Isaia 26,1-6 con il commento di Luca Tentoni



Dal libro del profeta Isaia
Is 26,1-6 

Testo del brano
In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: «Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza. Aprite le porte: entri una nazione giusta, che si mantiene fedele. La sua volontà è salda; tu le assicurerai la pace, pace perché in te confida. Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna, perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo. I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach. Goldberg Variations. BWV 988-10. Variatio 9 a 1 Clav. Canone alla terza. Kimiko Ishizaka. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Luca Tentoni

Meditazione
Letto e riletto. Mi pongo alcune domande. Dov’è questa città? Chi può accedere all’interno di questa città? Perché la città eccelsa viene rasa al suolo? Sembra che tutto dipenda da due elementi:  la «roccia eterna» e le persone che vi abitavano. Il punto debole non è il Signore, il quale ha riposto una «volontà salda», Dio è tutto ciò di cui necessita realmente l’uomo, ma sono le persone, ovvero una caratteristica che stiamo smarrendo: essere comunità. In un intervista dice Joker-Joaquin Phoenix: «Ti sei mai accorto come è diventato là fuori? Nessuno più prova a mettersi nei panni dell’altro». L’intervento di Joker in sintesi è: non c’è più una comunità, tutti urlano, strepitano, sono maleducati, sono tutti uno contro l’altro. Il degrado di realtà abbandonate dalle istituzioni, preda dell’aggressività di singoli o gruppi e soprattutto è la solitudine di un mondo diventato profondamente disumano a «rovesciare qualsiasi cosa eccelsa». Quando regna la solitudine ogni realtà diventa ingiusta. Il Signore invita ad entrare «attraverso le porte» una nazione che viva la giustizia. L’invito di questa lettura, forse è quella di riscoprirsi come comunità. A tal proposito don Luigi Verdi ha tenuto svariati incontri dal titolo “Torniamo Umani”, dicendo: «viviamo in questa società avvelenati dai vizi della modernità, spesso colpevoli di indifferenza, malati di solitudine». Cita il filosofo Jean Guitton: «La sfida vera di oggi è fra un umanesimo degradato e un cristianesimo autentico. Un cristianesimo all’acqua di rose, tirato via, pronto sempre a mediare su tutto non serve a nessuno. Un cristianesimo autentico è il vero antidoto a questo umanesimo degradato di oggi». Comunità cristiana, essere comunità accogliente, sentirsi parte di essa sono elementi di un cammino personale, familiare, per qualsiasi gruppo o associazione. Comunità è un termine derivante dal latino munus e il prefisso cum, che significa “con”, indicante qualcosa che sta insieme. Cum munus, ovvero “con un obbligo”, “con un ufficio” da svolgere, qualcosa dunque che appartiene a più persone, non a una sola o ad alcuni. La parola richiama un legame, uno stare insieme. Ma per fare cosa? Il termine munus ci dice tantissimo, può avere un triplice significato, che rimanda a un dovere, un debito, un dono-da-dare. Tre significati che ritrovo in Gesù Cristo Salvatore del mondo: «sia fatta non la mia, ma la tua volontà. Padre perdona loro non sanno quello che fanno. Chinato il capo spirò», sono alcune citazioni per cogliere le basi della comunità. «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sarò in mezzo loro», non a caso le prime idee di comunità erano chiamate agape, termine non nuovo, ma che il vangelo ha trasformato e l’ha reso ancor più concreto. Richiama l’elemento del dono vicendevole, cioè una comunità in cui l’amore per il prossimo è il motore dell’agire senza secondi fini. È l’agape che dona alle relazioni umane quella dimensione di gratuità che non è garantita dal vivere assieme. San Basilio di Cesarea scrisse a tal proposito sulle prime comunità che nella nostra natura c’è aver bisogno l’uno dell’altro, ricercarsi reciprocamente e amare ciò che si ricerca. In questo, dice l’evangelista Giovanni, riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete reciprocamente (13,35). Ogni comunità diventa “memoria” di quell’amore dal quale siamo stati generati. Chiara Lubich fece della “spiritualità comunitaria” un originale modo di popolo nell’andare a Dio: essere uno in Cristo, secondo le parole del Vangelo di Giovanni: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (17,21).

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