Marie Curie
Oggi, 7 novembre, giorno della sua nascita – in cui in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale della Fisica medica, ricordiamo la memoria di una grande donna: Marie Curie. Se cerchiamo il suo cognome sull’Enciclopedia dei personaggi ci sorprende che quest’opera spenda su di lei solo poche righe: «Pierre e Marie scienziati francesi.. La loro fama è particolarmente legata alla scoperta del radio e a fondamentali studi sulla radioattività. Sposatisi nel 1895, nel 1898 annunciarono la scoperta di due nuovi elementi radioattivi, il polonio e il radio, ottenendo il Nobel (nel 1903) per la fisica. Marie ebbe anche il Nobel per la chimica nel 1911 per aver isolato il radio metallico. Morì contaminata dalle radiazioni». Punto.
Sintesi interessante, anche se un po’ scarna.. sappiamo altro?
Maria Skłodowska nasce nel 1867 a Varsavia, in una Polonia dominata dalla Russia, ultima di cinque figli e figlie, tra cui Bronisława, con cui sarà particolarmente legata. Nel 1874, quando Maria ha appena 7 anni, la sorella Zosia muore di tifo.. quattro anni più tardi muore invece la madre, malata di tubercolosi. Il doppio lutto segnerà profondamente la piccola. Doppio lutto che la convincerà che la forza vera si trova nelle donne. Il primo uomo a far traballare tale convinzione fu forse il giovane Casimiro che, maggiore dei fratelli Zorawski, famiglia presso la quale lavorava, nel 1987 si innamora di lei, ben disposta a sposarlo, ma i genitori di lui si oppongono. Si trattava della rampa di lancio verso l’amore della vita (o meglio, uno dei), dato che nel 1894 conosce il fisico e matematico Pierre Curie: lui ha 35 anni, lei 26, e tra i due nasce subito una solida amicizia, fondata sulle comuni passioni per lo studio, la ricerca e l’aiuto reciproco. L’anno seguente queste passioni si trasformeranno in una proposta di nozze! Eppure Maria, donna estremamente emancipata per il tempo, fatica a mollare il cognome da nubile; non solo, la condizione femminile legata unicamente al matrimonio e alla maternità le va decisamente stretta.
Fu un’unione felice la loro?
Felice forse, intensa fuori di dubbio, breve certamente: il 19 aprile 1906, mentre Maria è con le figlie, il marito infatti muore a Parigi travolto da una carrozza. Così il loro legame, quasi monastico tant’era il tempo che passavano nelle loro “celle” tutti dediti alla ricerca, rifiutando inutili onori, si spezzò.. La sera, andare ad osservare i loro tesori nel capannone li rendeva felici, come annota Maria nel suo diario. Ma facciamo un passo indietro. Cresciuta come visto nella Polonia russa, la giovane si trasferì nella capitale transalpina, dato che nella sua patria le donne non potevano essere ammesse agli studi superiori, così nel 1891 iniziò a frequentare la Sorbona, dove si laureò in fisica e matematica. Nel dicembre del 1897 iniziò a compiere studi sulle sostanze radioattive, che da allora rimasero il centro dei suoi interessi. Nel 1906, dopo la morte del marito le fu concesso di insegnare nella prestigiosa università parigina. Due anni più tardi le venne assegnata la cattedra di fisica generale, diventando la prima donna a insegnare alla Sorbona. Il legame col marito deceduto è sintetizzabile nella frase che annota in un suo diario, reso noto solo nel 1990: «Ripeto il tuo nome ancora e per sempre: “Pierre, Pierre, Pierre, mio Pierre”. Ahimè, questo non servirà a farlo tornare, è andato per sempre, lasciandomi sola nel dolore e nella disperazione». Trascorsi cinque anni dall’inizio della vedovanza ebbe però una relazione col collega Paul Langevin, che, siccome era padre di quattro figli (con relativo matrimonio andato all’aria), causò una protesta pubblica al punto che l’Accademia svedese ebbe un tentennamento quando si trattò di assegnare il secondo Nobel alla Curie.
