Isaia 2,1-5 con il commento di Luca Tentoni



Dal libro del profeta Isaia
Is 2,1-5

Testo del Vangelo
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore. 

 

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach. Goldberg Variations. BWV 988-10. Variatio 9 a 1 Clav. Canone alla terza. Kimiko Ishizaka. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Luca Tentoni

Meditazione
Abbiamo di fronte un testo diverso dal capitolo precedente, nel quale si sottolinea la ribellione dei figli, il distacco della fede dalla vita, una giustizia minata dalla corruzione e tutto si svolge nella “città santa”. Questa visione del profeta ci offre due coordinate importanti: il tempo e lo spazio. Guarda il futuro, “alla fine dei tempi”, contemporaneamente ci spinge verso un “luogo altissimo”, «s’innalzerà sopra i colli». Il profeta mostra una terra mutata, poiché in precedenza sulle alture di tutta la regione palestinese c’erano templi dedicati alle divinità di Baal, ma in questa “visione” Sion non sarà più in competizione, sarà completamente diversa «uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore», poiché è stato Dio a spingerla verso l’alto. Molti popoli saliranno e non più un unico popolo prescelto. Tutti sono invitati a mettersi in cammino. I magi a Betlemme sono stati l’avanguardia e il simbolo di quei popoli. La Parola che diventa salvezza per tutti percorrerà proprio quelle strade. Fede è un dono e un invito continuo a mettersi in discussione, porsi in cammino verso la meta, cioè l’incontro con Lui. Si scorge un richiamo al popolo nomade nel deserto, che segue la volontà divina verso una terra promessa, la visione del futuro, ricca di latte e miele. Il popolo, una volta raggiunto il traguardo, si è seduto. Ha preferito essere come gli altri popoli: avere un re con un regno, un esercito e una giustizia dettata dai desideri umani. L’allontanarsi dal Signore ha condotto il popolo alla schizofrenia, vita pubblica e fede sembravano inconciliabili, così come ogni guerra intrapresa ha cancellato la pace, le armi hanno avuto la precedenza sulle falci, l’ingiustizia ha dominato i sentieri di Israele, la rettitudine è diventata un miraggio. Il Signore, nella visione di Isaia, ha modificato il modo di ottenere le cose da parte del popolo: nel deserto ha fatto trovare cibo e acqua in caso di necessità, ora chiede all’uomo di fare la propria parte. Nelle realtà odierne, notate dove la giustizia non viene difesa, l’unica pace che si potrebbe trovare, sarebbe una semplice tregua armata. Il Signore ci offre un’altra occasione, invitandoci a non essere spettatori passivi. Egli si mette a nostra disposizione per insegnarci le sue vie, percorrere i suoi sentieri. Oracoli simili erano risuonati più volte anche in altri paesi e in altri popoli. Le iscrizioni ritrovate su stele celebravano le imprese gloriose di sovrani e faraoni del mondo antico, nel quale tutti promettevano la pace. Una pace che nei secoli è sempre stata schiacciata da altri sovrani e imperatori ambiziosi. Gerusalemme, “città della pace”, nella visione del profeta sarà quel luogo reale e simbolico che il Signore ha scelto per convergere sguardi, piedi e cuori. Il regno di Dio, la giustizia e la pace universale, non sbocciano miracolosamente, senza la collaborazione da parte nostra, ma crescono lentamente. I tempi di Dio non sono i nostri, dettati dalla fretta. Pace e giustizia necessitano di tempi lunghi. La frase «Alla fine dei giorni» di cui parla Isaia sono già iniziati. Quando? Con il mistero dell’Incarnazione. Allora perché ancora oggi ci imbattiamo in guerre e ingiustizie? Constatiamo che tanti, troppi conflitti sono ancora aperti. Pare che non si faccia niente o molto poco per chiuderli, per trasformare «le spade in vomeri» e «le lance in falci». C’è un arbitro che ancora non è stato pienamente considerato. Ha una visione diversa da quella umana. L’“arbitro” ci ha convocato. Tutti dal giorno del battesimo siamo stati convocati, chiamati proprio come figli dal proprio genitore, a partecipare a questo progetto. Se non si attua, forse perché ancora, come gli ebrei di allora, viviamo una vita schizofrenica: la fede è una cosa, la vita è tutt’altro; oppure siamo diventati sedentari, ci accontentiamo di arrivare a sera senza condividere quel progetto divino, oppure abbiamo smarrito l’orientamento, la fede; non crediamo che le spade possano trasformarsi in qualcosa che sfami l’umanità. 

 

 

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