Cose dell'altro mondo (La Bibbia secondo Narnia)



Testo della catechesi
«Crede di aver scoperto un paese incantato, di sopra, nell’armadio», disse Susan. «Che cosa hai detto?», affermò il signor Digory. «Nel guardaroba, di sopra, Lucy dice di averci trovato una foresta dentro», rispose Peter. «Ha continuato a parlare solo di questo», proseguì Susan. «E com’era?», incalzò nuovamente Digory. «Era come ascoltare uno che delira», aggiunse Susan. «No no no, non lei, la foresta», precisò l’anziano. «Lei, lei le crede, mi sembra», disse stupito il giovane Peter. «E voi no?», ribatté lo sgomento Digory. «Ma certo che no, insomma, a rigor di logica è impossibile», sentenziò l’adolescente Susan. «Ma che cosa insegnano a scuola al giorno d’oggi?!», fu la pietra tombale sulla chiacchierata a tre, da parte del signor Digory. Questo dialogo tra i fratelli Pevensie e il professor Digory, offertoci dalla versione cinematografica de Il leone, la strega e l’armadio, c’introduce nel mondo de Le cronache di Narnia, capolavoro del teologo britannico Clive Staples Lewis, scrittore amato e conosciuto tra l’altro anche per Le lettere di Berlicche, testo che esplora in modo raffinato e, “al contrario”, l’agire del maligno. Nato protestante, divenne successivamente agnostico, per poi convertirsi all’anglicanesimo: «Non mi doveva essere più permesso di trastullarmi con la filosofia.. – afferma nel libro intitolato Sorpreso dalla gioia – Durante il trimestre della trinità del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai per pregare: fui forse quella sera il convertito più disperato e riluttante d’Inghilterra». «Ma la filosofia – nel senso più alto, intendo – serve solo a “trastullarsi”? Probabilmente no, anzi: quella vera, quella con la “F” maiuscola, può condurre alla fede!». Allora è il caso di chiedersi cosa lo fece “arrendere” a Dio? La sua conversione fu il frutto di una passeggiata assieme all’amico cattolico John Ronald Reuel Tolkien (autore de Il Signore degli Anelli) e Charles Williams, nei sentieri del Magdalen College di Oxford, in cui i tre insegnavano: discutendo di religione, un ragionamento di Tolkien fece breccia nel cuore dell’allora ateo Lewis, l’idea cioè che l’autore (ad es. di un romanzo) sia in realtà – per utilizzare uno dei tanti neologismi del filologo Tolkien – “sub-creatore”.. tradotto: se l’uomo può “creare” ambienti e personaggi immaginari è perché in lui c’è una scintilla divina, che lo chiama a diventare un creatore in seconda, e questo perché la creazione di Dio non è finita, attende infatti la nostra collaborazione, in base ai doni – o meglio ai talenti, per dirla col Vangelo – che Egli ci ha consegnato. Detto altrimenti: Dio, che è Padre, ci chiama ad esserlo a nostra volta. Come? In tanti modi, tra i quali l’inventare storie. Se Le Cronache di Narnia non nacquero in quel momento, quella chiacchierata fu tuttavia la scintilla dalla quale ne nacquero tante altre, la fucina in cui l’opera prese forma (come del resto Il Signore degli Anelli) furono infatti gli Inklings (traducibile con “sentori, ascoltatori”, nome nato per scherzo), il gruppo di discussione letteraria di Oxford, i cui membri più celebri – quasi tutti docenti – , sono appunto Lewis, Tolkien e il figlio di quest’ultimo, Christopher. Si incontravano tutti i martedì sera al pub Eagle and child, chiacchierando tra una birra e l’altra. «Ci è chiaro che capolavori che fanno sognare tanti giovani (e non solo), sono nati dal fatto di poter condividere la stessa passione (tra l’altro davanti a una birra!)