Tutti i Santi (1 novembre)
«..oggi, in un unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio, allietata dalla loro protezione e coronata dalla loro vittoria davanti alla maestà divina nei secoli eterni». Con queste parole il Martirologio Romano introduce la solennità di questo giorno.
Ma chi sono concretamente i santi?
Tutto parte dall’Antico Testamento e dalla parola “santo”, che è quella che definisce per eccellenza Dio, un concetto cioè che esprime soprattutto la separazione (deriva infatti dal termine semitico qôdeš, la cui radice significa “tagliare, separare”, le cose sacre da quelle profane), la distinzione della sfera divina da quella umana. Insomma vuol sottolineare la diversità tra Dio e l’essere umano. Il profeta Isaia, però, getta un ponte tra queste due “sponde” così apparentemente lontane, specificando che Dio è il «Santo d’Israele», ovvero il “separato”, sì, ma allo stesso tempo appartenente a quel popolo lì. Il libro del Levitico osa ulteriormente, in cui è Dio stesso a dirci: «Siate santi perché io sono santo» (Lv 11,44), cioè “siate come me”! I santi, quindi, non dovrebbero essere l’eccezione, ma la norma dell’esistenza cristiana.
Eppure tutti noi abbiamo un’idea eccezionale di santità, vedendo in essi dei supereroi..
«I santi non sono dei superuomini, né sono nati perfetti. Sono come noi, come ognuno di noi.. – ci rassicura papa Francesco, che specifica – Ma cosa ha cambiato la loro vita? Quando hanno conosciuto l’amore di Dio, lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie.. Questa è la vita dei santi: persone che per amore di Dio nella loro vita non hanno posto condizioni a Lui.. (ma l’hanno spesa) al servizio degli altri..».
Perché, avendo Dio come Santo, sentiamo il bisogno di celebrarli e di farlo anche in un giorno cumulativo?
Il ricordo annuale, legato alla loro salita al cielo, cioè al dies natalis, al momento in cui sono morti a questo mondo ma nati a vita eterna, sta nel fatto che in essi si è compiuto il mistero pasquale di Cristo. Senza di essi ci mancherebbe un elemento importante, seppur non essenziale, del ricordo che la Chiesa fa dei misteri di Gesù nel corso dell’anno liturgico. L’idea di accomunarli in un solo giorno è legata a quella «moltitudine immensa» (cfr. Ap 7) di seguaci di Gesù, di cui parla la prima lettura della Messa di oggi, quei 144.000, simbolo della moltitudine chiamata alla salvezza. La cifra è data infatti dalla moltiplicazione di 12, le tribù d’Israele, per 12, il numero degli Apostoli che ad esse si richiama, per 1.000, il tempo dell’intervento di Dio nella storia umana. Un numero che sta a dirci inoltre come diverse e molteplici siano le strade per arrivare ad essere, e pienamente, ciò che in fondo siamo già, da sempre: figli di Dio. Forse basta “solo” prenderne coscienza..
Un numero simbolicamente molto importante, dunque.
Molto, soprattutto se associato ad un altro della stessa lettura, e non meno importante: quel sigillo (Ap 7,2-5) che indica la proprietà di una cosa e del rapporto di intimità che si ha con essa. I 144.000 sono cioè segnati con quel sigillo che dice appartenenza a Dio. Il termine, inoltre, dal II secolo in poi diventerà anche sinonimo del battesimo, sacramento col quale diventiamo figli a tutti gli effetti.
Come mai nell’Eucarestia di questa solennità viene proposto il Vangelo delle Beatitudini?
Perché è il termine di paragone col quale ogni cristiano dovrebbe confrontarsi continuamente, una sorta di test per verificare quanto è davvero cristiano, una specie di specchio capace, come nei racconti di magia, di mostrarci chi saremo in futuro e, quindi, chi siamo chiamati ad essere già adesso. Beato è tuttavia un termine da noi considerato forse un po’ troppo etereo, vago, significa invece “felice” (di essere ciò che sei), “congratulazioni!” (per questa chiamata), “rimettiti in piedi!”, e cammina verso quella meta meravigliosa che è il paradiso, sapendo di trovarlo già sulla terra.
Tornando alla data della celebrazione di oggi, come e quando nasce?
La sua origine è del IV secolo, quando la città di Antiochia celebrava tutti i martiri nella prima domenica dopo Pentecoste. L’introduzione di questa festa a Roma avvenne però duecento anni dopo, per essere fissata tuttavia nell’VIII secolo da Bonifacio IV in data 13 maggio, giorno della dedicazione del Pantheon alla Madonna e a tutti i martiri, chiamato da allora Sancta Maria ad Martyres. La celebrazione venne trasferita da papa Gregorio IV nell’835 in data 1° novembre, con ogni probabilità per ragioni pratiche: dopo il raccolto autunnale, era più agevole raccogliere il sostentamento necessario per le migliaia di pellegrini che si recavano nella città eterna in quel periodo.
Cosa ci lega a questi giganti della fede?
Anzitutto una vocazione comune, alla santità appunto, ad essere come Dio. Si badi bene, non Dio (questa è la radice del peccato d’origine), ma come Dio! Siamo chiamati cioè a tornare bambini e ad essere pienamente figli, destinati a diventare come loro Padre, anche se non Lui stesso. E ciò è possibile perché siamo stati fatti a sua immagine, siamo cioè “della stessa pasta”. E questo senza alcun merito.
Quale bisogno abbiamo di lodarli, se siamo chiamati a farlo soltanto nei confronti di Dio?
È quanto si chiede san Bernardo nell’Ufficio delle Letture di oggi: «Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora?». E si risponde: «è chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.. (ma) Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? ..No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia.. per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere».
Ma cos’è che ci aspetta concretamente? Qual è la nostra vera meta?
Lasciamo che a rispondere sia don Carlo Rusconi: «“Siamo diventati soci, partecipi della natura di Dio”, non di un sogno di Dio, di una ispirazione di Dio.. è come dire che, nella nostra persona, è avvenuto un salto di natura. È cambiato qualcosa, non siamo più uomini semplicemente, dividiamo la natura di Dio..». Ma cosa possa implicare tutto ciò, lo lasciamo dire nuovamente a lui: «come un bambino non capisce cosa voglia dire essere un uomo, ma nella sua crescita prima o poi arriverà ad intenderlo, così io.. non riesco a immaginarlo, però il tempo della mia crescita è il tempo che svolgerò, dentro di me, questa mia similitudine (a Dio)». Cioè: ognuno di noi è perfettamente se stesso nella misura in cui è immagine di Dio.. ecco il premio, la meta! Dunque «la festa dei Santi – conclude – è la festa del vertice della.. fedeltà di Dio all’uomo».
Oggi, in cui ci doni di contemplare la Gerusalemme del cielo che ci attende, ci affidiamo Signore all’amicizia e all’intercessione di quegli amici che ad essa ci conducono e in essa ci aspettano.
Recita
Massimo Alberici, Simona Mulazzani
Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri