Isaia 25,6-10a con il commento di Luca Tentoni



Dal libro del profeta Isaia
Is 25,6-10a 

Testo del brano
In quel giorno, preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach. Goldberg Variations. BWV 988-10. Variatio 9 a 1 Clav. Canone alla terza. Kimiko Ishizaka. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Luca Tentoni

Meditazione
Oggi il profeta Isaia ci regala il racconto di un grande banchetto sul monte. Il Signore preparerà un banchetto di grasse vivande e vini eccellenti per tutti i popoli. Possiamo pensare non a un comune pranzo festivo, ma ad un incredibile banchetto nuziale: simbolo di comunione d’amore tra il Signore e l’umanità. Da notare, che non sia una festa esclusiva, ma aperta a tutti i popoli, poiché tutti Egli ama indistintamente. Le nostre feste nuziali sono semplici, con posti assegnati e limitati. L’impressione è che questo banchetto non sia una risposta alla fame della gente, ma per farla avvertire. Chi è pieno di cose e di sé non può avvertire questa fame. Il Signore si rivolge ai poveri, gli anawîm, termine che etimologicamente nasce dal verbo anah, cioè “abbassare, affondare”, quindi “essere umiliato, afflitto, in condizione misera”. I poveri sono “affondati”, spinti in basso, resi curvi, schiacciati, calpestati, privati dell’aiuto degli altri. Una condizione causata da altri, una relazione che genera umiliazione. Se prendiamo il Magnificat, leggiamo: «Ha disperso i superbi, ha innalzato gli umili», appunto gli anawîm. Il superbo rimane narciso e basta a sé, non si interessa degli altri. L’umile si affida totalmente a Dio. L’immagine del banchetto sul monte ci accompagna a salire, quindi innalzarci, verso il Signore. Ritrovo molti legami, con diversi brani evangelici e mi soffermerei su Luca 16, il racconto del povero Lazzaro e il ricco. I ricchi nell’antichità, banchettando, ostentavano i propri averi. Per gli uomini comuni la festa era un’occasione rara, per i poveri era impossibile, in quanto erano privati del pane quotidiano. Festeggiavano la propria condizione privilegiata, senza mai pensare alla condivisione. Questo ricco innominato, in particolare, mai si era accorto di quel povero presente davanti alla sua porta, dunque mai aveva praticato quella carità che la Torah stessa esigeva, chiunque veda un povero che mendica e fa finta di niente e non gli dà la Tzedakà (“carità”) contravviene ad un precetto negativo: «Non indurire il tuo cuore e non chiudere la tua mano verso il tuo fratello povero» (Dt 15,7) . Quella carità che si trova anche nel Corano: oltre all’elemosina legale obbligatoria (zakàt) l’Islam prevede anche l’elemosina volontaria (sàdaqa). Si legge nel Corano: «Chi fa l’elemosina si assicura il Paradiso, e ”la misericordia di Dio è vicina a chi fa il bene” (7,56)». Si nota bene l’assonanza e la similitudine tra l’elemosina volontaria (sàdaqa) e la carità (Tzedakà). Il collegamento di queste carità interreligiose mi riporta a Giovanni 17,21: «Perché tutti siano una cosa sola». Tutti, nessuno escluso. L’amore del Padre verso l’umanità, il dono di sé del Figlio e la presenza Spirito ci innalza e rende testimoni nuziali a questo banchetto. Ma oggi qual è la malattia più profonda dell’uomo? Quella che papa Francesco ha definito in una sua omelia mattutina, la mondanità, cioè quell’atteggiamento che «oscura l’anima, rendendo incapaci di vedere i poveri che vivono accanto a noi con tutte le loro piaghe.. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose. Ma Gesù, nell’Ultima Cena, nella preghiera al Padre, cosa ha pregato? “Per favore, Padre, custodisci questi discepoli che non cadano nel mondo, che non cadano nella mondanità”. È un peccato sottile, è più di un peccato: è uno stato peccatore dell’anima» (Messa del 5 marzo 2015 presieduta a Casa Santa Marta).

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