Cattedra, penna e libro (La Bibbia secondo Il Trono di Spade)



Testo della catechesi
Si alza un portale, tre Guardiani della Notte oltrepassano un lungo tunnel che termina con un secondo portale, oltrepassato il quale vedono ciò che non avrebbero mai immaginato di vedere: gli Estranei! Solo uno di loro riesce a sopravvivere e, giunto a Grande Inverno, viene decapitato per aver detto quanto visto.. letteralmente un martire, dal greco mártys, “testimone”, colui che ha visto qualcosa e ne dà “testimonianza”. Alla sua esecuzione assiste, con occhi ben aperti, un giovanotto di nome Brandon. Ha appena dieci anni e gli viene chiesto di assistere come forma di rito iniziatico poiché, dice il padre alla moglie: «il bambino deve crescere, l’inverno sta arrivando». Brandon poco prima si stava esercitando con l’arco, ma aveva mancato più volte il bersaglio, azione che, nella Bibbia, è l’immagine più concreta per intendere il peccato. Nei boschi viene ritrovato un cervo morto, ucciso da un animale estinto ormai da anni, la metalupa, morta a sua volta a pochi metri, lasciando orfani cinque cuccioli, ognuno dei quali viene preso dai rispettivi figli di Eddard Stark, colui che ha decapitato il Guardiano nonché padre di Brandon. Un sesto cucciolo, tuttavia, «lo scarto della figliata», così si dice, viene affidato a Jon Snow, figlio “bastardo” di Eddard. Il sesto giorno, sempre nella Sacra Scrittura, Dio ha creato l’uomo.. (cfr. Gn 1,26-27). Pochi minuti e Jon, mentre a Grande Inverno si sta festeggiando per l’arrivo del re, incontra il nano Tyrion, che lo chiama bastardo, sentendosi rispondere: «Che ne sai di cosa provi un bastardo?». «I nani – gli fa eco Tyrion, in assoluto il personaggio più amato dal pubblico – sono bastardi agli occhi dei loro padri». L’episodio si chiude con qualcuno, questa volta Brandon, che vede qualcosa che non doveva vedere.. E nella Bibbia, ci sia concesso un ultimo accostamento (bugia!), Dio sceglie continuamente l’ultimo, il secondo, lo scarto, non certo i migliori e più quotati. Tale concetto ha la sua trasposizione “martiniana” nelle figure del nano e del bastardo. Ma di cosa stiamo parlando?

Nei 62’ della prima puntata – che ci spoilera subito che il Regno di Dio è dei “piccoli”, in tutti i sensi – sono insomma concentrati quasi tutti gli elementi di una saga fantasy pazzesca, carica di sesso quanto violenta, capace di mostrare risvolti politici quanto religiosi, psicologici quanto sociologici, atavici quanto attuali.  
Il titolo che abbiamo voluto dare a questo episodio della rubrica In effetti, che indaga la serie tv de Il Trono di Spade, è già gravido di intenti: se la cattedra, dal greco “sedia (a braccioli)”, è simbolo di autorità e potere, in chiesa come a scuola, il trono ne è la sua forma diciamo così “imperiale”; la  penna è invece lo strumento capace di mettere “nero su bianco” quanto la parola afferma, ma «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio», recita la Lettera agli Ebrei (4,12), mentre in quella agli Efesini san Paolo invita i suoi a prendere «la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (6,17), ragion per cui viene spesso raffigurato con quest’arma in mano; il libro, infine, è l’oggetto fisico che contiene e trasmette quanto narrato, nella Bibbia come nel romanzo de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R.Martin, che ha ispirato l’adattamento televisivo di  Game of thrones, la serie tv andata in onda dal 2011 al 2019 attraverso 73 episodi, proprio come il numero dei libri che compongono la Bibbia cattolica, ma prendiamolo come un caso..         

A crearla sono stati David Benioff (pseudonimo di David Friedman), la cui famiglia ha origini ebraiche e già noto per l’adattamento cinematografico de Il cacciatore di aquiloni, e l’appassionato di videogiochi Daniel Brett Weiss.

Durante l’eucaristia di una settimana di evangelizzazione di strada a Riccione, datata ormai nel lontano 2003, il fiorentino don Gianni Castorani disse durante l’omelia: «Preghiamo affinché i VIP si convertano!». È la serie tv statunitense Of kings and prophets dell’emittente ABC, imperniata sulle vicende di Saul e Davide, che fra intrighi, lotte di potere, violenza e scene a luci rosse cerca di incontrare più da vicino la Bibbia, pur non avendo avuto nemmeno lontanamente lo stesso successo de Il Trono di Spade. Il punto è: cosa succederebbe se autori come Benioff e Weis si decidessero a metter mano ad una serie tv interamente dedicata alla Sacra Scrittura, non avendo quest’ultima nulla da invidiare – in quanto a sesso, violenza e vicende tipicamente umane – a Game of thrones? Ben inteso: l’obiettivo non sarebbe quello di attrarre spettatori con l’esca di sesso e violenza, elementi senza dubbio molto allettanti per il grande pubblico, ma far sperimentare allo stesso che la Bibbia è dell’uomo che parla – oltre che di Dio – , facendolo a 360°, senza escludere nulla della vicenda umana! Ma su questo ritorneremo fra poco..

La serie tv è ispirata come detto alla saga di Martin, ma se per le prime due serie si basa in modo pedissequo sugli avvenimenti raccontati nei libri, nelle successive gli ideatori Benioff e Weiss hanno liberamente interpretato gli avvenimenti, rendendoli più adatti alla rappresentazione scenica. Sia nei romanzi che nella serie si raccontano le avventure di un mondo immaginario che comprende due territori: quello orientale, conosciuto come Essos, e quello occidentale chiamato invece Westeros. La capitale di questo impero è Approdo del Re e si trova nel centro di quest’ultimo, dove ha sede Il Trono di Spade, simbolo del potere sui Sette Regni, posizione ovviamente assai ambita, da ognuno dei sovrani dei regni vassalli, che vorrebbero comandare su tutto l’impero. Saga, dunque, che racconta le varie lotte intestine e i tradimenti per agguantare il potere, tema chiave dell’intera narrazione, già a partire dalla sigla, che nel suo 1’36” fa sorvolare allo spettatore la mappa dei Sette Regni, che varia ad ogni puntata anticipando le terre in cui si svolgerà l’episodio. La domanda che sottende l’intera saga è infatti: “a chi spetta governare i Sette Regni?”, là dove sette, biblicamente è la totalità.

«Al momento in cui la serie si apre – sottolineano i critici cinematografici e tv Matteo Marino e Claudio Gotti, che nel loro dizionario intitolato Serie TV cult omnibus hanno recensito nel 2021 le migliori di sempre, almeno fino ad allora – , l’estate dura da nove anni e si ha il timore che la seguirà un inverno altrettanto lungo. Di qui il tormentone: “The winter is coming”, “L’inverno sta arrivando”». 

Le oltre quattromila pagine della saga A Song of Ice and Fire, “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di George R.R.Martin hanno molteplici fonti d’ispirazione: se il genere è ambientato in un passato per lo più medievale, la Barriera allude al Vallo di Adriano, mentre la lupa morente con i cuccioli rimanda alla fondazione di Roma, e la contesa per il trono è mutuata dalla Guerra delle Due Rose (1450-1485 ca.) tra gli York e i Lancaster (ovvero Stark e Lannister) per il trono d’Inghilterra, conclusasi con l’ascesa dei Tudor a partire dal 1485. 

E in guerra spesso si muore: «Valar morghulis» dicono a Braavos, ovvero “tutti devono morire”, cui fa eco il motto di Cersey: «quando si gioca al gioco del trono, o si vince o si muore». Ma i Greyjoy incalzano: «Ciò che è morto non muoia mai». «Si parla molto di morte nel Trono di Spade (e non se ne parla soltanto)», sottolineano Marino e Gotti, che ci ricordano come «L’idea stessa della saga sembra sia giunta a Martin sotto forma di un’immagine, quella del cadavere di un’enorme lupa nella neve». Morte, ancora, che non guarda in faccia a nessuno, nella saga di Martin come nella serie di Benioff e Weiss, nella Bibbia come nella vita. Tyrion domanda a Jon, mentre si trovano in prigione: «Allora c’è vita dopo la morte?», «No, non direi». La verosimiglianza dei continui decessi, che lascia con l’amaro in bocca gli spettatori che vedono cadere uno dopo l’altro i loro beniamini, è davvero potente. È lo stesso Martin a spiegare che la saga nacque dalla domanda che si poneva da bambino: “perché le mie tartarughe muoiono?”. Già, perché si muore? Siamo di fronte alla domanda delle domande, per cui non ci azzardiamo a far figuracce tentando una banale risposta, ci basta evidenziare come ogni personaggio affronti la morte dandole un senso tutto suo: per onore, per fedeltà, per salvare qualcun altro, e via dicendo.. Soltanto il maestro di spada di Arya, Syrio Forel, sembra sicuro della risposta: «Esiste un unico dio. Il suo nome è Morte. E c’è soltanto una cosa che puoi dire alla morte: non oggi». Della stessa idea, ma con una leggera sfumatura, sembra essere Ygritte, che a Jon Snow dice che tutti devono morire, ma prima vivremo. Gesù è chiaro al riguardo, quando ai sadducei di allora, come ad ognuno di noi oggi, dice: «non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi!”» (Mt 22,31).    

