Cosa c'è da ridere? (Bibbia e buon umore)



Testo della catechesi
Se l’umorismo – dal latino umor, “liquido” – è quell’inclinazione a cogliere gli aspetti più divertenti e paradossali della società, esso si esprime attraverso, e allo stesso tempo genera, quel riso che, secondo John Fitzgerald Kennedy è una delle sole tre cose ad esistere veramente, ma, siccome le atre due – Dio e la follia umana – non sono alla nostra portata, meglio concentrarsi sul terzo. È quel che faremo, partendo proprio dalle voci celebri che hanno tentato di definirlo: «sono nato piangendo mentre tutti ridevano – diceva Jim Morrison – , e morirò ridendo mentre tutti piangeranno». Non male. La bellissima Audrey Hepburn riteneva invece che «ridere sia il modo migliore per bruciare calorie». Fosse vero.. Ma si può ridere non solo della Bibbia, ma anche con essa? «Il riso è sacro» diceva il poliedrico Dario Fo, ricordando tra l’altro come il padre gli facesse notare che «quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso». Per Roberto Benigni «quando si ride ci si lascia andare, si è nudi, ci si scopre».. allora Adamo ed Eva ridevano di continuo, almeno prima del peccato d’origine, quella grande “malattia”, curabile appunto anche – sosteneva Robin Williams nel ruolo del medico Hunter “Patch” Adams – con la risata. Quest’ultima non è solo curativa, ma anche educativa, il pedagogista Gianni Rodari si chiedeva infatti: «vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?». Ridere dice inoltre qualcosa di noi, tanto che se volete conoscere davvero un uomo, diceva Dostoevskij «guardate.. a come ride», perché, gli fa eco il poeta Pablo Neruda «ridere è il linguaggio dell’anima». E che ridere sia qualcosa di spirituale lo attesta anche Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, affermando che quando «uno ride, quello (è) veramente un momento in cui (ci) si aprono le porte della percezione e l’Eternità entra in noi», e in qualche modo anche lo scrittore Stephen King, sostenitore del fatto che si possa uccidere il male «seppellendolo di risate». Certo «non si può ridere di tutto e di tutti – sottolinea Nietzsche – ma ci si può provare». Ma «se non è consentito ridere (neppure) in paradiso – sembra rispondergli Lutero – , io non voglio andarci». Come dargli torto? Senza dimenticare che, il regista riminese Federico Fellini era del parere che «i comici sono i benefattori dell’umanità». Proviamo allora a ridere in tutti i sensi.. ci sia concessa a tal proposito la freddura di Roberto Antoni, eclettico artista bolognese meglio conosciuto con lo pseudonimo di Freak Antoni, il quale amava ripetere: «se sei muto ridi con gli occhi, se sei cieco ridi con la bocca. Se sei muto e cieco c’è ben poco da ridere». Un altro bolognese, questa volta il filosofo Carlo Sini, apre il suo saggio Il comico e la vita con un capitoletto intitolato Perché si ride, e afferma che «si è sempre riso e non si è mai finito di ridere; ma il come, il quando e il perché di questo fenomeno costante assumono di volta in volta espressioni differenziate, sensi storicamente e culturalmente mutevoli, finalità diverse, secondo abiti, norme, divieti, convenzioni che l’esperienza sollecita e il tempo modifica». E aggiunge: «Perché si ride? ..Una questione futile? Tutt’altro, una questione seria, sulla quale, come si dice, c’è poco da ridere». A partire dalle riflessioni degli antichi fa notare poi come «il riso (sia).. motivato dalla capacità di cogliere negli altri qualcosa di indecoroso.. difetto che li fa apparire appunto ridicoli o buffi o strani. In tal modo il riso sancisce la loro inferiorità rispetto a colui che ne ride». Quindi sottolinea come il comico sia capace di generare una sospensione della realtà, sorta di illusione teatrale che prevede sempre un “attore” e un “pubblico”. Quindi fa tre considerazioni generali: anzitutto il comico è un fatto sociale e comunitario, e a tal proposito distingue il riso che accoglie da quello che esclude l’altro: se il primo è ad esempio quello della madre, il secondo è proprio di quei gruppi giovanili che tendono a differenziare escludendo. In altre parole: si può ridere con qualcuno o ridere di qualcuno! In seconda battuta il fatto comico ha una natura psicologica. Infine lo stesso richiede una base linguistica, dato che «molta parte degli effetti comici sono demandati.. al linguaggio, ai giochi di parole, ai lapsus involontari e simili». Per il filosofo francese Henri Bergson il riso sarebbe l’antidoto all’angoscia generata dalla nostra consapevolezza di morire. Il riso, ancora, come il pianto, rappresenta anzitutto un incidente: «qualcosa che rompe la trama “seriosa” del vivere quotidiano», e tale rottura è data anche dalla sorpresa perché, anche se non tutto ciò che sorprende ci fa ridere, l’ovvio di certo annoia. L’aspetto più interessante sottolineato da Sini è tuttavia un altro, quando afferma che «tutto il processo di civilizzazione.. è caratterizzato dal diffondersi della esigenza di controllare con la volontà comportamenti sentiti dapprima come involontari e irrefrenabili. – e aggiunge – Questa è parte essenziale anche dell’educazione del bambino, a cominciare dal controllo degli sfinteri per toccare infine altri più complessi e raffinati aspetti: non emettere rumori sgradevoli, non ficcarsi le dita in bocca o nel naso, non stare scomposti, (ecc..)». Per arrivare infine al punto cruciale: l’esigenza di controllare le risate, soprattutto da parte delle persone “serie”, poiché «ridere dimostra infatti una vergognosa perdita di controllo sul corpo, cosa alla quale un gentiluomo non deve mai soggiacere. La risata, poi, è un atto vile e sconveniente, soprattutto a causa.. della mostruosa deformazione del viso che essa provoca». Insomma, ridere rompe gli schemi, e lo fa perché è uno dei tre comportamenti accompagnati da fenomeni convulsivi, al pari del dolore profondo e dell’orgasmo. Dunque, poiché questi tre comportamenti sono involontari, si tende a relegarli al nostro livello animale. Curioso che gli stessi tre fenomeni si riducano durante la malattia mentale: «L’incapacità di piangere, la diminuzione dell’orgasmo e del riso sono alcuni segni della malattia di cui vanno in cerca gli psichiatri». Ma torniamo al focus della nostra riflessione: si può ridere della e con la Sacra Scrittura? «Il rispetto dei cattolici per la Bibbia è enorme – diceva il poeta francese Paul Claudel – , e si manifesta soprattutto nel tenersene a rispettosa distanza». Siccome il testo biblico è attraversato da un lungo filo rosso, ovvero la domanda su chi seguire, Dio o gli idoli, secondo il filosofo e musicologo francese Vladimir Jankélévitch «lo humour esige anche che ci si prenda gioco di se stessi, per evitare di sostituire l’idolo.. con un altro idolo». Nel 2021 un altro filosofo francese, il rabbino Marc-Alain Ouaknin dà alle stampe E Dio rise. La Bibbia dell’umorismo ebraico da Abramo a Woody, presentato nell’edizione italiana dal poliedrico Moni Ovadia, autore che, nato in Bulgaria da famiglia di origini sefardite (dall’ebraico Sefarad, “Spagna”), cresce a Milano ed è oggi tra ai maggiori conoscitori della cultura yiddish, relativa invece agli ebrei aschenaziti (parola che nel giudaismo medievale indicava l’attuale Germania), quelli cioè gravitanti attorno all’Europa centro-orientale. Nella sua introduzione Ovadia svela alcuni segreti dello humour ebraico, a partire dal concetto di witz, «sorta di filosofia del paradosso.. è eminentemente auto delatorio, prende di mira soprattutto gli ebrei, i loro vizi, gli aspetti assurdi e un po’ deliranti della loro fede», sottolineando poi come «la nostra società (sia) ormai priva dello strumento umoristico che le permetta di cogliere il tratto ridicolo del modello di vita che propone.. – e aggiunge – ma non sembra esservi all’orizzonte un nuovo Abramo che spezzi il giogo dell’idolatria in cui siamo ricaduti». Ovadia ci aiuta inoltre a riflettere su un dato: «La popolazione ebraica statunitense non ha mai superato la percentuale del 3 per cento, i comici professionisti sono ebrei all’80 per cento. Non è un caso che i più straordinari artisti comici dello show business americano siano stati – e sono tuttora – in massima parte degli ebrei: dai Fratelli Marx a Danny Kaye, Jerry Lewis, Lenny Bruce, Mel Brooks, Gene Wilder, Woody Allen, Billy Cristal, solo per citarne alcuni. Il comico ebreo – conclude – viene da una tradizione radicata nella cultura ebraica orientale, quella del badkhen, il buffone delle corti rabbiniche».  Tra i tanti comici statunitensi di origine ebraica citati ecco Woody Allen, nato Allan Stewart Königsberg il 30 novembre 1935 nel quartiere newyorkese del Bronx, da una famiglia ebrea di origine russo-austriaco-tedesca, i nonni paterni, immigrati dalla Germania alla fine del XIX secolo, erano infatti ebrei orientali aschenaziti di lingua tedesca, ebraica e yiddish. Il cognome originale di Allen sembra provenire dalla città di Königsberg, l’attuale Kaliningrad, celebre perché ci abitò Immanuel Kant. Tra i tantissimi temi affrontati da Allen troviamo anche quello della rappresentazione spesso autoironica della comunità ebraica newyorkese. Dopo aver frequentato la sinagoga e gli ambienti religiosi ebraici, seppur per poco tempo, si allontana dalla religione dichiarandosi in seguito ateo, caratteristica che ricorre in moltissime sue battute: «Se vuoi far ridere Dio, parlagli dei tuoi progetti» o «Se Dio non esiste, io ho pagato troppo cara la mia moquette!». Tornando a Ouaknin, ci regala perle di saggezza davvero interessanti: «vivere è difficile – afferma – , e vivere con umorismo lo è ancora di più. Non c’è nulla di più serio dell’umorismo! È chiaramente un paradosso, ma la virtù del paradosso non sta forse proprio nella sua capacità di sovvertire le strutture logiche tradizionali per suggerire schemi nuovi e diversi?». Ci fa quindi notare come l’umorismo lavori sul.. nonsenso, essendone «demolizione, esplosione e messa in discussione». Non solo, a parer suo il vero umorismo va a braccetto con l’etica, aspetto che lo porta ad affermare: «fate l’umore, non fate la guerra». Quanto all’aspetto umoristico della Bibbia, sottolinea come questo sia «(parte) fondamentale dello svolgimento della Storia». Il rabbino ci ricorda poi che come la stessa storia del popolo ebraico, e con esso quello cristiano e musulmano, inizi con una fragorosa risata di Abramo, al quale Dio ha appena detto che avrà un figlio: «Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: “A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?». Fatto sta che i due vecchietti daranno alla luce Isacco, Yitsh’aq che, guarda caso, significa proprio “colui che rise”! (Gn 17,17).  