Il Dio dei padri di chi? (La Bibbia secondo Aldo Cazzullo)



Il Dio dei padri di chi?
Nel 2024 il podio dei libri più venduti in Italia vede al terzo posto L’orizzonte della notte del barese Gianrico Carofiglio, al secondo Un animale selvaggio del giovane svizzero Joël Dicker, e al primo, con relativa sorpresa, un testo del cuneese Aldo Cazzullo. Sorpresa perché è pur sempre della Bibbia che si parla, libro che detiene il curioso record (non sarà mai eccessivo ricordarlo) di più posseduto e, al tempo stesso, meno letto. Relativa perché stiamo in ogni caso parlando di uno scrittore coi fiocchi, capace di spaziare antropologicamente in ogni meandro dell’animo umano, ma sempre con occhio attento alla politica e soprattutto alla storia: se nel 2019 dà alle stampe La guerra dei nostri nonni, ecco che cinque anni più tardi vede la luce Il Dio dei nostri padri, cui seguirà un altro successo nel’25, Francesco. Il primo italiano, che si contenderà il primato delle classifiche con San Francesco del seguitissimo Alessandro Barbero.

Ma torniamo a Il Dio dei nostri padri, che nasce da un episodio personale, che ha segnato profondamente l’autore: il 24 ottobre 2023, mentre si trovava sul palco di un teatro di Madrid, è colto da una «premonizione fortissima: era accaduto qualcosa a papà». Riacceso il telefonino cerca immediatamente di scoprire se tale premonizione era vera: al padre rimanevano “poche ore di vita”. Così si espressero i medici. Raggiunti i parenti in ospedale, ad attenderlo c’era il morente «seduto sul letto che conversava con gli infermieri». Incredulo e ipotizzando uno scherzo di cattivo gusto, capì che quanto stava avvenendo era inspiegabile perfino per i medici..

«Ho ricominciato a leggere la Bibbia al capezzale di mio padre», questo è l’incipit del capolavoro –  non esitiamo a dirlo – di Cazzullo, nel cui prologo è già presente lo scarto generazionale esistente intorno al Grande Codice occidentale, per dirla col critico letterario Northrop Frye; detto altrimenti: cos’ha ancora da dire a noi oggi la Sacra Scrittura? A noi, oggi, perché «I nonni erano certi dell’esistenza di Dio e dell’aldilà come del fatto che il sole sorge e tramonta», ma la generazione dello scrittore «è stata la prima [...] di agnostici, che sapeva di non sapere. Poi sono venute generazioni che non hanno coltivato neppure i dubbi: non si sono proprio poste il problema. Al tempo della Rete, del resto, passato e futuro non esistono: chiedersi da dove veniamo e dove andiamo non usa più». Davvero «non usa più»? Davvero «passato e futuro non esistono»? L’interesse per il libro di Cazzullo sembra in qualche modo dire il contrario.