Ma torniamo alla fantasia di colui dal quale tutto è partito: George Raymond Martin (che a 13 anni, da cresimato, prese il nome di Richard) è stato anche coproduttore esecutivo della serie tv. «Laureato in giornalismo, ex insegnante, appassionato di scacchi, fumetti e fantascienza, cominciò a lavorare per la tv come sceneggiatore per Ai confini della realtà, divenendo poi sceneggiatore e produttore della serie La bella e la bestia», dopo di che scelse di dedicarsi unicamente alla carriera letteraria, dove riscosse moltissimi riconoscimenti, in particolare grazie alle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, che nel 1991 attirò l’attenzione di molti produttori, desiderosi di poter adattare l’opera al grande schermo. Martin aveva tuttavia alcune riserve, due su tutte: da una parte non voleva che il romanzo venisse “zippato”, dall’altra che le scene forti, quelle di sesso e violenza, venissero edulcorate, ragion per cui i diversi produttori fecero sempre un passo indietro. Nel 2006, però, la proposta arrivò dagli sceneggiatori già citati, Benioff e Weiss, che riuscirono a far breccia nel cuore e nella mente di Martin, così dal 17 aprile 2011 vide la luce A Game of Thrones, “Il gioco del trono”, infelicemente tradotto in italiano con “Il Trono di Spade”.  

Le tematiche affrontate nel romanzo prima e nella serie tv poi sono davvero tante: l’amicizia e la fratellanza, il tempo e la morte, la violenza e l’amore, il potere e l’onore, la famiglia, la figliolanza e la paternità. A proposito di quest’ultima, Tyrion è un evidente richiamo al figliol “prodigo” di Luca 15, e la sua vita è quella di un uomo che desidera guadagnare un amore mai ricevuto. In entrambi i casi i figli hanno modi e approcci diversi per attirare l’amore del padre. 
Ma è davvero possibile, chiediamoci, accostare Il Trono di Spade alla Bibbia?

Si tratta infondo di due opere molto diverse tra loro, essendo la prima soprattutto un coacervo di violenza e sesso. Una tale domanda però può essere formulata solo da chi non conosce il testo biblico, sesso e violenza sono infatti elementi centrali in questa serie tv ma non marginali nella Sacra Scrittura, come sottolineato dal teologo Simone Paganini, che nel 2021 ha pubblicato un libro dal titolo già evocativo Senza censura, in cui prende in esame diversi personaggi e fatti narrati dal testo sacro: dal «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela» di Gn 1,28 ai 144.000 che non si sono contaminati con le vergini di Ap 14,4, passando per i diversi libri del Primo come del Secondo Testamento. Nella sua opera Paganini afferma che «Il sesso non è un argomento marginale nella Bibbia.. (e) nelle sue molteplici sfaccettature, dall’amore romantico alla violenza sessuale, è quasi onnipresente», tra l’altro «a meno che non sia frutto di una libera scelta d’amore – ma questo nel mondo antico non è la regola – , è sempre anche un’espressione di potere e di violenza». Riguardo a quest’ultima, nel Dizionario di Teologia biblica da lui curato, il gesuita francese Xavier Leon-Dufour (1912-2007) precisa anzitutto come la Scrittura utilizzi due termini per designarla: l’ebraico hms in modo esplicito, il greco biàzomai, invece, con una sfumatura di costrizione, nel senso di “forzare, insistere per”. Evidenzia quindi come «la Bibbia descriv(a) senza illusioni lo stato violento in cui si trova l’umanità: le forze vitali e le potenze di morte si mantengono in equilibrio provvisorio, il cui ordine apparente è spesso una caricatura». Il binomio sesso e violenza, pur generalizzato in amore e lotta, è anche oggetto del libro Lottare e amare (che ha il corrispettivo femminile in Regina e selvaggia) del monaco benedettino tedesco, nonché psicoterapeuta Anselm Grün, che nell’introduzione al testo afferma: «Chi si limita a combattere corre il rischio di diventare duro e insensibile. Chi ama solamente è incline allora ad ammettere solo i suoi aspetti più delicati», passando quindi in rassegna diciotto uomini biblici, da Adamo a Gesù, che «non sono immagini ideali» e, rivolgendosi al lettore, così lo sprona: «Non evitare le tue ferite.. fanno parte del tuo cammino. Sono proprio esse a renderti capace di amare. Poiché non c’è amore senza ferite. Vieni a contatto con la tua forza maschile, con la tua aggressività, con la tua sessualità, con il tuo autocontrollo, ma anche con le tue passioni.. impediscono (infatti) che la tua vita diventi noiosa».     

