Isaia 7,10-14 con il commento di Luca Tentoni



Dal libro del profeta Isaia
Is 7,10-14 

Testo del brano
In quei giorni, il Signore parlò ad Àcaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach. Goldberg Variations. BWV 988-10. Variation 9 a 1 Clav. Canone alla terza. Kimiko Ishizaka. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Luca Tentoni

Meditazione
Credo sia opportuno decriptare la parola tradotta con “segno”. Il greco semion può essere tradotto sia con “segno”, sia con “miracolo”. Nel Nuovo Testamento, ad esempio in Matteo, leggiamo: «alcuni scribi e farisei gli dissero: “Maestro, da te vogliamo vedere un segno” (Mt 12,38)». Chiedevano il miracolo, per provare che Gesù è il Cristo. In realtà i farisei avevano già sentito gli insegnamenti di Gesù, avevano già visto, o almeno sentito, dei suoi potenti miracoli. C’erano tutti gli elementi per poter credere in Gesù come il Cristo, ma il cuore duro non permetteva di andare oltre l’apparenza. Non era facile per i suoi contemporanei riconoscere Gesù. Non è facile per nessuno, nemmeno oggi, riconoscerlo per quello che Egli è veramente. Solo una rivelazione da parte di Dio, come dono, come grazia, ci può svelare il suo mistero. Nel racconto della sua nascita, lo scopo dell’annuncio angelico è proprio quello di rivelare il mistero dell’incarnazione. Nel vangelo di Luca: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in un  mangiatoia (Lc 2,12)». I pastori, persone scartate dai dotti, vengono caratterizzati dall’evangelista con vari verbi di attesa, ricerca e scoperta: «vegliavano di notte facendo la guardia (Lc2,8)»; «andiamo a vedere (2,15)»; «andarono senz’indugio e trovarono.. (2,16)». I pastori furono sensibili e disponibili alla rivelazione del mistero. L’hanno accolta con semplicità credendo alle parole dell’angelo, e sono divenuti testimoni di ciò che fu loro rivelato. Edith Stein, ebrea, diventata suora carmelitana nel 1933 a Colonia con il nome di Teresa Benedetta della Croce, deportata ad Auschwitz e perita nelle camere a gas, ci regala una riflessione densa, che prende le mosse dalla nostra quotidianità esperienziale: «Quando i giorni si fanno sempre più corti, quando in un normale inverno incominciano a cadere i primi fiocchi di neve, allora, timidi e lievi, fanno capolino anche i primi pensieri di Natale. La sola parola sa di incanto, un incanto cui (..) nessun cuore può sottrarsi». Così con il tono fatato che si converrebbe a una favola; perché, in fondo, è vero che anche gli uomini di altra fede, e persino quelli che di fede non ne hanno proprio nessuna, di fronte alla “vecchia storia del Bambino e di Betlemme”, fanno i preparativi per la festa, nella speranza di poter godere di un qualche timido raggio di felicità. Ma per il cristiano, e per il cattolico, si tratta di ben altro: quel Bambino che l’arte ha rappresentato in mille forme, lo scampanio festoso e gli inni dell’Avvento, sono ben più che il ricordo nostalgico di un incanto dal sapore infantile; sono “memoria” di una promessa espressa con potenti parole: «Stillate o cieli dall’alto (..) Il Signore è già vicino. Invochiamolo! Vieni Signore e non indugiare!». Ricorda Edith Stein, la stella di Betlemme è una stella che ancora adesso splende in una notte troppo oscura. Si suole ripetere la promessa festosa: pace sulla terra a coloro “che sono di buona volontà”; ma non tutti sono di buona volontà, e lo vediamo e lo tocchiamo con mano ogni giorno: «Fu quindi necessario che il Figlio dell’eterno Padre discendesse dalla magnificenza del cielo, perché il mistero del male aveva immerso la terra nell’oscurità. Le tenebre coprivano la terra, ed egli venne come luce che brilla tra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. A coloro che lo accolsero, portò luce e pace con tutti coloro che sono ugualmente figli della luce e figli del Padre che è nei cieli, infine l’intima pace del cuore; ma non la pace con i figli delle tenebre». In altre parole, ci ricorda Edith Stein, quello del Natale non è un mistero zuccheroso e anodino; è un mistero combattivo nel senso che esprime una tensione continua e irriducibile: «Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione” (Lc 2, 34)». Segno di contraddizione poiché davanti a Lui si deve prendere posizione: i segni di Cristo, non saranno da tutti accettati, anzi, scartati e offesi (confrontare ad esempio le eresie prima dei quattro Concili ecumenici, le apostasie nelle varie epoche storiche, compresa la nostra), e questo dovrà avvenire, come dice Simeone, per «svelare i pensieri di molti cuori», cioè grazie a queste false dottrine che emergeranno nella Chiesa, si potrà vedere chi le è veramente fedele e chi no, così da permettere a Dio di “vagliare” il grano dalla zizzania. Chiediamo il dono della docilità. Amen.

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