Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (seconda domenica dopo Pentecoste)
Con la solennità di oggi, liturgia e pietà popolare – spesso in contrapposizione tra loro – si danno finalmente la mano, e camminano “a braccetto” cantando l’Amore degli amori!
Quando nasce e cosa celebra precisamente questo giorno?
Tale festa compare per la prima volta a Liegi, in Belgio, nel 1246, per essere poi estesa da papa Urbano IV all’intera Chiesa nel 1264. La relativa processione dell’Ostia consacrata, all’interno dell’ostensorio posto sotto un baldacchino o su un carro trionfale, si diffuse tuttavia solo nel XIV secolo. A tale proposito il Codice di Diritto Canonico raccomanda che tale processione sia «pubblica testimonianza di venerazione verso la santissima Eucaristia» (can. 944 §1).
Come fanno in concreto, liturgia e pietà popolare, ad accordarsi su questa celebrazione?
Bisogna che entrambe non dimentichino cos’è la presenza sacramentale del Corpo e del Sangue del Signore, ovvero una conseguenza di quanto accade nella Messa. Cioè: noi oggi diamo grande importanza all’Ostia (dal latino “vittima”) custodita nel tabernacolo, e quindi possiamo portarla per le strade delle nostre città, solo perché durante l’Eucarestia le sostanze del pane e del vino sono diventate misteriosamente Corpo e Sangue di Cristo. La conservazione delle Ostie consacrate in chiesa, ha infatti come primo e primordiale scopo quello di permettere l’amministrazione del viatico ai moribondi, e, come fini secondari, la distribuzione della comunione e l’adorazione del Signore fuori della Messa. Chi sottolinea il primo scopo parla di custodia eucaristica, chi invece sottolinea i secondi preferisce il termine tabernacolo, che in latino significa “capanna mobile, costruzione di legno”.
Che cos’anno da dirci i termini consacrazione e transustanziazione, tanto difficili da intendere?
Quella di consacrare è un’azione propria di diverse religioni, e indica il passaggio di una persona, cosa o luogo, dalla sfera del profano a quella del divino, per mezzo di un rito. La Chiesa cattolica prevede la consacrazione dei vescovi, delle vergini, delle chiese, degli altari, ecc.. in particolare del pane e del vino, che, durante la Messa sono trasformati, come già detto, in Corpo e Sangue di Cristo. Tale mutazione delle sostanze di pane e vino in Corpo e Sangue – pur rimanendo sotto le sembianze sensibili (chiamate specie) – viene chiamata dalla teologia medievale, appunto, transustanziazione.
Chissà perché Dio ha voluto comunicarsi a noi proprio in questo modo?
Lasciamo che sia Tommaso d’Aquino a spiegarcelo: «L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi. Tutto quello che assunse lo valorizzò per la nostra salvezza.. Perché rimanesse in noi, infine.. lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino..». Parole molto ardite, ma se le ha pronunciate San Tommaso, beh, possiamo fidarci. Dio e l’uomo hanno infondo lo stesso reciproco desiderio di comunione: l’uomo desidera Dio ed Egli desidera ancor di più l’uomo! Tale desiderio viene allora soddisfatto grazie ad un’altra creatura divina, la terra: «Interroga la vecchia terra, ti risponderà sempre col pane e col vino», scriveva il poeta, diplomatico e drammaturgo francese Paul Claudel.
Parlando dell’eucarestia, si dice spesso che sia il “memoriale della Pasqua”, cosa s’intende con questa espressione?
Memoriale non significa semplicemente ricordo, ma presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo. Ogni volta che celebriamo l’eucarestia, ripresentiamo cioè quanto avvenuto sulla croce, questo però non “come se” avvenisse oggi, poiché avviene oggi. Il concetto di memoriale è biblico, nella Sacra Scrittura, infatti, il “ricordo” introduce nuovamente il fedele nella vicenda della salvezza operata da Dio in passato, reintroducendolo in quell’oggi che sintetizza passato, presente e futuro. L’eucarestia è in pratica ricordo della morte e risurrezione di Gesù, ma anche certezza della sua continua presenza tra noi, nell’attesa che egli torni definitivamente!
Che valore può avere tutto ciò per l’uomo d’oggi?
Spesso pensiamo di trovarci in una fase storica più critica di altre, ma questo è forse il pensiero che attraversa l’uomo di ogni epoca. Noi, come gli uomini dell’Antico Testamento, siamo continuamente alle prese con il nostro orgoglio tecnicistico, con la nostra pretesa di autonomia e indipendenza economica, idee che in sé contengono la giusta spinta al progresso, ma anche e soprattutto l’antico peccato d’origine, quello cioè di superbia e autosufficienza. La volontà, in sostanza, di sostituirsi a Dio (considerato come despota o “datore di lavoro”), non accettando la nostra condizione di figli.
Come si può tradurre questo in termini di atteggiamento?
L’eterna sfida che si para di fronte all’uomo di ogni tempo è quella tra staticità e dinamicità, tra il rimanere fermo, ancorato ad un passato spesso mitico, oppure essere proteso al futuro, sempre in cammino, senza mai dimenticare però le proprie radici (ovvero la propria identità) e il fatto che tutto ciò che viviamo nel presente è dono. Non a caso sia la lingua italiana che quella inglese traducono “regalo” proprio con “presente”. L’eucarestia è allora da celebrare come la Pasqua, in piedi, cioè in perenne tensione, «finché egli venga», come dice Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (1 Cor 11,26). Siamo pellegrini su questa terra, cercatori di Dio che vanno incontro al loro Signore. E’ in fondo quanto accade nella processione del Corpus Domini..
«Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre, ravviva in noi il desiderio di te, fonte inesauribile di ogni bene: fa’ che, sostenuti dal sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi, tuoi convitati alla mensa del regno» (Colletta anno A).
Recita
Massimo Alberici, Simona Mulazzani
Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri