San Carlo Lwanga e compagni martiri (3 giugno)
Chi partecipa all’Eucarestia di oggi sente pronunciare, dal prete che la presiede, la seguente preghiera Postcommùnio, dal latino “Dopo (la) comunione”: «Abbiamo partecipato ai tuoi misteri, Signore, nel glorioso ricordo dei tuoi martiri: questo sacramento, che li sostenne nella passione, ci renda forti nella fede e nell’amore, in mezzo ai rischi e alle prove della vita». Si tratta di una sintesi mirabile di quanto la partecipazione alla vita trinitaria renda possibile ogni cosa, perfino di rinunciare alla propria vita a causa di Gesù, che per primo lo ha fatto.
Chi sono questi martiri che hanno “consegnato” la loro esistenza a Cristo?
Stiamo parlando dei santi che la Chiesa celebra in questo giorno: i ventuno paggi della corte del re Mwanga e del loro capo, Carlo Lwanga. Siamo nella cosiddetta Africa Nera, o sub sahariana, precisamente nel regno del Buganda (attuale Uganda) di fine 1800, luogo e tempo in cui essere cristiani era considerato un reato.
Di martiri africani non se ne annoverano tanti..
Infatti, come ci ricorda Paolo VI nell’omelia della loro canonizzazione, avvenuta il 18 ottobre del 1964, dunque in pieno Concilio Vaticano II: «Chi poteva prevedere che alle grandi figure storiche dei Santi Martiri e Confessori Africani, quali Cipriano, Felicita e Perpetua e il sommo Agostino, avremmo un giorno associati i cari nomi di Carlo Lwanga, e di Mattia Mulumba Kalemba, con i loro venti compagni?». Aggiunge inoltre papa Montini: «E non vogliamo dimenticare altresì gli altri che, appartenendo alla confessione anglicana, hanno affrontato la morte per il nome di Cristo».
Perché e come furono uccisi?
Il già citato re Mwanga chiese al capo del gruppo dei paggi, cioè giovani addetti alla sua persona, chi di loro “pregasse”, un modo per dire chi “fosse cristiano”. Carlo non esitò a farsi avanti per primo, seguito dagli altri, di fronte allo sguardo sgomento e incredulo del sovrano, che domandava loro: «Ma voi pregate veramente?.. E avete deciso di continuare a pregare?». Alle risposte affermative degli intrepidi giovani: «Sì, mio signore, sempre, fino alla morte», il re non esitò a pronunciare la sentenza: «Allora uccideteli» disse, rivolto ai carnefici. Tra questi ultimi, però, c’era il padre di Mbaga Tuzinda, uno dei martiri, che non volle rinunciare alla stessa sorte dei suoi compagni, nonostante le insistenze del padre-carnefice.
Davvero una fede grande e un coraggio d’altri tempi..
D’altri tempi, sì, che tuttavia non cessano mai, tanto che lo stesso Paolo VI, nella medesima omelia ricordava che «questi Martiri Africani aggiungono all’albo d’oro dei vittoriosi, qual è il Martirologio, una pagina tragica e magnifica..». Come a dire che, da una parte il martirio, cioè la “testimonianza” della propria fede in Cristo, è una pagina che si aggiunge al grande libro della Storia della Salvezza, che Dio non smette di operare in ogni tempo; dall’altra che il Martirologio, il libro cioè “ufficiale”, se così possiamo dire, che raccoglie i santi della Chiesa Cattolica, è davvero un “albo dei vittoriosi”!
Questo c’entra qualcosa con il simbolismo della palma?
Eccome! Non a caso la palma, spesso presente nell’iconografia sacra dei santi, simboleggia già nell’Antico Testamento ciò che è elevato, sublime, dunque la vittoria, quella che Cristo risorto ha ottenuto sulla morte. I martiri, detto altrimenti, hanno superato ciò che è terreno, ottenendo il premio eterno, come sottolinea il libro dell’Apocalisse al capitolo 7: «vidi.. una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani» (Ap 7,9). “Di ogni nazione”, appunto, tra cui l’Uganda e i suoi “vincitori”.
Donaci Signore, per intercessione di San Carlo e dei suoi coraggiosi amici, di non indietreggiare mai di fronte alle sfide che la vita, ogni giorno, non cessa di porci davanti.
Recita
Federico Fedeli, Vittoria Salvatori
Musica di sottofondo
Arrangiamento di Gabriele Fabbri