Peccato contro natura? (La Bibbia secondo Gomorra)



Testo della catechesi 
«Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave», così inizia il romanzo. «O lò, c vò tiemp. Sto ascenn’, mamma mia, cumme si pesant o cchiatt», così inizia il film. «Ha pubblicato na foto mia e della mamma su book. Ma qual book, Facebook, è nu social network», così inizia la serie. Ma di cosa stiamo parlando? Di quello che, nato come un «incredibile, sconvolgente viaggio nel mondo affaristico e criminale della camorra» – queste le parole della seconda di copertina del libro –  è diventato nel giro di pochi anni, insieme a Romanzo criminale.. una narrazione transmediale, che ha dato vita a un transmedia storytelling o a un ecosistema narrativo: libro, opera teatrale, film, serie tv, app, graphic novel, videogioco, serie web (su tutte l’esilarante parodia Gli effetti di Gomorra sulla gente, dei The Jackal) e chissà cos’altro ancora. Roberto Saviano, blogger sconosciuto prima di essere romanziere, costituisce il perno di tutto ciò, sorta di trinità autore-narratore-personaggio che rischia di confondere il lettore. Ma com’è nato questo brand? Dal libro, come detto, che inizia le vendite in sordina e passa in breve da una tiratura di 5.000 copie a 2 milioni e mezzo vendute in Italia, e 10 milioni nel mondo, tradotto tra l’altro in 53 paesi. Fenomeno letterario paragonabile secondo alcuni solo alla saga di Harry Potter. L’ascesa dell’ex blogger parte nel maggio del 2006, quando Daria Bignardi lo intervista a “Le invasioni barbariche” su La7. A settembre dello stesso anno la casa di produzione Fandango annuncia di aver comprato i diritti del romanzo per farne un film con la regia di Matteo Garrone. Ma è solo il mese dopo che Gomorra diventa un caso editoriale, quando a Saviano viene affidata la scorta, ergendolo a simbolo della lotta al Sistema. Ma perché è tuttora sotto scorta? Per via di un discorso tenuto nel settembre 2006 a Casal di Principe, in provincia di Caserta, alla presenza di varie personalità politiche, tra cui l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti, in cui ha attaccato direttamente i capi mafiosi, facendo nomi e cognomi: «Iovine, Schiavone, Zagaria, non siete nessuno. Questa terra l’avete avvelenata, andatevene». Da quel giorno le minacce si sono moltiplicate, finché il 13 ottobre finisce sotto protezione. La motivazione che lo spinge a scrivere il libro è però un’altra: la rabbia sfociata in seguito all’omicidio di Attilio Romanò, ucciso per errore il 24 gennaio 2005 durante una faida interna ai clan di Scampia. E il titolo, da dove nasce? Glielo suggerisce Antonio Franchini, responsabile della narrativa Mondadori. Premesso che Camorra è un termine scomparso dal dopo Raffaele Cutolo, fondatore della Nuova Camorra Organizzata, e che oggi al suo posto si parla di Sistema, Saviano prosegue l’opera di don Giuseppe Diana, assassinato la mattina del 19 marzo 1994 nella chiesa di san Nicola a Casal di Principe, in un agguato camorristico appunto.. Nel romanzo commenta il documento distribuito dal prete durante il giorno di Natale del ’91, dal titolo isaiano Per amore del mio popolo non tacerò (Is 62,1): «Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo.. ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. ..I camorristi impongono.. esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza.. l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.. Dio ci chiama ad essere profeti.. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa..». Il titolo biblico, dicevamo, archetipo derivante da quella città dell’Antico Testamento che, afferma Giuliana Benvenuti, autrice del libro Il brand Gomorra, «allontanatasi dalla legge di Dio, è annientata dalla punizione divina, sommersa, distrutta da una pioggia di fuoco.. L’indagine sulla causa del male conduce, in ultima analisi anche qui, alla sua inesplicabile radice umana, a un male radicale.. assoluto, (che) è in noi, (che) è parte di noi..». Titolo che, ancora, afferma Eugenio Spagnuolo in un articolo del 2017, «(è) Un’assonanza, quella tra le parole Gomorra e Camorra, ispirata a Saviano da don Giuseppe Diana.. (che) In un’omelia ormai passata alla storia.. disse: «non rendiamo questa terra la Gomorra del Paese». Biblicamente Sodoma e Gomorra (l’ebraica Amorah), erano due città della