Isaia 29,17-24 con il commento di Luca Tentoni



Dal libro del profeta Isaia
Is 29,17-24 

Testo del brano
Così dice il Signore Dio: «Certo, ancora un po’ e il Libano si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà considerato una selva. Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla. Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore, che riscattò Abramo: “D’ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire, il suo viso non impallidirà più, poiché vedendo i suoi figli l’opera delle mie mani tra loro, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio d’Israele. Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza, quelli che mormorano impareranno la lezione”».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach. Goldberg Variations. BWV 988-10. Variatio 9 a 1 Clav. Canone alla terza. Kimiko Ishizaka. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Luca Tentoni

Meditazione
Ecco cos’è una promessa! Il Signore non promette rapporti soddisfacenti, basandosi sui sondaggi per verificare se vi fossero risultati positivi. Il Signore non è un manager, che gestisce l’azienda Israele o la Chiesa per cui la soddisfazione dei “ clienti” viene al primo posto. Noi spesso non sappiamo nemmeno cosa chiedere. Dio invece promette: i sordi udranno, i ciechi vedranno, gli umili e i poveri gioiranno, non sono mere soddisfazioni. Guardando la mia povera vita, vedo come sono sempre alla ricerca del piacere attraverso esperienze individuali e sempre meno collettive. Il mio egoismo è il primo tiranno, arrogante e iniquo, capace di giudicare l’altro, soprattutto di vedere l’altro come un oggetto e non come soggetto, creato e amato da Dio. Possiamo ricavare piacere dalle barzellette, dall’umiliare i “nemici”, dalla musica, dall’arte, dalla poesia, dai social, dal kyte surf, ma questa non è la condizione di felicità piena che il Signore è capace di promettere. La parola del Signore è superiore. Ormai abbiamo raggiunto un punto in cui fatichiamo pure a distinguere i piaceri utili da quelli nocivi, quelli che un tempo avevano una tendenza positiva, sono diventati maladattivi: così, per esempio, la passione per i cibi dolci, che assicurarono la sopravvivenza dei nostri lontani progenitori, ora ci condannano all’obesità. Vivere di soddisfazioni ci lascia distanti dalla gioiosa consapevolezza della bellezza di chi ci sta di fronte. Il Signore ci richiama a non limitarci ai piaceri sensoriali, che sono prevalentemente proiettati verso il nostro “tiranno”, ma a costruire relazioni sincere, spostando il nostro ego dal piacere dall’altro alla felicità nell’altro. Questo è l’unico modo in cui il prossimo non è considerato un oggetto, ma un soggetto, un dono di Dio. Da soli non è facile affrontare il nostro “tiranno”, ma insieme attraverso una vita comune e condivisa si può vincere l’egoismo in noi: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20); «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Avere amore, cioè agire, non parlare, né desiderare, neppure pretendere. Mi viene l’immagine finale del film: L’ascesa di Skywalker, dove l’imperatore, personificazione del maligno, cerca in ogni modo di fomentare l’odio e la rabbia in Rey, il personaggio principale. Il male vorrebbe creare un altro male promettendole un potere enorme. Unendo le spade degli Skywalker, Rey riesce a fermare il potere del male (non saprei se metterle a forma di croce sia stato un caso oppure intenzionale), il quale poi verrà vinto definitivamente dal ritorno verso il lato chiaro della forza di Kylo Ren Solo, anzi compiendo un sacrificio e un atto d’amore il maligno viene distrutto. Avere amore per donarsi. Il modo migliore per santificare il nome del Signore è agire come Egli ci ha insegnato. L’apostolo Paolo nelle lettere ai Romani e ai Corinti ci mostra l’importanza della comunità: «Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio ai santi di quella comunità» (Rm 15,25); «perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace. Come in tutte le comunità dei santi» (1 Cor 14,33). La parola divina ci insegna che il demonio non è capace di fare comunità.

 

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