Quanti Nobel ricevette?
Nel 1903 fu la prima donna insignita del prestigioso premio, ricevendolo insieme al marito e ad Antoine Henri Becquerel per i loro studi sulle radiazioni, mentre nel 1911 le fu attribuito per la scoperta del radio e del polonio, il cui nome venne scelto dalla scienziata proprio in onore della sua terra natia. Maria, unica donna tra i quattro vincitori di due Nobel, è inoltre la sola ad aver vinto il Premio in due distinti campi scientifici. E non è tutto: anche la figlia maggiore Irène ne vinse uno nel 1935 per la chimica, insieme al marito Frédéric Joliot. Ma la secondogenita Ève Denise non fu da meno, diventando scrittrice e consigliere speciale del Segretariato delle Nazioni Unite, oltre che ambasciatrice dell’UNICEF.
Finora l’abbiamo chiamata Maria.. come mai?
Perché trasferitasi a Parigi si iscrisse alla Sorbona francesizzando il suo nome, e solo quindici anni dopo sarà come detto la prima donna ad insegnarvi, perché già dalla nascita possedeva tre qualità che presto la renderanno la beniamina degli insegnanti: memoria, capacità di concentrazione e sete di sapere. Tra gli episodi che dicono quanto fosse curiosa fin dall’infanzia, due sono particolarmente “spassosi”: a quattro anni la sorella di sette legge stentatamente il testo dell’album che suo padre le ha dato.. Maria spazientita se ne impossessa e lo legge! A dieci anni invece, come spesso le accade, un giorno è immersa nella lettura di un libro al punto tale da isolarsi totalmente da quanto le accade attorno. I suoi compagni allora le fanno uno scherzo, coprendola con una piramide di sedie.. passano i minuti e lei neppure se ne accorge! Poi si alza e la piramide crolla; lei si alza come se nulla fosse successo ed esclama: «Che idiozia!». Tra i tributi ricevuti spicca una dedica, quella ottenuta assieme al marito: l’asteroide 7000 Curie, oltre al minerale di uranio, la curite. La medicina nucleare, come se non bastasse, conobbe la luce grazie a lei e alla già citata figlia Irène, che durante la Prima guerra mondiale la aiutò ad operare in qualità di radiologa per il trattamento dei soldati feriti.
Quale fu il suo rapporto con la fede e la religione?
L’ingegnere e filosofo Alfio Briguglia fa notare che Marie Curie «è un personaggio la cui vita è stata tanto ricca e drammatica da diventare (tra l’altro) argomento di opere cinematografiche», ma a 17 anni è già avversa a ciò che – a parer suo – non è razionale, religione compresa. Ha fede solo nel progresso (la religione forse non lo è?): da giovane, in barba alla polizia zarista, portava la fiaccola della conoscenza ai dipendenti di una sartoria e raccoglieva i libri per una biblioteca per gli operai. Scrive Briguglia: «Viveva la sua ricerca scientifica, come si può vivere la dedizione ad una nobile causa, cui dedicarsi anima e corpo, con spirito quasi religioso, con la passione e la severità di chi vede quello che si è, capacità e risorse, non come strumento di ascesa sociale ma come un bene per tutti. Cattolica credente prima della morte della madre, perse la fede in quel tragico evento. Aveva dieci anni e per la guarigione della madre aveva scommesso la sua fede in Dio, come ci racconta la figlia minore Eve Denise», che nel suo libro del 1958, Vita della signora Curie, aggiunge: «E quando si inginocchia nella chiesa cattolica dove in altri tempi accompagnava sua madre, sente in sé una sorda rivolta. Essa non invoca più con lo stesso amore quel Dio che le ha ingiustamente inferto colpi così terribili, che ha ucciso intorno a lei l’allegria, la fantasia, la dolcezza».
Parole dure da ascoltare per gli orecchi di un credente, ma assolutamente comprensibili..
Eppure, non ostante non battezzò le figlie, non divenne mai anticlericale: la sua rinuncia alla religione era talmente solida da non sfociare in quella forma di protesta che, spesso, rischia di essere fine a sé stessa. «Qualcosa della sua anima, per la morte della sorella maggiore, poi della madre e, più ancora, per la morte del suo adorato Pierre, era rimasta ferita senza possibilità di guarigione». È ancora il Briguglia a parlare, che definisce la sua “una ferita diventata vocazione”. La sua scelta è collegata dall’autore a quella di Charles Darwin, il cui «viaggio di cinque anni sulla Beagle.. mise in dubbio quanto la Bibbia narrava nella Genesi. Ma l’evento decisivo fu la morte della figlia adorata Anna, a soli dieci anni. Si poteva credere in un Dio simile? E dov’era la provvidenza, tanto sbandierata nei sermoni degli uomini di chiesa?». La sua religione sono stati forse i sacrifici e la dedizione alla scienza e al bene del genere umano. Ma se è noto l’interesse del cristianesimo nei confronti delle creature, immagine e somiglianza del loro Creatore, non così quello per la scienza: «Chi sono i padri, gli “inventori” (parola non a caso virgolettata) della scienza moderna..?» si chiede lo storico e giornalista Francesco Agnoli nell’incipit del suo libro Scienziati, dunque credenti. E prosegue: «La risposta.. dovrebbe essere.. l’autore della Genesi e, tramite lui, il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe; e dopo di lui, sant’Agostino, sant’Ambrogio, gli apologeti cristiani dei primi secoli, e, con loro, migliaia e migliaia di altri predicatori, confessori, teologi, filosofi, vescovi, papi. E con loro, come giganti sulle spalle di giganti, Grossatesta, Copernico, Galilei». Perché questa risposta? «Perché lo storico e il filosofo sanno bene che non sono mai esistiti uomini capaci, da soli, di “inventare” (ancora virgolettato!) un modo di vedere le cose troppo diverso da quello che hanno ereditato, e che caratterizza il loro tempo». Ecco la tesi interessante, e mai sottolineata nelle apposite sedi, di Agnoli.
Tornando alla sua vita, come morì?
Negli ultimi anni fu colpita da una grave forma di anemia aplastica, tipo di leucemia quasi certamente contratta a causa delle lunghe esposizioni alle radiazioni di cui, all’epoca, si ignorava la pericolosità. Morì nel sanatorio di Sancellemoz di Passy in Alta Savoia, nel 1934. Ancora oggi, tutti i suoi appunti di laboratorio successivi al 1890, persino i suoi ricettari di cucina, sono considerati pericolosi a causa del loro contatto con sostanze radioattive. Sono conservati infatti in apposite scatole piombate e, chiunque voglia consultarli, deve prima indossare abiti di protezione. I suoi quaderni di laboratorio sono ancora radioattivi e pertanto conservati in teche di piombo, mentre la sua bara, trasportata con cerimonia solenne nel 1995 nel Panthéon parigino (dove riposa assieme al marito), è avvolta anch’essa in un lenzuolo di piombo. Tornando al suo rapporto interrotto col Creatore, tra le affermazioni celebri di Albert Einstein sul binomio Dio-scienza, se si vuole fede-ragione, la più interessante suona così: «Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come.. sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell’essere umano più intelligente nei confronti di Dio». «Marie Curie non grida contro Dio come Giobbe, – conclude il Briguglia – non si avventa contro di Lui con le armi della razionalità scientifica. Gira semplicemente la testa dall’altra parte, in un gesto di delusione che chiede giustizia e invoca una risposta da Qualcuno a cui, però, non si chiede più nulla».
Grazie, Marie, per la dedizione allo studio e alla ricerca, di cui hanno beneficiato, beneficiano e beneficeranno, gli uomini e le donne vissuti dopo di te. Grazie per la cura concreta in ciò che credevi: a modo tuo sei stata un grande esempio! Quel Signore, il cui volto non sei riuscita ad incontrare su questa terra, te ne renda merito.
Recita
Stefano Rocchetta, Cristian Messina
Musica di sottofondo
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