Ma il fine ultimo di Martin è l’esplorazione dei conflitti interni che definiscono la condizione umana. Conflitti che è possibile tentare di leggere anche alla luce delle grandi narrazioni, che la l’umanità ci offre da tempo immemore.. Nel celebre libro La condizione postmoderna il filosofo francese Jean François Lyotard (1924-1998) parla del destino dell’educazione e della scuola nell’attuale società informatizzata e post-industriale. Ciò che lo ha reso maggiormente noto è tuttavia la fine delle “grandi narrazioni”. La storia ottocentesca e novecentesca, a suo dire, verrebbe cioè raccontata come la vicenda di un soggetto collettivo, con due conseguenze sull’ambito educativo e scolastico: fine della scuola di classe e fine della scuola democratica. La mercificazione del sapere sarebbe un altro danno collaterale: se l’educazione non è più controllata unicamente dagli Stati diventa merce personale acquistabile come qualsiasi altro prodotto. E tra le grandi narrazioni uno dei primi posti, se non il primo, spetta alla Bibbia, capace come e più del romanzo di Martin di fornire chiavi di lettura dell’umano, e del divino, a chiunque abbia il coraggio di accostarla.. 

Se prendiamo in esame la simbologia, che nel Trono di Spade è davvero ricca, ci rendiamo conto della sua rilevanza già a partire da quella numerologica: cominciando con i già citati 73 episodi (in 8 stagioni), quindi il corvo dai 7 occhi, i 7 regni, i 3 draghi e via dicendo.. Ad un certo punto Brienne di Tarth riceve l’investitura di “cavaliere dei sette regni” in nome di una triade divina (semplificando un po’, la Trinità per i cristiani, la Trimurti per gli induisti), là dove il Guerriero rappresenta il coraggio, il Padre la giustizia e la Madre la cura per i deboli. Si passa cioè da un settenario a un ternario, due cifre decisive nella Sacra Scrittura. Il simbolo dei Bolton è addirittura capace di mixarne diversi, dal punto di vista agiografico riesce infatti a fondere il martirio di tre apostoli: un uomo scuoiato, rimando a quello subito da Bartolomeo, al tempo stesso crocifisso e a testa in giù, come Pietro, e su una croce a forma di “X”, come suo fratello Andrea.

Una chiave di lettura che Martin fornisce si avvale poi dei “nomi parlanti”, tecnica utilizzata da tanti, a partire dalla Bibbia stessa: Jon Snow (all’italiana Giovanni Neve) è uno dei tanti cognomi “naturalistici” affidati ai bastardi, la cui etimologia rimanda al mulo, nato dall’incrocio tra un asino e un cavallo, che in senso dispregiativo è utilizzato come sinonimo di ibrido, figlio illegittimo, diverso.. Aemon, il maestro ormai cieco della Barriera, nato Aemon Targaryen, era il maestro dei Guardiani della Notte (lui, cieco!), il cui nome deriva dall’Antico Egitto: “quello nascosto”, è infatti un Targaryen nascosto nella Barriera. Aerys (Targaryen), “il re folle”, deriva invece dal greco antico “discordia”; Arya (Stark) in sanscrito significa “amorevole” o “nobile”; Beric (Dondarrion), capace di risorgere 6 volte (biblicamente il numero dell’imperfezione), in ebraico traduce “fulmine”, è infatti “Il signore dei fulmini”; mentre Bran (abbreviazione di Brandon) in gaelico è “corvo” (ecco le ragioni della presenza costante di questo volatile), mentre Brienne proviene dal celtico “nobile, solenne”; Cersey da Circe, la dea greca famosa per aver ucciso suo marito ed essere costretta a vivere in solitudine; dal greco derivano Catelyn, “tortura”, Sandor (“il Mastino”) significa “difensore degli uomini”, Tyrion “re”, Lysa (Tully) “pazzia”; Lyanna (sorella di Ned Stark), ha invece la sua radice nel francese “martire”; mentre Robert (nome sia di uno Stark sia di un Baratheon) nel tedesco “famoso”. 

Tornando ai numeri, come mai i Sette Regni si chiamano così se in realtà sono nove: la Valle, l’Altopiano, il Nord, le Terre dell’Ovest, quelle della Corona, della Tempesta, dei Fiumi, le Isole di Ferro e Dorne? Perché quando Aegon il Conquistatore sbarcò a Westeros, il continente era, per l’appunto, dominato da sette casate regnanti e diviso in altrettanti regni, ognuno corrispondente alla rispettiva casata. Nel tempo in cui gli eventi narrati nella serie televisiva hanno luogo, i Sette Regni non esistono più. Si tratta semplicemente di territori che, non più presenti, esistevano prima della conquista da parte della famiglia Targaryen. Un’altra ipotesi potrebbe tuttavia celarsi dietro la simbologia del numero 7, come a dire che i Sette Regni rappresentano il “tutto”.

Se il centro della Bibbia è la Parola, fatta carne in Gesù, cioè la comunicazione intra-umana e divino-umana, Il Trono di Spade ne sottolinea l’importanza ad esempio attraverso la lingua dothraki, popolo che somiglia ad un incrocio tra i Mongoli di Gengis Khan, gli Unni di Attila e i Nativi d’America. Inventata da David Peterson, questi afferma che «per creare una lingua occorre partire dalla cultura». In dothraki non esistono ad esempio la parola “trono” e “grazie”, dice Daenerys a Jorah, personaggio quest’ultimo che conoscerà la sua personale redenzione dando la vita per colei che amava, Daenerys appunto, dopo averla tradita, risentendo in tutto ciò un’eco di quanto accadde a Pietro nei confronti di Gesù.. 

Molto interessante è inoltre la figura dei guardiani della notte.. chi sono davvero? Ispirandosi ai monaci guerrieri – Crociati, Templari, Ospitalieri, ecc.. – di fatto sono un incrocio tra monaci (vivono ai confini della civiltà) e soldati, “tra i monaci e un corpo speciale di polizia”, di fatto una confraternita para-religiosa. Il loro giuramento-motto recita: «Cala la notte, comincia la mia guardia, non si concluderà fino alla morte.. io non avrò moglie, non porterò corona e non cercherò gloria. Vivrò sempre al mio posto (monos) e al mio posto morirò. Io sono la spada nell’oscurità, la sentinella che difende la Barriera. Io consacro (!) la mia vita e il mio onore ai guardiani della notte, per questa notte e quelle che ci aspettano». «Nei secoli dei secoli, Amen!», verrebbe da aggiungere.

Piccola parentesi riguardo alla loro funzione di sentinelle, legata in qualche modo al gufo, la cui simbologia è duplice: se nell’immaginario popolare gufo e civetta (che pure si distinguono) hanno una valenza negativa (non a caso in Italia “gufare” è sinonimo di “portare iella”), probabilmente per la loro vita notturna (e si sa, la notte ci rimanda al buio e quindi alla morte), d’altra parte, proprio perché rimangono svegli durante la notte, gufo e civetta vengono associati alla loro funzione di guardia e sapienza, a partire dalla dea greca Athena, Minerva per i romani. In sintesi: gufi e civette, vegliando nell’attesa della luce come i monaci o i guardiani della notte, ci parlano tanto della morte quanto della  vita: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.. tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24,42), risponde Gesù ai discepoli che, sul monte degli Ulivi, gli chiedono quale sarà il segno della sua venuta e della fine del mondo. 