E aggiunge Ouaknin: «Nel testo biblico è Dio a scegliere il nome di Isacco – il messaggero del riso – per sottolineare non solo la reazione stupefatta dei futuri genitori, ma anche il fatto che la fecondazione.. è all’insegna del riso: Dio rise e il mondo fu.. Abramo, ovvero il primo riso biblico: il partoriente». E ancora: «La nascita di Isacco è una grande risata, uno joke, un evento che sfida la logica e spezza le consuetudini del pensiero, rendendo così possibile la storia.. La vita ridanciana è nomade, vagabonda, non conosce mai la propria direzione, si inventa strada facendo: “Partire, questa è la sua meta”». Ma perché, chiediamoci, l’identità è così centrale nella storia del popolo d’Israele? Perché «(siccome) storicamente, avendo sempre vissuto in Paesi in cui non veniva mai considerato un cittadino a tutti gli effetti, l’ebreo si è creato un’identità in movimento.. Woody Allen e i suoi personaggi sono (allora) la rappresentazione di questo conflitto: si pensi al personaggio di Zelig, la cui proteiforme identità diventa la sua stessa caricatura». «Ma l’umorismo ebraico – conclude Ouaknin – non è altro, in fondo, che un lungo lamento! È uscito dalle viuzze ebraiche per andarsene a spasso nelle grandi avenue di New York o nei boulevard di Parigi». Nel 1999, invece, il padre Cappuccino Valerio Di Carlo (1932-2021) pubblica un libro di barzellette intitolato Fra Valerio.. poco Serio, che avrà diverse ristampe. Delle 2.162 raccolte, diverse si riferiscono alla Bibbia, a partire dalla Genesi: «Dio prese del fango, ci sputò e nacque Adamo. E Adamo, asciugandosi il viso, disse: “Cominciamo bene!”» (Giobbe Covatta); e ancora: «La prima notte di Adamo ed Eva? Un’esperienza senza precedenti»; siccome le donne non sono mai state risparmiate da una certa comicità, ecco il drammaturgo austriaco Moritz Gottlieb Saphir affermare che «Il primo sonno tranquillo di Adamo fu anche l’ultimo: si svegliò, e aveva moglie». Ma ecco subito la rivincita del gentil sesso: «Perché Iddio ha creato prima l’uomo e poi la donna? Un uomo disse: “Perché non voleva osservazioni”. Una donna (invece affermò).. “Perché prima volle fare la brutta copia”». Per poi trovare la riconciliazione tra i due.. «Adamo ad Eva (prima di fare l’amore): “Sfogliati!”». Quindi quelle relative alla Trinità: «Preghiera di Pierino: Padre Terno, fammi fare almeno un ambo!”» o «Numero telefonico di Dio: 61.63 (sei Uno sei Tre)!». Passando poi a quelle mariane: «Qual è la festa più attesa dai disoccupati? L’..Assunzione», e «Preghiera di una signorina: “O Maria, tu che hai concepito senza peccare, fa che io possa peccare senza concepire!”». Toccando quindi l’infanzia del Messia e del suo Precursore: «A cosa giocavano il Battista e Gesù da bambini? A testa e croce!».. e il centro della Scrittura: «Perché Gesù alla nascita aveva vicino il papà e la mamma e alla morte due ladroni? Perché: “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”!», fino al cuore del messaggio evangelico: «vi è più gioia nel dare, che nel ricevere (At 20,35), disse il pugile». Non mancano poi quelle sui successori di Pietro.. riferendosi infatti a san Giovanni Paolo II, il papa che ha viaggiato più di ogni altro nella storia: «Sai la differenza fra il Padre Eterno e questo Papa? Il Padre Eterno è in ogni luogo, il Papa c’è già stato». Fino ad arrivare ai giorni nostri: «Il parroco, nel giorno del venerdì santo: “Come?! Bestemmi anche oggi che è morto il Signore?”. “È morto il Signore!? Io non sapevo neanche che (stesse) male!”». Passando per quelle relative alle domande esistenziali più difficili: «Perché Iddio ci ha fatto solo un mento? Perché non poteva fare altri.. menti!». Chiudiamo allora con quel Carlo Sini che, sottolineando l’imprevedibilità dell’umorismo, ci suggerisce – forse involontariamente – che non solo è la vita stessa ad essere umoristica, ma l’intera storia della salvezza, guidata da quel Dio che, pur lasciandoci grande libertà d’azione, non permette che possiamo controllarla del tutto, anzi, ci salva proprio con e attraverso l’imprevisto, quel non-visto-prima che, come il riso, rompe gli schemi e ci fa accogliere il dono della vita.      

Recita
Cristian Messina

Musica ed effetti sonori
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