Santi martiri innocenti
Come mai oggi, appena tre giorni dopo la nascita del Bambino venuto per salvarci, celebriamo la festa di bambini uccisi a sangue freddo?
«Ascolta: se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l'armonia eterna, che c'entrano qui i bambini? Rispondimi, per favore. È del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro e perché tocca pure a loro comprare l'armonia con le sofferenze. Perché anch'essi dovrebbero costituire il materiale per concimare l'armonia futura di qualcun altro? La solidarietà fra gli uomini nel peccato la capisco, capisco la solidarietà nella giusta punizione, ma con i bambini non ci può essere solidarietà nel peccato, e se è vero che essi devono condividere la responsabilità di tutti i misfatti compiuti dai loro padri, allora io dico che una tale verità non è di questo mondo e io non la capisco».
Queste sono le parole di Ivan che, ne I fratelli Karamàzov di Dostoevskij, protesta nei confronti di Alëša, dando voce alle tante che, nella storia, non accettano la sofferenza innocente, prima fra tutte quelle dei bambini.
Ma cosa c’è di così inaccettabile nella sofferenza di un bambino? Se infatti la cronaca ci parla di una guerra, forse – almeno ormai per abitudine – possiamo rimanere impassibili, ma se la stessa notizia comunica sofferenze o decessi di bambini, ecco un automatico sussulto del cuore con relativo turbamento.
Probabilmente la ragione di ciò sta nel significato stesso della parola innocente, letteralmente “colui che è incapace di nuocere”, chi, insomma, non è in grado di fare del male, neppure di difendersi. All’affetto per una creatura inerme, ancora incapace di commettere del male, si aggiunge allora la rabbia per chi ha agito trovandosi davanti qualcuno incapace di opporre resistenza. Un atto di vigliaccheria insomma. Il significato latino del termine infante poi – altro sinonimo per designare i piccoli –, ci dice che il bambino è “chi non parla”, chi è senza voce, in-fans, appunto.
Il bambino piccolo, quindi, è non solo colui che non può difendersi, ma neppure discolparsi!
Tornando alla celebrazione odierna, sappiamo che ha origini molto antiche, risale infatti al IV secolo. Se inizialmente aveva un rimando immediato al lutto, la nuova riforma liturgica gli ha dato un carattere più gioioso, mentre nel 1500 è stata elevata al grado di festa da San Pio V.
Nel libro dell’Esodo leggiamo: «Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei.. Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere.. Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina» (Es 1,15-16.22).
Se dall’Antico passiamo al Nuovo Testamento, ecco le parole del vangelo: «Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il territorio e che avevano da due anni in giù..» (Mt 2,16).
Questo episodio è riportato solamente da Matteo, e non a caso: in relazione con la vicenda narrata in Esodo, l’evangelista ha a cuore il voler mostrare che Gesù è il nuovo Mosè. Come quest’ultimo, infatti, è riuscito a salvarsi dalle grinfie di un uomo che pensava di guadagnarsi la vita attraverso il potere terreno. Nel primo caso abbiamo il Faraone, nel secondo Erode, ma “la musica è sempre quella..”. Se un bambino è stato salvato.. quel Bambino ci ha salvati.
Intercedete per noi, piccole creature di Dio, affinché anche noi, un giorno, possiamo tornare bambini..
Recita
Cristian Messina, Riccardo Cenci
Musica di sottofondo
Arrangiamento con chitarra di Gabriele Fabbri