Tornando ai nostri guardiani, una volta entrato in questa confraternita il tuo passato non esiste più, come avviene simbolicamente attraverso il cambio di nome di monaci e monache, frati e suore. Loro capo, vero abate, è il Lord comandante. I Corvi sono formati da tre ordini: Attendenti (sorta di cuochi), Costruttori (manutentori della Barriera e del castello) e i Rangers (combattenti). Si noti bene: i guardiani della notte erano rispettati finché si credeva nell’esistenza delle creature oltre la Barriera – fino a quando l’umanità viveva anche di metafisica! – , ma dopo considerato un rifugio per scampare ad altro, ad esempio condanne. Barriera – elemento simbolico che tra l’altro apre e chiude la serie – , che non rappresenta solo il confine a Nord, oltre il quale c’è una terra stregata: lunga 480 km, da costa a costa, il suo punto più alto è di 213 metri. Fu costruita in un lontanissimo passato per ragioni che si sono ormai perse. Storicamente si ispira come detto al Vallo di Adriano, costruito dai romani e lungo più di 100 km, per non avere gli scozzesi, cioè i “bruti”, tra i piedi. «Si dice che l’unica opera umana terrestre visibile dalle grandi altezze stratosferiche – afferma il biblista e cardinale Gianfranco Ravasi – sia la Muraglia cinese, un imponente e possente sistema di difesa che però non riuscì a rendere inviolabile la Cina. – e aggiunge – Così accadde al Vallo di Adriano e al muro di Berlino e così accadrà in futuro anche al muro israeliano in Cisgiordania. L’illusorietà delle odierne porte blindate, simbolo del nostro vivere quotidiano, è evidente: noi oggi abbiamo più paura di ieri». Già.. Il noto filosofo e sociologo polacco Zigmunt Bauman (1925-2017), celebre per aver definito l’attuale società “liquida”, in un intervista disse che «Chiudere la porta non garantisce sicurezza, e la storia l’ha dimostrato. L’unico modo per accrescere la sicurezza non è costruire altri muri, ma creare spazi aperti nei quali tutti possano dialogare e sentirsi partecipi dello stesso mondo». Il già citato Ravasi commenta da parte sua questo intervento sottolineando che «lo spazio aperto del confronto e del dialogo è, certo, rischioso, ma è l’orizzonte più adatto a essere veramente creature umane e non bestie feroci». Cattivo, aggiungiamo noi, non deriva del resto dal latino captīvus (da capĕre, “prendere”), cioè “prigioniero”?!  

Riprendendo la figura dei figli illegittimi, va inoltre sottolineato come Robert Baratheon sia stato il più grande generatore di bastardi, che prendono nomi diversi in base a dove si trovano: Snow al Nord, Rivers nelle Terre dei Fiumi, Hill nelle Terre dell’Ovest, Pike nelle Isole di Ferro, Flowers nell’Altopiano, Waters attorno ad Approdo del Re, Storm nelle Terre della Tempesta, ecc.. la domanda sottesa è sempre la stessa: di chi siamo davvero figli? Solo a Dorne tra l’altro, terra molto edonista, i bastardi non sono disprezzati. Ogni bastardo non può avere eredità, cioè futuro, e solo alla Barriera hanno quasi le stesse opportunità, venendovi infatti favoriti i figli dei lord. Ramsey “Bolton”, sotto questo punto di vista, è un personaggio davvero interessante: abbandonato dal padre (gli psicopatici come lui hanno spesso problemi col padre) vive con la madre che poi purtroppo muore. Per cui Ramsey infliggendo il male agli altri lo infligge in realtà al padre, dal quale pretende – suo vero ed unico scopo – il riconoscimento e il rispetto. Potremmo dire che tra gli eccessi di Ramsey e Jon si situa Tyrion che, come già detto ritiene che «ogni nano (sia) un bastardo agli occhi di suo padre».