? L’amicizia non è infondo anche e soprattutto questo?!». Detto altrimenti: le idee migliori non nascono quasi sempre da un confronto tra amici? Lo stesso Gesù amava banchettare, fregandosene di sentirsi dire che era un “mangione e un beone” (Mt 11,16-19). Ad ogni modo, per Lewis fu inoltre decisivo il rapporto epistolare con il futuro san Giovanni Calabria, prete veronese canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1999. Oltre all’amicizia, però, la vita di Lewis fu segnata anche e soprattutto dal dolore: ancora piccolo per via della morte della madre; poi a causa degli atti di bullismo subìti a scuola; quindi per la perdita della fede; infine per la morte della moglie. Fu solo in seguito alla popolarità dei suoi libri che, ricevendo numerose lettere, Jack (nomignolo di Lewis) avviò una corrispondenza con Joy Helen Grisham, una sua fan statunitense, scrittrice, poetessa e studiosa di teologia, lei che, prima di ricevere Le lettere di Berlicche era un’atea ebrea comunista. Il libro fu un raggio di luce, arrivato dopo un matrimonio fallito.. leggendo Lewis si convertì al cristianesimo e, nel 1952, decise di andare a trovare il suo “maestro”. Tra i due inizialmente c’era solo amicizia, fino a che nel 1956 Clive scoprì di amarla, proprio durante la malattia di lei: cancro. Jack decise ugualmente di sposarla, ma era civilmente divorziata.. senza la benedizione del vescovo di Oxford (situazione controversa sotto il profilo canonico) il 21 marzo 1957 i due si sposarono con rito anglicano, nella stanza d’ospedale in cui Joy era ricoverata. Tornando alla sua amicizia con Tolkien, cosa differenzia i due – è il caso di chiedersi – , aldilà della diversa confessione cristiana? Le differenze sono tante, ad esempio il diverso utilizzo dell’allegoria, dal greco “dico altro” – nel senso di “diversamente” – è la figura retorica in base alla quale qualcosa di astratto viene espresso in modo concreto, ad esempio la Divina Commedia, un “viaggio” di altro tipo: se Lewis ne fa un uso smodato, Tolkien però la ripudia! La più forte allegoria ne Le cronache di Narnia è sicuramente la figura del leone, ma l’intero racconto è un’allegoria cristiana. In altre parole: se nel cattolico Tolkien l’impostazione cristiana è velata, nell’anglicano Lewis è invece evidente. Talvolta si pensa erroneamente che il genere fantasy sia unicamente per un pubblico giovane.. «Caro ascoltatore (o lettore), non so quanti anni tu abbia, ma ti chiedo che rapporto hai col fantasy? Sinceramente: lo ritieni un genere da ragazzini, o da adulti con la sindrome di Peter Pan? L’adulto che legge i fantasy è insomma qualcuno che sta fuggendo dalla sua età e dal proprio (a volte) duro quotidiano?». «Per Freud – ci ricorda lo psicanalista Massimo Recalcati ne Il mistero delle cose (pag. 107) – l’uomo religioso è abbagliato da un’illusione narcisistica di matrice infantile. A partire da questa sentenza – forse con la sola eccezione significativa di Lacan – la tradizione psicoanalitica ha sostenuto compattamente l’idea della religione come “nevrosi” o, addirittura, come “delirio dell’umanità”: l’uomo religioso è l’uomo che rifiuta la responsabilità di affrontare le asprezze reali della vita per rifugiarsi nella credenza illusoria di un “mondo dietro il mondo”, regredendo allo stato di un bambino che trasferisce su Dio tutti quei tratti di infallibilità e di perfezione che prima attribuiva edipicamente al proprio padre». Ciò che muove il credente sarebbe insomma, al pari di chi legge i fantasy, una vera “fuga dalla realtà”. Ma è proprio così? «Nessun libro è una buona lettura a dieci anni – afferma Lewis – se non è ugualmente una buona lettura a cinquanta». Insomma: il fantasy è quel genere letterario che, come il simbolo, ci rimanda ad altro (mondo) per farci tornare a noi, alla vita