pianura del Mar Morto che il Signore – in un impeto tipicamente antropomorfico – distrusse soprattutto a causa della loro inospitalità, contrapposta in modo netto all’ospitalità che è invece una qualità di Abramo. Insieme all’inospitalità compaiono poi le trasgressioni (omo)sessuali degli abitanti di Sodoma (da cui il termine sodomia) e i delitti di Gomorra, città quest’ultima che sintetizza il luogo, o meglio l’archetipo, della corruzione umana: una sola vocale separa Gomorra da Gamorra, il gioco d’azzardo illegale da cui, secondo l’Accademia della Crusca, potrebbe derivare il termine Camorra. Recenti studi ipotizzano che tale distruzione si sia verificata realmente: due scienziati inglesi, Alan Bond e Mark Hempsell, ritengono infatti che le due città sarebbero state distrutte da un asteroide nel 3.123 a.C., mentre il geologo inglese Graham Harris ha sostenuto che la causa sia stata un potente sisma, il quale avrebbe a sua volta provocato la fuoriuscita di metano, che avrebbe preso fuoco. Qual è dunque il peccato “contro natura”? I comportamenti vietati dal Levitico: rapporti omosessuali (20,13), con gli animali (20,15) o il sacrificio dei bambini (20,2), pratica quest’ultima col quale i Cananei rendevano culto al dio Moloch? Probabilmente no, perché il peccato è molto di più: abuso della libertà (che è sempre in-relazione-a), mancanza volontaria contro la ragione, non accoglienza dell’amore, pretesa di conquista di ciò che, in fin dei conti, è un dono.. La camorra, al contrario – come ogni forma di male organizzato, scelto e socialmente diffuso – è simbolo di questo male radicale, che esce «dal cuore degli uomini..: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,21). Ma torniamo al romanzo, da cui tutto è partito: pubblicato nell’aprile 2006, si compone soprattutto di articoli apparsi tra il 2003 e il 2005 sul blog “Nazione Indiana” e sulla rivista “Nuovi Argomenti”, ai quali vengono aggiunte alcune parti rielaborate da materiali precedenti e parti inedite. La copertina del libro è rappresentata da 6 coltelli rosa su sfondo nero di Andy Warhol, mentre nella quarta di copertina l’autore guarda il lettore con atteggiamento quasi di sfida. Una “presenza” che affianca in modo non troppo invisibile il romanzo è quella del film Scarface, pellicola del 1983 scritta da Oliver Stone e diretta da Brian De Palma, remake di quello diretto da Howard Hawks del 1932, ambientato nella Chicago degli anni del proibizionismo. Film, questa volta ambientato nella Miami degli anni Ottanta, col quale Saviano si confronta e si scontra, capace di fascinare lo spettatore come nessun altro. Film, ancora, che attrae lo spettatore per il male che veicola, in primis attraverso la figura di Al Capone, il cui soprannome era appunto Scarface per via dell’enorme cicatrice procuratasi in gioventù durante una rissa. Il primo adattamento del romanzo però, la sua prima estensione se così possiamo dire, non è stato il film, bensì il teatro, la cui ideazione inizia ancor prima della pubblicazione del libro. Il debutto, sotto la regia di Marco Gelardi – che ha messo in scena un copione realizzato insieme a Saviano – è del 29 novembre 2007 a Napoli, esperienza poi ripresa dai due e diventata La paranza dei bambini, altro romanzo ideale prosecuzione di Gomorra. Il film, invece – in cui rispetto al romanzo scompare il Saviano narratore – si apre all’interno di un solarium, evidente richiamo all’inizio de Gli intoccabili del 1987, sempre di Brian De Palma, che inizia con Al Capone dal barbiere. Ma la mattanza che ha luogo nel solarium è l’unica scena spettacolare del film di Garrone, pellicola molto lenta che narra cinque storie, i cui protagonisti (tra i quali figurano un paio di attori che compariranno successivamente nella serie, “Pitbul” e “Monaciello”) non sono uomini di primordine del Sistema, anzi. La serie televisiva, da ultimo, non è un adattamento del libro, bensì la sua espansione narrativa, presenta infatti personaggi e vicende che non compaiono nel romanzo. Andata in onda in cinque stagioni tra il 2014 e il 2021 (per un totale di 58 episodi), ha richiesto mediamente 17-18 giorni per girare ogni puntata, per appena 3’ di registrazione al giorno (!?). Serie tv – che per alcuni sarebbe più opportuno chiamare serie cinematografica, dato che è fruibile anche su tablet e smatphone – , il cui effetto è evidente tra l’altro in un’altra serie, Suburra, sempre di Sollima e ideale sequel di Romanzo criminale. Suburra che, tratta dall’omonimo romanzo, richiama quella parte dell’Antica Roma – non risalente, come si potrebbe pensare, all’etimologia sub-urbe, ma l’attuale Quartiere Monti – la cui zona bassa era particolarmente malfamata e pericolosa, oltre che vero e proprio quartiere “a luci rosse”, definizione questa che mutua dalle lampade che capeggiavano all’esterno delle abitazioni e in cui si consumava la lussuria del popolo. Tornando alla serie Gomorra – che ha contemplato anche uno spin-off, intitolato L’immortale (soprannome del personaggio Ciro Di Marzio, interpretato da Marco D’Amore, che lo spin-off lo ha anche diretto) – , nella prima stagione è particolarmente iconico il battesimo del fuoco di Genny, figlio unico del boss Savastano che viene portato ad uccidere per la prima volta, fatto che ricalca da vicino quello del figlio di Papele ’e Marano: anch’egli non aveva mai ammazzato un uomo.. «Per renderlo capo (è del futuro boss Cosimo Di Lauro che si sta parlando) dovevano fargli fare almeno un omicidio». Insomma un’iniziazione al male, sorta di antibattesimo. A fare da sfondo alla serie – trasmessa dal 2014 sotto la regia di Stefano Sollima e il cui genere è definibile come “noir all’italiana” – sono soprattutto la sanguinosa faida di Scampia che tra il 2004 e il 2005 causò un centinaio di morti, e la storia della famiglia Di Lauro. Serie che, a detta dei due protagonisti indiscussi, Salvatore Esposito (alias Gennj Savastano) e il già citato Marco D’Amore (Ciro Di Marzio), si regge su due assi portanti: i rapporti di amore e amicizia, e il potere. E questo proprio a partire dai due. Non è in fondo su questi binari che si gioca l’intera vicenda umana? Qual è, dunque, il rapporto tra i due? Biblicamente parlando il loro legame si muove tra le figure di Caino e Abele e quelle di Davide e Saul: interessante l’affinità tra il primo libro di Samuele (24,3-21) e un episodio della serie, in entrambi i casi infatti uno (Davide-Gennj) si trova nelle condizioni di uccidere facilmente l’altro (Saul-Ciro), ma non lo fa.. Ma qual è, ecco il punto, l’eco biblica, o in senso più ampio religiosa, che si respira in Gomorra? Una prima risposta risiede facilmente nel paradossale clima religioso che avvolge l’intera serie, animato da una discutibile forma di devozione popolare: la “religiosità” del boss Salvatore Conte; la presenza continua di san Gennaro o Padre Pio; espressioni come «‘A Maronna t’accumpagna»; gli ostentati crocifissi, collane e segni di croce fatti ad esempio prima di commettere un omicidio! Senza dimenticare i tatuaggi – le tre croci sul collo di “Sangueblu” fanno da contrasto alla scritta in spagnolo che Gennj reca sul petto: no confio ni en Dios (“non mi fido nemmeno di Dio”) – , o l’anello “vescovile” che il giovane Savastano maneggia ripetutamente a mo’ di tic, il simbolo della fratellanza nel quartiere di Forcella (le due braccia incrociate, evidente rimando francescano), passando alle chiese utilizzate come arsenali, o gli affiliati del Sistema paragonati da “’o Maestrale” a dei martiri, e via dicendo.. In un episodio il boss Gerlando Levante colleziona e alleva cardellini, uccelli che a Napoli sono considerati sacri, avendo una macchia sulla testa che ricorda il sangue di Cristo, fu infatti, secondo la tradizione popolare, l’uccello che si posò sulla sua corona di spine.. mah. Nella loro raccolta di serie TV, i critici cinematografici Matteo Marino e Claudio Gotti, così evidenziano il clima biblico-religioso della serie: «(i) numerosissimi riferimenti.. rimandano alla religiosità mafiosa studiata da antropologi, sociologi e teologi, con i suoi riti di iniziazione, i battesimi di sangue, il farsi il segno della croce o addirittura recarsi in chiesa prima di commettere un omicidio.. La camorra si avviluppa al ceppo della religiosità popolare, ne sposa le esigenze fino a identificarsi con le figure religiose e a sostituirvisi. I fedeli arrivano a votarsi a questi santi patroni del tutto terreni e poco santi, e in cambio della loro venerazione ottengono aiuto e protezione». C’è un episodio in tal senso eclatante, che sono sempre i due critici a descrivere: «La decapitazione della statua della Madonna nella piazza di un quartiere è quanto di peggio potesse capitare ai suoi abitanti: “Non ne possiamo più, aiutateci, donna Imma! Voi se volete, potete”». Donna Imma, abbreviazione non casuale di Immacolata, è ovviamente lady Savastano che, in una puntata intitolatale (Imma contro tutti), cammina in processione assieme a una sua protetta al fianco del prete, mentre attorno la malavita prosegue indisturbata, il tutto sulle note del celebre Santa Maria del cammino. «Di certo – concludono Marino e Gotti – non siamo dalle parti del rassicurante Don Matteo..». Curioso, tra l’altro, che Maria Pia Calzone (nomen omen), l’attrice che interpreta donna Imma, nella miniserie del 2006 L’inchiesta abbia vestito proprio i panni della Madonna. Serie, ancora, caratterizzata altresì dall’ipnotica colonna sonora dei Mokadelik e dalla canzone finale Nuje vulimme na speranza, dei rapper N’to e Lucariello, quest’ultimo originario proprio di Scampia, che da solista nel 2017 ha composto l’album Il vangelo secondo Lucariello. Se “noi vogliamo una speranza” è una frase ricorrente nei diversi episodi, anche se mai esplicitamente citata, la più frequente sulla bocca dei vari personaggi è senza dubbio Sta’ senza pensier. Chiediamoci infine: perché nella serie – piccolo spoiler! – non c’è, o non sembra esserci, lieto fine? Perché la serie costituisce un’epica del male, che può accadere ancora poiché, dice Gesù nel Vangelo di Marco, “nasce dal cuore dell’uomo” (cfr. Mc 7,20-23). Tornando per un attimo a Roberto Saviano e al brand che è stato capace di generare, in un’intervista su Avvenire del 2009, l’ex blogger casertano sottolinea il ruolo della Chiesa nelle terre del Sud: «se io, nel corso degli anni, sono riuscito ad avere una qualche coscienza antimafia, lo devo ad alcune figure di Chiesa.. (al) vescovo.. Raffaele Nogaro.. al cardinale Sepe.. questa è la Chiesa in prima linea. Poi, purtroppo, c’è anche tutto il resto. La Chiesa, cioè, che preferisce girarsi dall’altra parte, che ogni volta che si parla di camorra pensa che sia un modo per spaventare i fedeli». Alla domanda esplicita «Qual è il suo rapporto con Dio?», afferma: «Ho un rapporto costante con le letture religiose. Il mio rapporto con Dio passa attraverso i testi sacri. Soprattutto la Torah (forse per via dei nonni ebrei, chissà..)  e i Vangeli. Mi è sempre piaciuta l’idea che ha Hans Jonas, filosofo di origine ebraica, di un Dio da aiutare. Di un Dio non onnipotente e che quindi si trova, come l’uomo, a doversi scontrare con un male. Un Dio non onnipotente è un Dio che mi è molto simpatico. Negli ultimi anni è aumentata esponenzialmente la riflessione religiosa. Che in gran parte della mia vita non ho avuto. E le persone che hanno creduto nel mio dolore e non hanno risposto con cinismo, con la solita tiritera che la mia era tutta un’operazione di marketing, sono state le persone religiose, con fede. Nel tempo, ho iniziato a percepire che la fede, spesso, è stato il vero motore delle persone di buona volontà che nelle zone più difficili del Sud han cercato di trasformare le cose». Eppure, tornando nuovamente alla serie (come in ogni serie, essendone l’elemento caratterizzante), lo spettatore arriva addirittura a simpatizzare per i malviventi.. com’è possibile? Intervistato su Radio DJ, Salvatore Esposito sottolinea che anche il mafioso, per quanto spregevole, porta con sé un briciolo di umanità, e cita a proposito una frase shockante di Giovanni Falcone: «adesso io vi svelo un segreto sui mafiosi.. ce ne sono alcuni che sono veramente simpatici!». «Maledetti bastardi, sono ancora vivo!», così finisce il romanzo. «La camorra ha investito nelle azioni per la ricostruzione delle Torri Gemelle a New York», così finisce il film. «(lacrime.. uno sparo.. e la telecamera che inquadra dall’alto)», sorta di sguardo divino che, come in The Passion of Christ di Mel Gibson – film col quale condivide anche la scelta della lingua originale, che in Gomorra è un napoletano metropolitano, sorta di slang molto criticato dai puristi – scorge dall’alto questa volta non il Figlio, ma i suoi figli.. così finisce la serie.

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo 
Gabriele Fabbri

Per il brano "Doomed to live" che apre e chiude vedi www.suonerietelefono.it

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