Elisa Mascellani, in un articolo apparso su Settimananews.it, del 3 febbraio 2025, si chiedeva come mai personaggi del calibro di Enzo Bianchi, Massimo Recalcati o Vito Mancuso riempiano i teatri parlando di fede e religione, mentre le chiese si svuotano. Risposta: «insieme al rifiuto di un’autorità costituita in materia (e se c’è, deve mettersi sulla stesso piano di altre voci), alla ricerca di punti di vista diversi, alla preferenza per spazi e ambienti non ecclesiastici, vediamo una domanda di spiritualità tanto evidente quanto incerta e varia nei suoi contenuti e nei suoi percorsi, che non sarebbe giusto eludere o derubricare a mera curiosità. Una ricerca spirituale – prosegue l’autrice – di cui la Chiesa cattolica ha smesso da tempo di avere l’esclusiva, anche se pare non volerne prendere atto». Per poi aggiungere che il seguito ottenuto da Cazzullo è dovuto al fatto che l’autore sappia narrare la Bibbia “mettendoci del suo”, attualizzando cioè il testo sacro con le proprie vicende personali, che in fondo sono più o meno quelle di tutti, in cui pertanto è facile riconoscersi e ritrovarsi. Il punto è proprio questo: sperimentare che un testo datato ha qualcosa da dire – e che “qualcosa” – anche a noi oggi. La Mascellani, che non risparmia critiche anche ingiuste all’autore, si chiede «perché, con tanta fame di Bibbia, dai veri esperti non arrivi, per tutti, credenti e non, una buona e bella divulgazione». La risposta la lasciamo a quelli che lei chiama “veri esperti”, e passiamo la palla all’economista e giornalista ascolano Luigino Bruni, che il 19 ottobre 2024 definiva il successo di Cazzullo, sul quotidiano cattolico Avvenire, «una sorta di commento e riassunto di alcuni libri biblici dell’Antico Testamento – come se il Nuovo non fosse parte della fede dei suoi e dei “nostri padri”: i riferimenti a Gesù si trovano, qua e là, come profezia e annuncio di Isaia o Ezechiele». Che la scelta di campo di non addentrarsi nella Seconda Alleanza lasci perplessi, beh, è più che condivisibile, come il tentativo di Cazzullo di definire la Bibbia un romanzo, essendo questo un genere letterario moderno, incapace di unire la diversità che raduna i 73 libri del testo sacro, almeno secondo il computo cattolico. L’autore cuneese fa una cernita dei libri storici, quelli più ricchi di personaggi e trame, sostenendo che Dio sia «il solo grande protagonista», ma anche questo è vero solo in parte: la Scrittura è un continuo dialogo – non senza fraintendimenti – umano-divino. Non solo, in alcuni libri – come Rut, Ester, il Cantico o Qoèlet – l’Eterno quasi non compare neppure. Un ultima critica, forse la più importante, mossa dal saggista marchigiano a Cazzullo, è che quest’ultimo fa subito outing: «mentirei se dicessi che la lettura della Bibbia mi ha riavvicinato alla fede», ma, conclude Bruni, «per scrivere un commento alla Bibbia, che non voglia essere soltanto esercizio retorico, occorre lasciare almeno uno spiraglio aperto al mistero, credere che, al di là dei nostri dubbi, quella Voce che nella Bibbia ha parlato ai padri, alle madri e ai profeti, non era tutto e solo auto-inganno, e che quindi la fede dei nostri padri poggiasse su qualcosa di più vero di false consolazioni in buona fede. Altrimenti – conclude Bruni – si arriva alla fine del libro e scopriamo che le pagine lette ci hanno donato informazioni e utili conoscenze, ma non ci hanno generato l’unico desiderio che la Bibbia dovrebbe donarci: il desiderio di tornare a vedere Dio, o almeno sognarlo». 

Veniamo finalmente al libro, finora solo o quasi criticato piuttosto negativamente. Già nel prologo viene esplicitata la ragione principale per cui ognuno di noi dovrebbe approcciare il testo sacro: «Le pagine della Bibbia non sono soltanto le fondamenta della nostra fede; sono l’origine della nostra cultura. Chi volesse risalire alle radici dell’identità italiana, cristiana, occidentale, prima o poi arriva alla Bibbia. E da qui deve cominciare». Vero motivo per cui, aggiungiamo noi, non leggerla a scuola risulta ancor più incomprensibile! Ma su questo soprassediamo..

Cazzullo parte alla grande: «Non mi viene in mente un attacco altrettanto memorabile […] Nessun attacco vale quello della Bibbia. Non so se la Bibbia sia stata scritta davvero da Dio. Di sicuro, è scritta da dio». E con un incipit così, anche il lettore meno avvezzo.. è già conquistato! Lettore che però avverte fin da subito: «Alla nostra sensibilità, alcuni passi suonano datati, fuori tempo, talora terribili: schiavitù, poligamia, massacri». Ci tiene insomma a chiarire che non si sta addentrando, come spesso si crede, in un trattato sulla bontà divina.

Qual è il Dio che tratteggia l’autore? Riferendosi a quello del secondo racconto di creazione, dice che «è molto diverso dal primo. È meno solenne. Non dà l’idea di essere onnipotente e onnisciente […] È un Dio artigiano: impasta la terra come un vasaio; pianta gli alberi come un contadino; taglia, estrae e ricuce come un chirurgo». Quanto alla sua onniscienza, aggiunge: «È meravigliosa – scrive riferendosi alla visita ad Abramo da parte dei tre alle querce di Mamre – , questa scena in cui Dio dimostra di sapere tutto, ma di accettare con benevolenza quasi divertita l’incredulità degli uomini».

Una divinità che fatica a concedere il suo nome: «Ma perché Dio è così sfuggente? Perché dà […] una non risposta? Dio in sostanza non vuol essere chiamato per nome […] ma anche nel cristianesimo non c’è un nome proprio per indicare Dio, lo chiamiamo Dio e basta. Questo perché i nomi servono per distinguere un essere da un altro. Ma se Dio è uno solo, non ha bisogno di un nome proprio. È Dio, e basta». Non fa una piega..

Se Aristotele (384/83-322 a.C.) definiva l’essere umano “animale razionale”, il filosofo Ernst Cassirer (1874-1945) preferiva “animale simbolico”, mentre il cardinale belga Julien Ries (1920-2013), conosciuto soprattutto come grande storico delle religioni, riteneva più opportuna la definizione di “animale religioso”; ma se uomini e donne sono religiosi – pensano i più – è perché temono di morire. Che questa sia “la grande domanda” di sempre, non è una novità, ma cosa dice la Bibbia a riguardo? Anzitutto non teme di affrontare la morte, e neppure il suicidio. Cazzullo cita Achitofel, prima fidato consigliere di Davide, poi suo traditore, macchia che lo portò a togliersi la vita, «l’unico suicidio deciso ed eseguito con freddezza […] Altri, come Saul, decidono di togliersi la vita in condizioni drammatiche, per sottrarsi alla cattura: oppure, come Sansone, vistisi perduti trascinano nella morte anche i nemici. Nel Vangelo, Giuda si impiccherà per il rimorso di aver venduto Gesù […] Non c’è, nella Bibbia, un’esplicita condanna morale per il suicidio […] Però Dante, da cristiano, colloca i suicidi nella selva infernale: “Uomini fummo, e or siam fatti serpi”. Ma se l’inferno – prosegue – , come ipotizzava il grande teologo Hans Urs von Balthasar potrebbe essere vuoto, allora avrebbe ragione Fabrizio De André, quando nella “Preghiera in gennaio” immagina il Signore baciare in fronte i suicidi, e dire loro di andare con lui in Paradiso, perché nel mondo di Dio l’inferno non esiste». In queste poche righe c’è tutta l’attrattiva che lo scrittore ha saputo generare attorno al testo biblico, attualizzandolo col cantautore genovese, passando per il teologo svizzero e il sommo poeta. Come a dire che la Bibbia è un libro vivissimo, oggi come e forse più di ieri. Sottolinea inoltre come le temutissime genealogie, in primis dai lettori, concorrano a dirci qualcosa sul tema: «Noi non siamo figli di Caino, ma di Set, il figlio che Adamo ha avuto dopo la morte di Abele. È una genealogia meravigliosa. Vite infinite, vecchiaie senza tempo, che assomigliano all’immortalità […] Oggi siamo tornati ad accettare il mito dell’immortalità. Clonazione, trapianti, intelligenza artificiale: Elon Musk vagheggia di creare cyborg, super-esseri che avranno come cervello un computer e come memoria la Rete […] Ma il vero obiettivo di Musk è ancora più ambizioso: l’immortalità […] Fantascienza, certo. – per poi ricordarci che – Doveva sembrare fantascienza ai nostri bisnonni l’idea di volare sulla luna, ai nostri nonni di girare con un telefono in tasca, ai nostri padri di collegare tra loro tutti i computer, tutti i telefonini, tutte le persone. Nell’attesa che il sogno o l’incubo dell’immortalità si compia – conclude – , secondo le statistiche l’essere umano vissuto più a lungo è Jeanne Calment, la decana dell’umanità, la nonna del mondo, vissuta 122 anni». E dell’aldilà, che si dice nella Scrittura? «L’aldilà esiste, ma è un luogo privo di interesse. Un abisso […] al più, un eterno purgatorio. Una sopravvivenza quasi spettrale, in un luogo sotterraneo chiamato Sheol. Per questo la Bibbia ci fornisce di continuo genealogie […] La vera vita eterna è affidata ai figli, ai nipoti, alla discendenza. Nella cultura ebraica soltanto con il tempo, non molto prima della nascita di Gesù, si affaccia l’idea di una giustizia ultraterrena […] E la ricompensa a volte viene concepita come l’immortalità dell’anima». Ma il cristianesimo, si appresta a precisare due pagine dopo, «Predica la resurrezione della carne. È questo uno dei punti più difficili da accettare anche per il credente. È questa una delle cose che i pagani non capivano dei cristiani».

Cazzullo passa agevolmente dal più ostico dei tabù alle questioni più attuali, di cui il cattolicesimo fatica ancora a farsi carico, come quella animale: «La vita umana vale più di quella animale, ma questo non autorizza l’uomo a mancare di rispetto agli animali: al contrario. L’uomo mangerà piante e frutti: all’inizio è vegetariano, se non addirittura vegano; soltanto dopo il diluvio sarà autorizzato a mangiare carne». «Dopo il diluvio – prosegue – comincia una nuova stagione, in cui gli esseri umani sono più che mai al vertice della creazione, al punto che possono cacciare e cibarsi di qualsiasi animale […] L’uomo può ora mangiare la carne, ma senza sangue; perché il sangue è simbolo della vita, e la vita appartiene soltanto a Dio. Dio però rinnova la sua alleanza anche con gli animali, pur soggetti all’uomo […] Oggi in Occidente gli animali a volte sostituiscono gli uomini, i cani e i gatti prendono il posto dei figli, non a caso ricevono nomi umani […] Di sicuro – conclude – , amare e rispettare gli animali non significa umanizzarli: non è detto che un cane viva meglio se lo si tratta come un bambino». Come dargli torto?

E del male, cosa dice il testo sacro? Dice che, ridiamo la parola al cuneese, «è dentro di noi. La vera tentazione è la superbia, l’egoismo, il narcisismo. È l’illusione dell’eternità e dell’onniscienza, che oggi hanno la forma della clonazione e dell’intelligenza artificiale». «Il mistero del male e dell’ingiustizia – scrive parlando di Giuditta – non si risolve incolpando Dio, né attendendo immobili che Dio intervenga. Il male va combattuto […] Molti si innamorano di Giuditta, ma lei non volle risposarsi con nessuno. Ci sono donne che continuano per tutta la vita ad amare l’uomo che hanno perso ancora giovani: non sono vedove, sono mogli. […] Morì a centocinque anni, e il popolo la pianse per sette giorni». Quanto a colui che col male viene in qualche modo identificato, Cazzullo precisa: «Il diavolo nell’Antico Testamento non ha un ruolo da protagonista. Non è l’incarnazione del male […] il male, in verità, è dentro di noi. Ogni tanto, però, il diavolo viene citato o evocato come tentatore. C’è il diavolo dietro il serpente che induce Eva […] C’è il diavolo dietro la decisione superba di Davide di contare i guerrieri del suo popolo. A volte […] può tentare persino Dio […] però può essere sconfitto da un angelo». Poi cita Giobbe, il quale chiede giustamente alla moglie: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?». Facile a dirsi, un po’ meno ad accettarlo..

Se la Bibbia «è il primo testo ad affermare l’uguaglianza di tutti gli uomini […] il primo a escludere i sacrifici umani», è pur vero che in essa permangono accadimenti quanto meno discutibili.

Per sottolineare l’attualità di alcune figure del Primo Testamento, scrive che Abramo «Pur di obbedire a Dio – e alla moglie – […] abbandona il suo stesso figlio»; mentre «Davide può essere ognuno di noi, quando sceglie una causa giusta per quanto improbabile»; cita quindi il poeta portoghese Fernando Pessoa, per evidenziare l’originalità e la complessità del libro del Qoèlet rispetto alla mentalità biblica in cui s’inserisce: «Mi sono spogliato, mi sono dato, e in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente»; menziona quindi le nozze riparatrici, narrate nella vicenda di Dina, «la figlia di Giacobbe e Lia, (che) uscì per fare amicizia con le ragazze del posto. Il principe, che si chiamava appunto Sichem, la notò, la fece rapire e portare a palazzo, e le usò violenza. “Ma poi egli rimase legato a Dina: s’innamorò” […] Sichem e suo padre, Camor, pensano a un matrimonio riparatore. Un’antica usanza, che in Italia è rimasta legale fino al 1981. Lo prevedeva il codice Rocco: lo stupratore che sposava la vittima vedeva estinto il reato; perché lo stupro era un reato contro la morale, non contro la persona; le nozze avrebbero restaurato l’onore offeso. Ma nel 1966 una ragazza siciliana, Franca Viola, fu la prima a rifiutare pubblicamente di sposare l’uomo che l’aveva violentata, dicendo: “L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”».

Che dire poi della tanto citata, spesso a sproposito, legge del taglione? «È una legge – puntualizza Cazzullo – comune a molti codici mediorientali del tempo, non solo a quello di Hammurabi […] non deriva da tagliare, ma dalla radice latina tal, pesare, o da talis, tale: la pena deve corrispondere al delitto. Nasce per mettere un limite alla vendetta, per evitare reazioni sproporzionate. Sarà superata dal cristianesimo, dall’invito a porgere l’altra guancia, a perdonare […] settanta volte sette, cioè senza limiti».

Eppure il testo sacro è molto violento, aspetto sul quale si tende spesso a soprassedere.. commentando Nm 25,1-16, Cazzullo afferma: «Il Signore ordina a Mosè di “appendere al palo in faccia al sole” tutti coloro che hanno ceduto al dio rivale (Baal, ndr.)». Il Signore si placa solo quando Fineès, «figlio del sommo sacerdote Eleàzaro, non trapassa con una lancia una coppia sacrilega, formata da una donna madianita e dall’Ebreo che lei aveva condotto all’idolatria». Ma a quel punto le vittime sono già 24.000! Un nuovo censimento dei maschi adulti certifica che, della generazione precedente, non sono rimasti che Giosuè, Caleb e Mosè.. Ma la scena biblica più violenta il giornalista la introduce con un paragrafo intitolato Una storia terribile (che potete anche saltare), e che inizia così: «La Bibbia non è un libro edificante […] Questa storia, insomma, potete anche saltarla […] Ma c’è. Fa parte della Bibbia. Non trovo giusto tacerla». Il capitolo 19simo del Libro dei Giudici narra in pratica, sulla scia del più noto episodio di Sodoma, di un uomo che, per evitare l’abuso che dei mascalzoni avrebbero inflitto al suo ospite, un levita – e la sacralità dell’ospitalità biblica è nota – , concede loro sua figlia, ancora vergine, e la concubina dell’ospite: «Sfogatevi con loro e fate quel che volete. Ma non fate un oltraggio simile al mio ospite» (Gdc19,24); in pratica: violentate loro, ma non toccate l’ospite!? Siccome i manigoldi non volevano saperne, l’anziano scelse di dar loro in pasto la concubina dell’ospite, e la povera donna fu violentata «per tutta la notte». Al mattino, uscito per andarsene, il levita trovò la compagna morta e, caricatala su un asino, la portò a casa e la divise in dodici pezzi, inviandone uno ad ogni tribù d’Israele, affinché si riflettesse sull’accaduto. Siccome il misfatto aveva avuto luogo nella città di Gabaa, appartenente alla tribù di Beniamino, quest’ultima aveva in qualche modo attentato all’unità dell’intero popolo.. risultato? 25.000 uomini della tribù beniaminita vengono uccisi in una guerra civile.     

Lo scrittore piemontese affronta anche il tema dello spazio religioso, quando, riferendosi all’accampamento del popolo, dice che «è disposto secondo un ordine militare: al centro la tenda dove Mosè incontra Dio, circondata dai Leviti, i sacerdoti; intorno le tribù disposte a quadrato, tre per lato; in particolare a oriente, nella direzione di marcia verso la terra promessa, è schierata la tribù più forte, quella di Giuda. E il Signore è sempre in mezzo al popolo, rassicurante e nello stesso tempo incombente, protettivo ma a volte anche spietato». Tenda del convegno in cui l’Arca dell’Alleanza, concretamente una cassa costruita da Mosè, contenente le due tavole dei Comandamenti, il bastone di Aronne e un vaso di manna, viene attualizzata da Cazzullo attraverso il celebre colossal di Spielberg del 1981, I predatori dell’arca perduta: l’archeologo Indiana Jones, inventato da George Lucas, che rischia la vita pur di impedire ai nazisti di impadronirsene. Dove sia finita, si chiede il giornalista di Alba, «è uno dei grandi misteri della storia». Ma lo spazio cui ognuno di noi è destinato è Gerusalemme, che «sarà un giorno il luogo della riconciliazione per tutti i popoli della terra. Quel giorno purtroppo non è oggi. Ma è un miracolo che Dio ha promesso. E lo farà; perché alla fine gli angeli sono destinati a prevalere sui demoni».

Se l’autore ha riscosso così tanto successo, probabilmente è perché ha saputo dirci che quanto narrato dalla Bibbia ha a che fare con noi oggi, che forse la conosciamo indirettamente, mediata da altro. Un esempio su tutti: per parlare della profezia Cazzullo chiama in causa Ezechiele, o meglio Quentin Tarantino, che in Pulp Fiction fa dire a Samuel L.Jackson una lunghissima profezia al fine di spaventare le sue vittime: «Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dall’iniquità […] E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te». In realtà, precisa il giornalista, «né Ezechiele né Dio hanno mai pronunciato queste parole. Tarantino le ha trovate […] in un film giapponese del 1976, “Karate Kiba”». Geniale! È la morte del padre ad avergli suscitato questo libro.. come non concluderlo, allora, con una presa di posizione sulla domanda che assilla l’essere umano di ogni tempo? «Com’è scritto nel libro della Sapienza, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, a immagine e somiglianza […] della sua natura. Dio non ha creato la morte. La morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo […] Il vero regno dei morti è sulla terra. “La giustizia, infatti, è immortale”».

Ma l’ultima parola di Cazzullo è, come si conviene, di ringraziamento: per la vicinanza del cardinale Matteo Zuppi e per i consigli del biblista Gianfranco Ravasi, «nella speranza che gli esperti resistano alla tentazione di presentare come imperdonabili errori quelle che sono semplicemente interpretazioni diverse». Che dire? Meraviglioso..

  

Recita
Cristian Messina

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