Giorgio La Pira (5 Novembre)
Il 5 novembre 1977, a causa di un’improvvisa emorragia cerebrale, muore nella clinica delle Suore Inglesi di Firenze.. in quella notte e in quella stanza l’amico Giuseppe Dossetti ne presiede l’Eucaristia, per poi donare la salma all’amata città, che lo aveva accolto come primo cittadino per ben tre mandati. Il 9 gennaio 1986 il cardinale Silvano Piovanelli, che vide in lui un “venditore di speranza”, apre il processo diocesano per la beatificazione. Sepolto nel cimitero di Rifredi, il 5 novembre 2007 – in occasione del trentesimo anniversario dalla morte – la salma viene traslata nella “sua” basilica di San Marco. Il 5 luglio 2018 papa Francesco lo dichiara venerabile.
Ma di chi stiamo parlando?
Di Giorgio La Pira. Nato il 9 gennaio 1904 e primo di sei figli, dal paese siciliano di Pozzallo – ventimila abitanti scarsi, al tempo in provincia di Siracusa, oggi di Ragusa – si diresse prima da uno zio a Messina, città in cui frequentò un gruppo di adolescenti (tra i quali il futuro Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo), quindi ottenne la maturità classica a Palermo per poi iscriversi a Giurisprudenza, e giungere infine nel capoluogo toscano nel 1926, avendo seguito il suo professore di Istituzioni di diritto romano, materia che iniziò a insegnare lui stesso. Curioso che a legare due località così distanti sia il loro patrono: Giovanni Battista, “il Battezzatore” ad essere pignoli.
Cosa sappiamo di La Pira?
In una lettera del 1931 all’amico Salvatore Pugliatti afferma: «non dimenticherò mai quella Pasqua del 1924 – anno della sua conversione – , in cui ricevei Gesù Eucaristico: risentii nelle vene circolare una innocenza così piena, da non potere trattenere il canto e la felicità smisurata». Fu terziario domenicano già a Messina, consacrandosi come fra’ Raimondo, mentre dal 1939 – anno in cui cominciò a risiedere in san Marco – lo cambiò in Donato. Nello stesso anno fondò la rivista antifascista in lingua latina Princìpi, atto coraggioso che gli costò la fuga dal regime. In una delle sue pagine scrisse: «La vita sociale.. è costituita da un processo di integrazione sempre più ampio mediante il quale ogni uomo, venendo a contatto con gli altri, sviluppa sempre più la sua personalità..». Ma a renderlo celebre, santo osiamo dire senza azzardare troppo, fu il suo zelo politico: impegnatosi dopo la Seconda Guerra mondiale tra le fila della Democrazia cristiana, fu eletto nel ’46 all’Assemblea costituente, nel ’48 alla Camera dei deputati e infine sindaco di Firenze in tre momenti diversi, tra il 1951 e il 1965. «Era facile – afferma Maurizio Certini – incontrarlo per le vie di Firenze.. (il suo) interesse.. per il giovane o per la persona che incontrava era immediato. “Cosa fai? Come vivi?” Si apriva così un colloquio che presto portava a volare alto, dalla dimensione ristretta della propria vita a Firenze, alla visione universale della realtà..». Per la “sua” città si spese senza sosta.
In che modo?
Fondando ad esempio la Messa dei poveri, celebrazione eucaristica che dalle prime 40 presenze arrivò a 1.500 unità: «Nacque da un bisogno – disse lui stesso – di “sborghesimento” del nostro cristianesimo: e ci furono di sprone.. le parole misteriose di quella parabola misteriosa: “Andate pei crocicchi delle strade e chiamate quanti trovate, poveri, ciechi, storpi, zoppi, e conduceteli qui affinché si riempia la mia casa». Spesso era senza una lira, non di rado donava il suo stipendio a chi incontrava per strada! Ma l’episodio più celebre è senza dubbio quello del cappotto nuovo, scambiato con quello vecchio e sporco di un povero incontrato in giro. Peccato che il cappotto non fosse il suo, ma quello preso per sbaglio dall’amico Giuseppe Lazzati: «va bene pensare ai poveri, Giorgino, ma.. il cappotto era mio»! Poveri a cui, a parer suo, i cattolici non pensavano mai, troppo dediti a seguire i ricchi e i potenti. Nel 1955 convoca nel capoluogo toscano il “Convegno dei Sindaci delle Capitali del Mondo”, sicuro in tal modo di creare un sistema di ponti capace di generare unità tra i popoli. All’evento seguirono i “Colloqui per il Mediterraneo”, altra manifestazione il cui intento era quello di unire coloro che si affacciavano su quella gigantesca pozza d’acqua (da lui chiamata “grande Lago di Tiberiade”), che solo acqua non era, in quanto simbolicamente bacino delle triplice famiglia abramitica: ebrei, cristiani e musulmani, oltre che luogo in cui ancora oggi si giocano i destini del mondo. La sua passione per la pace lo portò inoltre a viaggiare tantissimo: da Mosca al Cairo, da Berlino a Gerusalemme, da Beirut a New York, dal Quebec al Vietnam. Ebbe insomma una visione politica davvero universale, oltre che profetica.