fantastica per farci leggere meglio quella “reale”, come reale è il nome dal quale la saga prende spunto, ovvero la città umbra di Narni, che Lewis scelse semplicemente perché gli piaceva e l’aveva letta in un atlante antico, che riportava il nome latino della città, Narnia appunto. È arrivato però il momento di chiederci in che modo, invece, il testo biblico entra nella saga fantasy di Lewis.. Premesso che la saga de Le Cronache di Narnia è formata da sette libri, pubblicati tra il 1950 e il 1956 – dei quali solo tre sono stati trasposti nella versione cinematografica (usciti nelle sale tra il 2005 e il 2010) – , va sottolineato altresì come la vera preoccupazione che si cela dietro ogni opera dell’autore, sia quella di trattare la Caduta dell’uomo e il relativo quanto necessario intervento della Grazia, come già detto senza spiegarla, bensì rappresentandola simbolicamente, in modo tale da farne comprendere il significato. Lewis fa insomma della mistagogia, “introduce al mistero” cristiano allo stesso modo in cui il bosco fiabesco dovrebbe introdurci alla vita vera: «Non puoi vivere una favola, se ti manca il coraggio di entrare nel bosco», recita a tal proposito un cartello situato sulla cima del monte Amiata, non a caso ai piedi di una croce.. Ma quali tematiche affronta la saga? Se tentassimo banalmente di riassumere i racconti uno ad uno, diremmo che: Il nipote del mago tratta della storia della creazione e della caduta dell’uomo; ne Il leone, la strega e l’armadio Edmund (e con lui ogni uomo) è continuamente alle prese con le sue scelte: Dio o Satana; Il cavallo e il ragazzo ha come nucleo la divina provvidenza, l’opera cioè che Dio compie “dietro le quinte”;  mentre Il principe Caspian è incentrato sul concetto di fede, che nel cristianesimo ha un duplice significato: come virtù, che l’autore definisce ne Il cristianesimo così com’è, l’«arte di tener salde, nonostante i cambiamenti d’umore, le cose che la nostra ragione ha accettato», e come abbandono, cioè «lasciar fare a Dio» (ibidem); Il viaggio del veliero è invece «la storia di molti viaggi spirituali», il cui filo rosso è la ricerca di sette Lord scomparsi da Narnia. Se il sesto capitolo di questo libro è praticamente una catechesi sul peccato, il settimo lo è sui sacramenti, Battesimo e Riconciliazione in particolare. Due temi sottostanno invece al penultimo racconto, La sedia d’argento: l’inganno delle apparenze e i comandamenti; chiude la saga L’ultima battaglia, in cui è narrata l’Apocalisse di Narnia, per opera dell’Anticristo e della Bestia: la scimmia Cambio (in inglese Shift) e l’asino Enigma (Puzzle), vogliono far credere che «Tash è Aslan, e Aslan è Tash».. falsificando in tal modo la realtà. Quale sarebbe l’inganno? Che Tash (Satana, l’Anticristo) e Aslan (Cristo) siano la stessa persona. Ok, ma chi sono questi personaggi, e cos’hanno da dirci in ambito biblico e cristiano? Il protagonista è il leone Aslan (nome che in lingua turca significa proprio “leone”), evidente allegoria di Gesù: la sua simbologia del “re della foresta” è ambivalente ovunque (nei Padri del deserto è il male, in Dante la superbia, ecc..), nella stessa Bibbia, tanto che anche il diavolo è simboleggiato così, come afferma la Prima Lettera di Pietro (5,8-9). Decisivo è tuttavia il ruolo di questo animale nell’Apocalisse: «Uno degli anziani disse: “Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli» (Ap 5,5). Ultimo libro della Bibbia in cui è anche e soprattutto simboleggiato come agnello. Ma in primis nel mondo di Narnia Aslan è re al modo di Gesù: dà la vita per Edmund, uno dei quattro fratelli Pevensie, coprotagonisti della saga. Aslan, dopo aver redento