Isaia 45,6b-8.18.21b-25 con il commento di Luca Tentoni



Dal libro del profeta Isaia 
Is 45,6b-8.18.21b-25 

Testo del brano
Io sono il Signore, non ce n’è altri. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo. Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo». Poiché così dice il Signore, che ha creato i cieli, egli, il Dio che ha plasmato e fatto la terra e l’ha resa stabile, non l’ha creata vuota, ma l’ha plasmata perché fosse abitata: «Io sono il Signore, non ce n’è altri. Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me. Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra, perché io sono Dio, non ce n’è altri. Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la giustizia, una parola che non torna indietro: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua». Si dirà: «Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza!». Verso di lui verranno, coperti di vergogna, quanti ardevano d’ira contro di lui. Dal Signore otterrà giustizia e gloria tutta la stirpe d’Israele.

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach. Goldberg Variations. BWV 988-10. Variatio 9 a 1 Clav. Canone alla terza. Kimiko Ishizaka. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Luca Tentoni

Meditazione
“Io sono” è il filo rosso che ritroviamo nelle Sacre Scritture. Il profeta aggiunge, non c’è nessun altro. Dio si rivela nella storia. La questione del nome di Dio aleggia dall’inizio alla fine delle Sacre Scritture. “Io sono” pone il nome alle creature: «maschio e femmina li creò, li benedisse e diede loro il nome di uomo nel giorno in cui furono creati» (Gen 5,2). L’uomo vuole conoscere e insiste: «Giacobbe allora gli chiese: “Svelami il tuo nome”. Gli rispose: “Perché mi chiedi il nome?”. E qui lo benedisse» (Gen 32,30). Anche Mosé insiste sul Sinai: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”» (Es 3,14). Le consonanti ebraiche del nome di Dio richiamano il verbo essere. Dio comunica il proprio essere, di fronte al vuoto nulla degli idoli e delle costruzioni umane. Un Dio “lontano” decide di uscire dal suo silenzio e di camminare a fianco del popolo d’Israele. I credenti ebrei recitano ancora oggi: «Ogni uomo ha un nome, glielo hanno dato Dio, suo padre e sua madre». L’imposizione del nome è un atto di protezione, conoscenza, appartenenza, un dono come la vita stessa: esserci, una scintilla divina. Quindi essere e nome vengono legati l’uno all’altro. Ovviamente non si può dare un nome a cose inesistenti. Da notare, se mancassero anche padre o madre, il Signore sarà sempre presente nell’imposizione del nome. Nel Nuovo Testamento, l’Emmanuele percorre strade, città, deserti e la questione del nome torna sempre fuori: «Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”» (Mc  3,16-17). Gesù chiama i Dodici, uno per uno, ma in alcuni casi arriva anche a cambiare il nome, per indicare la nuova realtà della persona dopo l’incontro con Lui. I discepoli stessi esperimentano, durante la prima missione, che pronunciando solamente il nome di Gesù avvengono miracoli. Il cambio del nome è avvenuto anche per Giovanni Battista. Il padre era deciso a nominarlo Zaccaria, invece l’angelo ricorda di chiamarlo Giovanni, appunto “dono di Dio”. Il Signore ha ascoltato le preghiere di Elisabetta. Nessuno della famiglia di Zaccaria, reso muto, gli ricordano portasse quel nome (cfr. Lc 1,61), ma la storia della salvezza spesso non combacia con i progetti umani. Giovanni, “dono di Dio”, preparerà la strada al Cristo. Due vangeli sinottici sciorinano i nomi degli antenati di Gesù e dietro ciascuno c’è un tratto della storia salvifica. Nell’Antico come nel Nuovo Testamento la via patriarcale si colora di qualche maternità acquisendo sfumature spirituali. Quattro donne dell’Antico Testamento (Racab, Tamar, Rut, Betsabea) entrano nella genealogia di Gesù in qualità di lontane madri del Cristo (cfr. Mt 1,1-17). Queste maternità si contraddistinsero. Potremmo definirle “irregolari”, l’asse generazionale terminerebbe con Giuseppe sposo di Maria «dalla quale è nato Gesù» (Mt 1,16): un albero genealogico maschile sfocia in una maternità. Anche l’evangelo di Giovanni sulla questione del nome sottolinea diversi passaggi: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me» (Gv 17,6.11.26). Gesù è la manifestazione del nome di Dio. Eravamo suoi (legame di conoscenza-appartenenza) e ci ha affidati (protezione-custodia) al Figlio. Attenzione! Troviamo una richiesta precisa nel Padre nostro: santificare il Suo nome. Questo è l’impegno quotidiano di ciascuno. Partecipare alla vita divina santificando in suo nome: «E avverrà: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (At 2,21). Dio è il Padre che crea, ama e ci invita a partecipare alla Sua vita divina. Dio non abbandona l’uomo caduto in Adamo, ci eleva a figli “adottivi”. Amen.

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