Ovvero?
«Rileggendolo oggi.. – afferma la giornalista Annachiara Valle – ha il profumo dei profeti, di quegli uomini sempre eterni come il Vangelo di cui si sono nutriti». «Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa “brutta”! – diceva lo stesso La Pira – No: l’impegno politico.. è un impegno di umanità e di santità..». E aggiungeva: «L’orazione non basta; non basta la vita interiore; bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell’uomo. Bisogna trasformarla la società!». Era l’unico modo in cui sapeva svolgere la sua missione di primo cittadino, come sottolineò in un intervento al consiglio comunale del 1954: «voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro.. senza casa.. senza assistenza.. c’è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo!». La sua città ideale, cristianamente fondata, era quella in cui «un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), ..per amare (la casa), ..per lavorare (l’officina), ..per pensare (la scuola), (e) ..per guarire (l’ospedale)..». Avercelo un sindaco così! Tale città doveva infatti essere costruita su «due poli: lo Spirito Santo che dolcemente ci attira ai rapimenti soavi del Paradiso, (e) le anime che ci risospingono verso le rive della terra per continuare l’opera di semina e della irrigazione!». Per fare politica, scriveva ad Amintore Fanfani nel 1958, «La sola metodologia di vittoria è la rinuncia a se stessi, il distacco radicale dalla propria piccola sfera, l’apertura.. alla sfera mondiale di Dio». Mamma mia!
È ancora possibile, è il caso di chiedersi, una figura così grandiosa nell’attuale politica?
Lasciamo la risposta all’ultimo presidente dell’Unione Sovietica Mikail Gorbacev : «È il destino quasi inevitabile degli uomini che vedono più lontano degli altri, che pensano più profondamente degli altri, che agiscono in maniera inusuale.. È importante che oggi La Pira abbia molti più amici di quanti ne aveva nella sua vita terrena.. è il verdetto della storia che ha confermato la bontà.. delle sue scelte..». La radicalità del “mistico prestato alla politica” – come lo ha definito il cardinale Gualtiero Bassetti – era infatti nota: «cambiate la legge – diceva –, io non posso cambiare il Vangelo». Misticismo alimentato anche da solide amicizie: il terzetto che formava assieme a papa Paolo VI e Jacques Maritain aveva ad esempio come collante l’interesse per la persona umana, fine e centro di ogni azione sociale. Se con entrambi c’era un rapporto di sincera amicizia, fu in particolare il secondo ad ispirarlo, attraverso Umanesimo integrale, libro che il filosofo francese scrisse nel 1936 per sottolineare l’importanza di valorizzare tutto l’uomo, nella sua integrità appunto. Una vita pienamente umana, che poteva tuttavia essere osservata, e poi vissuta, solo attraverso gli occhi di Dio, solo guardandola dalla “terrazza di Abramo”, per usare una sua bellissima espressione.
Una visione davvero universale..
La Pira, insieme agli altri “professorini” (così era stato battezzato il gruppo formato da Laura Bianchini, Dossetti, Fanfani, Angela Gotelli e Lazzati) forgiò la Costituzione Italiana – avendone affidato prima le sorti alla Madonna, dopo un pellegrinaggio a Loreto – riconoscendo i diritti fondamentali della persona. Il tutto ebbe luogo a partire da quella residenza di via della Chiesa Nuova a Roma, a due passi da Santa Maria in Vallicella, dove “riposa” tuttora un altro gigante: Filippo Neri. Quella casa La Pira la abitò dal ’47 al ’51 (con giornate sempre scandite dalla Messa mattutina e dal Rosario serale), momento in cui, già sindaco di Firenze, dovette rinunciare alla carica parlamentare per incompatibilità. Tornando alla Costituzione, Aldo Moro ricordò che l’articolo 1 («L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro..») fu proposto proprio da La Pira, che ispirò anche il secondo. Diritto, dignità e necessità del lavoro, tre cardini sui quali si mosse l’impegno politico del sindaco santo, morto nel 1977 e da Moro invocato e pregato l’anno seguente, durante il sequestro da parte delle Brigate Rosse. Costituzione, ancora, che secondo La Pira era «espressione del pensiero cristiano.. anche se non apertamente confessato».
Caro Giorgio, sindaco di Firenze e di ognuno di noi, si dice che dessi del “tu” a tutti in quanto figli dell’unico Dio, conoscenti o meno, giovani e anziani, ricchi e poveri: adesso che sei col Padre, suo Figlio e il loro Spirito, e dai del “tu” anche a loro, intercedi per noi affinché siamo ancora capaci di appassionarci alle creature senza lavoro.. senza casa.. senza assistenza.. perché c’è in gioco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo..
Recita
Stefano Rocchetta, Cristian Messina
Musica di sottofondo
E.Savino. Ali di riserva