Narnia con il suo sacrificio, dopo aver cioè sconfitto quella morte che raffredda e irrigidisce (come la Strega Bianca e il suo “grande inverno”), affida Narnia ai suoi quattro giovani (numero che simbolicamente dice la terra abitata), tra l’altro due maschi e due femmine (segno di perfetto equilibrio), come luogotenenti e vicari, i cui nomi non sono casuali: Peter, come il capo degli Apostoli; la piccola Lucy, colei che porta luce; Susan, nome veterotestamentario, dall’ebraico “giglio” (fiore che indica bellezza e purezza); ed Edmund, risalente alla cristianità medievale inglese: di origine germanica, significa “protettore del patrimonio/ricchezza” (o della felicità). La Chiesa ricorda diversi sant’Edmondo, tra i quali un re, martire sotto i danesi nell’869; Edmund Rich arcivescovo di Canterbury (XIII secolo); e tanti altri.. ma è re Edmund I detto “il Giusto”, re d’Inghilterra dal 939 al 946, ad essere maggiormente associato a quello che Lewis chiamerà “il Giusto”. Ma la simbologia biblica non si ferma qui.. Pur sapendo Aslan che la regina si trova a Narnia per il peccato di Digory, non condanna quest’ultimo, ma gli chiede di collaborare a vincere quel male, inviandolo a prendere le mele magiche di un albero al centro di un giardino in cima alla montagna: piantandone una dove è avvenuta la creazione, nascerà un albero (la Croce?) che proteggerà Narnia dal male. Non solo, nel mondo di Lewis, tra essere umano e animale c’è una identità e solidarietà che richiama la condizione edenica, di cui la fiaba esprime la nostalgia. Nel mondo di Narnia gli animali parlano.. Emblematico è inoltre l’ultimo episodio, con lo scimmione Cambio, e nella tradizione cristiana la scimmia è spesso immagine del demonio, Simia Dei, il quale può solo, per l’appunto, “scimmiottare” Dio, senza poter creare nulla di proprio. Ad affiancarlo c’è un asino: animale dal duplice aspetto, partecipa infatti della sapienza e dell’ignoranza. Quest’ultima connotazione deriva forse da L’asino d’oro di Lucio Apuleio (opera latina del II secolo d.C.), romanzo che ci fa definire oggi “asini” i ragazzi svogliati o le persone ostinate. Da Apuleio a Carlo Collodi il passo è breve.. Nel cristianesimo stesso l’ambiguità rimane: se è presente nella mangiatoia di Betlemme (presenzia alla nascita), porta la Santa Famiglia in Egitto ed è la cavalcatura regale di Gesù entrante in Gerusalemme (presenzia in qualche modo alla sua morte), per alcuni Padri della Chiesa è invece simbolo di quelle forze del male che, cavalcate da Cristo, vengono per questo dominate. Nell’Antico Testamento l’asina di Balaam è quella che per prima riconosce l’angelo del Signore. Il tamburo si fabbrica inoltre con la pelle d’asino, motivo per cui per molte culture è simbolo del rapporto con l’aldilà. È su queste basi che si spiega il nesso con l’immagine del Cristo crocifisso in figura d’asino, incisione marmorea tutt’altro che blasfema. Chi ha visto solo i film, in particolare il primo, non può non essere curioso, chiedendosi cosa simboleggi allora l’armadio o, più che l’armadio, la sua porta – il cui corrispettivo nel terzo film, Il viaggio del veliero, è rappresentato dal quadro. Quali sono, simbolicamente parlando, le porte più decisive nella nostra vita? Quali soglie, detto altrimenti, ci ridestano l’attenzione e ci scaldano il cuore (oppure ci incutono perfino terrore) nel momento in cui le oltrepassiamo? Quella di casa? Quella che ci introduce al lavoro o, per chi studia, a scuola o in università? Forse la porta di casa di una persona cara? Magari quella di una stanza della nostra casa.. Chi fa sport come il calcio, l’hockey, o la pallamano, solo per fare un esempio, sa che “la