stufo di uccidere, solo e disperato, va a chiedere aiuto ad uno zio, priore di un convento di frati cappuccini. Diventa novizio francescano, finché la fatidica “vescica” gli reca un dolore tale che decide di andarsi a curare a Roma, unico luogo in cui lo avrebbero rimesso in sesto. Arrivato al celebre ospedale san Giacomo, ma non avendo un soldo, si improvvisò infermiere in cambio delle cure mediche. Il vizio del gioco, però, gli fece perdere il posto di “lavoro”.
Cosa fece a questo punto?
Pur di sopravvivere il nostro “Gigante” – così soprannominato poiché era alto due metri – si mise a fare l’asinaio, sempre per un convento di frati.. Un giorno, mentre percorreva il tragitto che porta da Manfredonia a San Giovanni Rotondo, a Camillo pare di sentire una voce: «Gigante, ti aspetto per un’altra battaglia!». Sulla via della sua “Damasco”, il venticinquenne decide di cambiare definitivamente vita. Torna a Roma, nell’ospedale da cui era stato cacciato, ma questa volta con ben altro spirito: «Ho pensato per troppo tempo al mio dolore.. ho speso inutilmente tanti giorni, ora basta. Quando ero soldato ho imparato a ubbidire. Ed ora gli ordini li prendo solo da questi (malati)». La domenica e il poco tempo libero di cui disponeva iniziò a trascorrerlo con Filippo Neri, il cui influsso fu determinante per la sua futura opera.
Ovvero?
Dopo aver individuato in ospedale i dipendenti più generosi, nel 1575 li coinvolse fondando l’Ordine dei Ministri degli Infermieri, inizialmente chiamati gli “angeli del bel morire”, totalmente dediti all’assistenza corporale e spirituale dei malati. Quest’ultima ragione lo spinse infatti a farsi prete, capendo che curare il corpo non bastava. Dalla chiesa di Santa Maria Maddalena, il loro quartier generale, partivano per assistere i malati, ovunque essi fossero. E affinché si dedicassero totalmente agli infermi («Sarete premurosi al letto dei malati come una madre che assiste l’unico figlio» diceva loro), li vincolò con un voto speciale: «Servire il malato anche in pericolo della propria vita». Nel corso della storia infatti, tanti Camilliani persero la vita per quella di Gesù sofferente.. Camillo morì a Roma il 14 luglio 1614, fu canonizzato nel 1746 e, in seguito, proclamato patrono degli ospedali, degli ammalati, nonché degli infermieri.
«Insegnaci, Camillo, l’arte del prenderci cura, del corpo e dello spirito, di qualunque volto sofferente incontriamo sul nostro cammino, sicuri di portargli “Colui che ci porta”».
Recita
Federico Fedeli, Vittoria Salvatori
Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri