Canzone senza fine (Bibbia e Musica)



Testo della catechesi 
Uno dei più grandi direttori d’orchestra, lo statunitense Leonard Bernstein (1918-1990), sosteneva che «La musica può nominare l’innominabile e comunicare l’inconoscibile». Se i Greci ritengono che l’invenzione della musica sia da attribuire a Pitagora (vissuto tra il VI e il V a.C.) e a Diocle (vissuto invece tra il III e il II, sempre prima dell’era cristiana), nella Sacra Scrittura il primo cantore e musico è un discendente di Caino, Iubal: «egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto» (Gn 4,21). Il suo nome potrebbe rimandare a yobel, “ariete” o “corno d’ariete”, uno dei primi strumenti musicali. Non solo, potrebbe essere legato anche alla radice del termine giubileo, antichissima festa ebraica che si celebrava ogni cinquant’anni e che, appunto, aveva inizio proprio tramite il suono dei corni. Perché quest’introduzione? Perché vorremmo tentare, azzardando ma non troppo, l’accostamento tra Bibbia e musica, muovendoci attraverso il tempo e quegli artisti che, più o meno velatamente tale accostamento lo hanno cavalcato. Cominciamo col celebre Paul David Hewson, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Bono Vox, famosissimo frontman degli U2 che, nell’introduzione a I Salmi, edito da Einaudi nel 2000, scriveva: «Quando avevo dodici anni ero un fan di David (personaggio biblico di cui porta il nome, ndr), era una figura familiare.. come può essere familiare una popstar. Le parole dei salmi erano poetiche e religiose insieme, e lui era una star. Un personaggio drammatico, perché prima che la profezia si compisse e David diventasse re d’Israele, gliene capitarono di tutti i colori. Fu costretto all’esilio e finì in una grotta.. dove dovette affrontare una tremenda crisi d’identità e si sentì abbandonato da Dio. Ma proprio qui la soap opera si fa interessante: pare infatti che in quella grotta David abbia composto il primo salmo, un blues: l’uomo che grida a Dio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Sal 22,2)». 

Ma Bono non è ovviamente il solo. «Ispirandosi direttamente alla Bibbia – ci fa notare il teologo francese Éric Denimal – , un numero considerevole di musicisti e compositori hanno scritto pagine straordinarie e indimenticabili: Bach, Beethoven.. Brahms, Bruckner.. Debussy, Händel, Haydn.. Monteverdi, Mozart.. Puccini.. Rossini (con il suo Mosè, ndr).. Stravinskij.. Verdi (col Nabucco, ndr), Vivaldi, Wagner.. e l’elenco è incompleto!». Tra costoro svetta senza dubbio il primo citato: Johann Sebastian Bach, Giovanni Sebastiano Ruscello, per dirlo all’italiana. Da devoto protestante qual’era, dunque particolarmente attento al testo biblico, ebbe come prima preoccupazione quella di “accordare” la musica ai testi. I temi a lui più cari furono la figura del serpente, il dolore, la morte e la risurrezione, gli angeli, che a Natale scendono dal cielo per poi risalirci, ragion per cui inserisce delle scale melodiche discendenti e ascendenti! 

I gesuiti Christoph Theobald e Philippe Charru hanno presentato a Roma nel 2013 La teologia di Bach. Musica e fede nella tradizione luterana, che inizia con questa bella e suggestiva immagine: «Considerare la relazione fra la musica di Johann Sebastian Bach e la Bibbia ci spinge – prima ancora che ad aprire uno spartito musicale – a varcare il portale della chiesa di San Tommaso a Lipsia e osservare ciò che si offre allo sguardo.. un pulpito imponente.. (e) la tribuna del grande organo. Lo spazio ecclesiale è così ritmato da questi due luoghi altamente simbolici, il pulpito del pastore e la tribuna del Cantor. Due luoghi e due ruoli senza dubbio differenti, ma tuttavia ordinati, l’uno all’altro, a un solo e medesimo compito: la proclamazione della parola di Dio nella comunità dei fedeli». Tale incipit arriva immediatamente al cuore del libro: la musica di Bach è figlia dell’ascolto della Sacra Scrittura. «Fides ex auditu!», dicono quelli colti citando la Lettera ai Romani al capitolo 10 versetto 17. San Paolo dice senza mezzi termini che la fede proviene dall’ascolto, pensiero dal quale Martin Lutero ha elaborato, in qualche modo, una “liturgia” che valorizza l’ascolto a discapito dei restanti quattro sensi. Per contro, la poca attenzione che la Chiesa cattolica dedica all’udito è ben evidenziata dalla centralità che fatica a dare all’ambone, spesso relegato ai margini dello spazio liturgico o, ancor peggio, ridotto a semplice leggio che nulla ha a che fare con l’altra mensa di cui i fedeli si nutrono, quella eucaristica. Tornando a Bach, il giurista e musicologo Gianni Long di lui scriveva: «come compositore sacro ha due caratteristiche essenziali: è biblico ed è comunitario. È biblico perché il suo riferimento alla Scrittura è costante.. al suo tempo le Passioni “alla moda” erano scritte su testi interamente contemporanei che parafrasavano liberamente i racconti evangelici e ne estraevano solo quanto interessava. Bach invece segue integralmente e fedelmente (tranne le interpretazioni nella Johannes-Passion) gli evangelisti Giovanni e Matteo e compie un costante sforzo per armonizzare i corali e i brani solistici con ciò che è detto nei recitativi tratti dalla Scrittura», e aggiunge: «pure nelle cantate.. mantiene un nesso preciso e studiato con il vangelo del giorno, con il sermone a cui le cantate facevano corona». Se pensiamo alla mancata aderenza biblica che hanno talvolta i nostri attuali “canti di chiesa”.. diciamo che erano altri tempi.

Subito dopo Bach è impossibile non menzionare Beethoven che, a detta dello scrittore e drammaturgo francese Romain Rolland, premio Nobel per la letteratura nel 1915, fu portavoce presso gli uomini di quanto Dio ha da dirci, e questo senza mitigarne il vigore.     

«L’arte musicale al servizio della celebrazione di Dio – è di nuovo Denimal a parlare – è stata incoraggiata da diversi teologi, a partire da sant’Agostino.. Tuttavia, la Chiesa fu più prudente, diffidando di alcune espressioni musicali di origine popolare e profana, considerandole segni di frivolezza e debolezza che avrebbero potuto aprire la porta al diavolo. Come già avvenuto per il teatro, alcuni concili misero all’indice la musica e i musicisti». 

Nel 1992 Massimo Gallarani, docente di cultura musicale generale al Conservatorio “G.Verdi” di Milano, curò la seconda parte (la prima venne affidata al cardinal Gianfranco Ravasi) di un volumetto uscito come supplemento del mensile cattolico Jesus, dal titolo Bibbia, arte e musica. L’autore esordiva così: «Dal punto di vista musicale la Bibbia presenta un motivo di interesse sia come fonte di ispirazione per i compositori sia quale testimonianza di una pratica di canti e suoni presso le antiche popolazioni ebree». Nel primo capitolo Gallarani mostra come la Sacra Scrittura sia stata anzitutto ispiratrice di musica, partendo dai primi decenni dopo Cristo, in cui le liturgie ancora approssimative dei protocristiani facevano uso di preghiere e canti della sinagoga. Col  passare del tempo, però, «il repertorio musicale liturgico si arricchì di canti nuovi raccogliendoli anche dalle varie tradizioni locali», portatrici talvolta di un’esuberanza sregolata. È forse diverso da quanto avviene oggi? Chi fa parte di un coro parrocchiale sa bene di cosa stiamo parlando.. Così la necessità di porre un freno alle altalenanti derive suggerì la creazione di un nuovo ordinamento musicale, che si andò definendo solo in epoca carolingia, quando «Pipino e Carlo Magno si rivolsero alla religione, e quindi alla liturgia, come elemento di coesione del Sacro Romano Impero; per conferire solenne importanza a quell’ordo – prosegue il docente milanese – esso venne attribuito, secondo quanto scrive Giovanni Diacono, a papa Gregorio Magno (vissuto, però, circa due secoli prima): di qui il nome di “gregoriano” dato a quell’insieme di canti». Qualche secolo dopo, intorno all’XI-XIII, il desiderio di ampliare la fissità del canto gregoriano diede vita all’oratorio, ovvero quel genere musicale (di fatto il concerto) che è simile all’opera lirica ma, a differenza di quest’ultima, è privo di rappresentazione scenica e personaggi in costume. Detta in modo alquanto semplicistico, ad un certo punto i canti profani entrarono in chiesa, con le inevitabili storture di naso da parte di alcuni. Ma «il fiorire di una novità (aggiungiamo noi di ogni novità, o quasi) presuppone spesso un humus più o meno lungamente coltivato». Insomma, ogni cosa a suo tempo. «Vari.. autori italiani – prosegue il Gallarani – si cimentarono nella composizione di oratori anche di ispirazione biblica, tuttavia ormai tendeva a scemare l’intento edificatorio per il quale quella forma era nata, in tal senso agendo l’opera e le esigenze del pubblico: è il momento del “bel canto” e l’esecutore importava ben più dell’opera eseguita». E anche qui, la storia si ripete: «Niente di nuovo sotto il sole», per dirla col Qoelet (1,9). 

Nel corso del XVIII secolo la musica sacra fu poi costretta a cedere il passo a quella operistica e strumentale, oratorio compreso, ma diversi compositori resistettero, mantenendo la loro attenzione a questo genere: Haydn, Beethoven, Mendelssohn, Rossini, e altri ancora.. 

Nel secondo capitolo del libro, invece, l’autore fa un passo indietro, mostrandoci La vita musicale presso gli ebrei. La prima citazione biblica che accenna alla musica è Genesi 4,21, che parla del già citato discendente di Caino Iubal, il “padre dei musicisti”. Da tutto il Primo Testamento si evince poi come la musica non fosse un aspetto peculiare solo delle feste o dei conviti, ma anche ad esempio del lavoro, per alleviarne la fatica e romperne la monotonia. Per quanto riguarda quest’ultimo caso, il più antico è forse il cosiddetto “canto del pozzo”, citato in Nm 21,17-18, cui seguono quelli dei libri profetici di Isaia (5,1-7 e 16,10) e Geremia (25,30 e 48,33), ma anche dei Giudici (5,16). A quelli di lavoro si uniscono i canti di burla, per schernire alcuni personaggi o deridere quei malcapitati cui già la vita aveva riservato un triste destino (Gb 30,9; Lam 3,14 e 3,61-63; Mi 2,4). Sono quindi presenti le celebri lamentazioni, capaci di assurgere a vero e proprio genere letterario (Gb 30,29 e 30,31), per stringere un legame con la liturgia nei lamenti funebri (cfr. Qo 12,5; Mt 9,23-24; Mc 5,38; Lc 8,51-52), ancor oggi presenti in alcune zone del sud Italia. Poi troviamo le grida di guerra e i canti di trionfo, su tutti quell’osanna che, prima ancora di essere un “grido” liturgico (il cui significato viene dall’ebraico hōšīā-nnā, “salvaci” Signore) è stato un “grido” di battaglia! Tali esclamazioni, legate in primis a quei libri biblici che ricordano le conquiste della terra promessa, venivano lanciate poco prima della battaglia o come segnali convenzionali, oppure per infondere coraggio ai soldati. Ma il peso maggiore che l’Antico Testamento riserva al canto è senza dubbio legato ai salmi, composizioni poetiche cantate con l’accompagnamento di strumenti a corda, di cui purtroppo non conosciamo le melodie. L’unico strumento certo di cui abbiamo notizia è tra l’altro solo il corno d’ariete o di montone, il sôfar, strumento tuttora in uso nella liturgia ebraica. Al suono di sette trombe di tale strumento crollarono le mura di Gerico, così come nell’Apocalisse segnalano l’avverarsi degli eventi annunciati. La liturgia ebraica prevedeva inoltre l’accompagnamento della musica attraverso la danza (2Sam 6,14 e 6,21; Sal 149,3, ecc..). L’aspetto più interessante sottolineato dal Gallarani è tuttavia un altro, ovvero quel «gesto “sonoro”, se non musicale, senza il quale esisterebbe solo Dio: la creazione dell’universo, avvenuta perché “Dio ordinò..”». L’autore ci sta ricordando che è dal “dire” del Creatore, dal suono emesso dalla sua “bocca” che tutto ha vita, così come è la sua Parola ad essersi fatta carne per “piantare la sua tenda in mezzo a noi”. Verbo-Parola di Dio di cui siamo “immagine e somiglianza”, come a dire che proprio noi, che fatichiamo così tanto ad ascoltare, siamo della stessa pasta del suo “suono”. Siamo la musica di Dio, di cui Egli stesso si delizia, magari ballandoci su: pazzesco!     

Èric Denimal aggiunge inoltre che «Tutta la cultura dello spiritual è incorniciata da due canti veterotestamentari iconici: Go down Moses, Let my people go (“Va’, Mosè, lascia andare il mio popolo”).. e Joshua fit the battle of Jericho (“Giosuè combatté la battaglia di Gerico”)».   

Quanto al Nuovo Testamento, la figura di Gesù ha ispirato perfino la musica rock e pop, a partire da Jesus Christ Superstar di Andrew Lloyd Webber, passando per album come Passion di Peter Gabriel (da uno che si chiama Pietro Gabriele dovevamo aspettarcelo!), colonna sonora della discussa pellicola di Martin Scorsese L’ultima tentazione di Cristo, e attraverso testi impegnati come Dio è morto di Guccini o Il Testamento di Tito di De Andrè, e non: Personal Jesus dei Depeche Mode.

Decisamente lodevole è l’opera del giornalista lodigiano Walter Gatti, autore assieme ad altri esperti appassionati di musica (Maurizio Maniscalco, Stefano Rizza, Paolo Vites, Walter Muto e Franz Coriasco) di tre splendidi volumi che vanno nella nostra direzione, ed hanno un obiettivo non da poco: educare con la musica. Se il primo, intitolato Help! Il grido del rock, è diviso in sei capitoli, l’ultimo dei quali tratta Il rock e il divino, il secondo, Amazing grace, indaga diversi aspetti dei generi spiritual, gospel (da “God’s spell”, letteralmente “Parola di Dio”), blues, soul & rhythm’n’blues, folk and popular music, compresi quelli religiosi in generale e biblici nello specifico. Il terzo volume, infine, è tutto nostrano, a partire dal titolo: Cosa sarà. La ricerca del mistero nella canzone italiana che, prendendo le mosse dalla celebre canzone di Lucio Dalla, indaga come la musica italiana si sia mossa, e si muova tuttora, attraverso il mistero di Dio, la realtà, l’io, l’amore e l’eternità, in maniera più o meno velata, attraverso i più noti cantautori dello stivale. Molto interessante è allora la riflessione circa i cantautori contemporanei, che fa il fondatore della fraternità di Romena don Luigi Verdi, da lui considerati sorta di nuovi salmisti.

Sulla scia di Gatti & Company si sono mossi anche il presbitero Massimo Granieri e il giornalista di Avvenire Luca Miele, che hanno partorito Il Vangelo secondo il rock, spassosissimo testo il cui primo capitolo è già dichiaratamente biblico: In principio era Patti Smith. Nell’introduzione al libro si tiene immediatamente a precisare che «La Bibbia deborda nei versi di Bob Dylan, costeggia l’opera di Woody Guthrie, preme nella “teologia del Padre” di Bruce Springsteen, sostiene la poetica di Johnny Cash, urla nella furia di Patti Smith, rabbrividisce nella sofferenza di Jeff Buckley. La Bibbia, insomma, ri-suona costantemente, tenacemente, intimamente nella canzone rock. Grido, invocazione, lode, contesa, affrontamento, giudizio, interrogazione, preghiera, bestemmia sono le forme che, di volta in volta, questo ri-suonare assume». Tornando a don Granieri, intervistato nel corso del Meeting di Comunione e Liberazione del 2022 a Rimini, alla domanda «Come ha salvato lei, personalmente la musica?», risponde: «La musica mi ha salvato perché mi ha portato alla Sacra Scrittura, nelle canzoni notavo delle citazioni e dei parallelismi, e mi hanno spinto, i cantanti, a ricercare queste cose nella Bibbia, e nella Bibbia ho trovato Dio». E aggiunge: «(la mia) è una conversione continua.. ascoltando le canzoni, e appassionandomi anche di letteratura sono chiamato sempre a rivedere la mia vita, a guardarla da un altro punto di vista e a rinnovarla quanto più possibile».  

Nella medesima direzione, seppur prendendola un po’ più alla larga, è l’opera della conduttrice radiofonica Noemi Serracini che, dando alle stampe Rock’n’soul. Storie di Musica e Spiritualità, ha preso in esame i percorsi umani, professionali e soprattutto spirituali, di dieci star della musica: cinque maschili e cinque femminili, per non far torto a nessun genere. L’obiettivo di queste pagine è dichiarato fin dall’inizio: «la ricerca di senso nella musica.. Queste pagine raccontano come agisce nell’arte lo Spirito, che è bellezza, verità e bontà.. (in esse) L’autrice indaga in questo agire misterioso di un’entità che fatichiamo a chiamare per nome, ma comunque reale e forte nell’operare». L’introduzione precisa quindi che «Il lettore.. ha l’opportunità di.. scoprire qualcuno o qualcosa in grado di soddisfare la sua sete d’infinito. E se manca, la sete verrà leggendo». L’autrice sottolinea poi che «La musica, spogliata della sua dimensione spirituale e sacra, diventa puro intrattenimento». Che dire, è quanto ci siamo proposti, sperando di riuscirci, nella stesura di questo podcast..    

Ma l’impresa più poderosa che si serve del binomio Bibbia e musica l’ha realizzata decisamente Renato Giovannoli, bibliotecario e docente di filosofia che si è cimentato in un’avventura senza pari, dando vita nel 2017 ad un’opera in tre volumi – per un totale di 1132 pagine! – intitolata La Bibbia di Bob Dylan. Se nel primo libro indaga le canzoni di protesta del grande cantautore statunitense, nel secondo studia il suo “periodo cristiano” (nel 1979, infatti, si converte e si fa battezzare all’interno della confessione evangelica) e la seguente crisi spirituale, per chiudere con la sua ripartenza artistica e di fede, quindi la definitiva maturità. Quanto la musica di Bob Dylan, pseudonimo di Robert Allen Zimmerman, sia legata al testo biblico, lo lasciamo dire ad Alessandro Carrera, docente all’Università di Houston che, nella prefazione ai tre volumi di Giovannoli scrive: «Pur senza mai rinnegare la sua origine ebraica, la Bibbia cristiana è sempre stata il testo guida di Dylan, sia direttamente, sia per influenza dell’imponente corpus di poesia popolare fondato sulla Bibbia, prodotta dai bianchi come dai neri.. Tante introduzioni sono possibili a Dylan: musicali, poetiche, sociologiche, politiche. Ma la Bibbia è l’accesso privilegiato». Detto altrimenti: se togliamo la Sacra Scrittura, di questo incredibile artista non capiamo più nulla. 

Chiudiamo allora proprio con una sua affermazione. Il 16 novembre del ’79 disse, rivolgendosi al pubblico di San Francisco: «Voi lo sapete che Satana è detto dio di questo mondo, è così, e quando se ne viene liberati è una sensazione meravigliosa». Liberazione, chiosa il già citato Carrera, «che avviene attraverso Gesù, non avviene “nel” mondo, perché Gesù “ha oltrepassato il mondo”». Anche il mondo della musica, aggiungiamo noi, prima però ci è entrato..    

  

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Libreria suoni di Logic Pro
J.S.Bach. Toccata e fuga in D minor, BWV 565. Musopen.org. Diritti Creative Commons
J.S.Bach. Christmas Oratorio. Musopen.org. Diritti Creative Commons
F.J.Haydn. La Creazione. Musopen.org.Diritti Creative Commons
E.Hawkins. Oh Happy day. Coro Satibì Singers di Riccione

 

 

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