porta” avversaria non è solo il punto terminale di un’azione offensiva.. Lo zoologo, etologo e conduttore televisivo britannico Desmond Morris, nel suo libro La tribù del calcio sottolinea che in questo sport «i cacciatori diventano calciatori, l’arma è la palla e la preda è la porta.. (ma) per capire l’enorme interesse globale che circonda quest’attività piuttosto semplice, in cui si prende a calci una palla, è fondamentale stroncare sul nascere l’idea semplicistica che sia “soltanto un gioco”..». Solo in quest’ottica (simbolica) possiamo capire cosa rappresenti – o dovrebbe rappresentare – il portale delle nostre chiese.. Nella Sacra Scrittura, a seconda che sia aperta o chiusa, la porta è associata alla soglia, sorta di frontiera fra due zone, fisiche o simboliche: dentro e fuori, sacro e profano, oggi e domani, aldiquà e aldilà. Se nell’Antico Testamento le porte di Sion indicano la città stessa di Gerusalemme (cfr. Sal 87,2), nel Nuovo Gesù invita a passare per quella stretta (Lc 13), ma ci dice anche che le vergini stolte restarono fuori, davanti alla porta chiusa (Mt 25,1-12). Tuttavia il simbolo più potente risiede nella sua auto proclamazione: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9). L’ultimo libro della Bibbia si apre con le parole del Signore all’angelo della Chiesa di Laodicèa: «Ecco, sto alla porta e busso..» (Ap 3,20). E via dicendo.. Ne L’ultima battaglia sono protagonisti dei nani, che tuttavia nella Bibbia non compaiono.. Nel settimo capitolo dell’ultimo libro della saga i nani non credono più, preferiscono cioè rimanere nani anziché assurgere alla piena statura di Cristo. La Lettera agli Efesini, al capitolo 4 versetto 13, è tradotto dalla CEI con «finché arriviamo tutti.. a raggiungere la misura della pienezza di Cristo», ma l’originale greco ha invece «alla misura della statura della pienezza di Cristo». Ognuno di noi è insomma nano nel momento in cui rifiuta Gesù, misura perfetta di ciò che è e, soprattutto, di ciò che è chiamato a diventare pienamente! Interessante in tal senso la domanda che pone il nano Briscola: «Ma vuoi spiegarmi chi crede più in Aslan, al giorno d’oggi?».. «“Io sì” intervenne Caspian. “E anche se prima non ci avessi creduto, ora sento che Aslan esiste. Gli uomini si prendono gioco di lui, ma anche di nani e animali parlanti..». Se ci soffermiamo invece sui giovani, possiamo dire che, a conti fatti, ne escono abbastanza bene da questa saga.. ma all’appello finale «manca (solo) la regina Susan.. “Mia sorella.. – rispose Peter con voce grave – non è più un’amica di Narnia.. “Già, Susan” commentò Jill. “A lei interessano solo vestiti, creme, rossetti e gran feste. Ha lo sguardo candido e imbambolato di una bambina troppo cresciuta.. intervenne la signora Polly. “Per tutto il periodo della scuola ha cercato di sembrare più grande, ma quando lo è diventata non faceva altro che cercare di fermare il tempo. È il suo chiodo fisso, ormai. Non riesce a pensare ad altro..». Questo passaggio de L’ultima battaglia (cap. 12) è un piccolo capolavoro sull’adolescenza e sulla concezione del tempo, cioè della vita umana, di cui l’adolescenza è il passaggio cruciale. Vita che Cristo-Aslan, con la sua vita, ci ha già riscattato.. «Aslan! ..ma abbiamo visto il pugnale, la strega», disse Susan. «Se la strega conoscesse il vero significato del sacrificio – rispose il leone – , avrebbe dato una diversa interpretazione della grande magia: se un innocente che si offre volontario viene immolato al posto di un traditore, la tavola di pietra si spezza. E così persino la morte torna sui suoi passi».

Recita
Cristian Messina

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