Come vengono trattate le religioni e le divinità all’interno della saga? La religione, lo afferma lui stesso, ha sempre giocato un ruolo centrale nel mondo creato da Martin. La maggior parte degli abitanti di Westeros professa il culto dei Sette Déi, mentre quelli del Nord, come gli Stark, venerano i Vecchi Déi. Nella sesta stagione, con la “guerra” in corso tra Cersei e l’ Alto Septon del Culto dei Sette, ecco l’apparizione di nuove sacerdotesse rosse a Meereen, Arya pronta a diventare una seguace del Dio dai mille volti e Jon Snow resuscitato con il potere del Signore della Luce. Vaga allusione di quest’ultimo a Lucifero? «Ogni signore che ho incontrato era uno stronzo – dice il Mastino al suo interlocutore – perché il Signore della Luce dovrebbe essere diverso?!». Già, perché? La “camminata della vergogna” di Cersei è inoltre una sorta di Via Crucis, ispirata a quella cui venne sottoposta, come forma di umiliazione, Elizabeth “Jane” Shore (1445–1527), una delle tante amanti di re Edoardo IV d’Inghilterra: fu costretta a camminare per le vie di Londra con la sola tunica – all’epoca un vero scandalo, quasi fosse nuda – e una candela davanti. Martin ha anche sottolineato alcune somiglianze tra l’ordine paramilitare del Credo Militante e la religione cattolica: «Mentre (quest’ultima) ha la Trinità, il Credo Militante ha i Sette Dèi – ovvero un solo Dio, con i suoi sette volti. Nel cattolicesimo, invece, ci sono tre volti – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Da bambino questa cosa mi confondeva, “allora ci sono tre dèi?” dicevo. No, un Dio con tre diversi aspetti. Ma ero comunque confuso». 

Altro gruppo ricco di spunti è quello degli Immacolati, un misto tra Spartani, i turchi Memelucchi, i più famosi soldati schiavi il cui potere andò rafforzandosi in Egitto, e Giannizzeri, in turco “nuova milizia”, la fanteria dell’esercito privato del sultano ottomano. Tutti, in ogni caso, resi schiavi e combattenti fin da bambini, come capita purtroppo a tanti giovani di oggi..

Quanto alla preistoria del fantastico mondo creato dallo scrittore statunitense, i Figli della Foresta adoravano gli dèi che si manifestavano in alberi, rocce e torrenti. I Primi Uomini, venuti migliaia di anni dopo, accettarono di venerare tali divinità, come in seguito gli Stark di Grande Inverno. Il culto predominante a Westeros resta tuttavia quello dei Sette Dèi, o meglio dei 7 volti dell’unico dio, tre dei quali maschili (Padre, Madre e Fabbro) e tre femminili (Madre, Vergine e Vecchia), mentre il settimo non è né uomo né donna, rappresenta infatti la morte e l’ignoto. Anche in questo caso, chi è almeno un po’ avvezzo alla Bibbia non può non essere rimandato all’episodio di Paolo all’areopago di Atene, che agli abitanti di quella città fece notare come il dio ignoto, che compariva su uno dei loro altari, era quel Gesù che lui andava annunciando. Ma le orecchie degli astanti, ben aperte fino a un certo punto, si otturarono al sentir parlare di resurrezione: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». Non tutti però, perché «alcuni si unirono a lui e divennero credenti» (At 17,22-34). Dio non è insomma come ce lo immaginiamo.. 

Tornando al Trono di Spade, occorre notare come ognuna delle divinità venga pregata per la funzione che ha: la Madre, solo per fare un esempio, per avere figli, insomma una sorta di divinità Jukebox. Quanto poi alle figure “religiose” della saga, ecco Septon e septa, rispettivamente sacerdoti e sacerdotesse, monaci e monache che hanno diversi ordini, tra cui le sorelle silenziose, che fanno voto di silenzio e si occupano dei corpi dei combattenti trucidati. Tra costoro incontriamo Talisa Maegyr, personaggio interpretato dall’attrice spagnola Oona Chaplin, nipote del ben più noto Charlie. 

Quando gli Andali invasero la parte meridionale di Westeros però, sottomettendo i Primi Uomini, furono accompagnati dalla loro religione, riconosciuta poi come quella dei Nuovi Dèi. Il nord, al contrario, rimase fedele ai Vecchi Dèi, ecco perché la maggior parte degli abitanti di Approdo del Re è fedele ai già citati Sette.  

Il fanatismo non è esente dall’opera di Martin, in cui è emblematica la figura di R’hllor, il Dio del Fuoco meglio conosciuto come “unico vero Dio”  in diverse parti di Essos, in particolare nelle Città Libere, i cui seguaci credono inoltre nel Principe che venne promesso, sorta di Messia e seconda venuta di quell’Azor Ahai che tornerà a salvare il mondo. E anche in questo caso non possiamo non notare un’eco cristiana..

Anche il dio venerato da Melisandre, il Signore della Luce, è da lei ritenuto l’unico, ragion per cui ritiene che tutte le altre divinità debbano essere distrutte. Non è raro che i suoi seguaci uccidano infatti i presunti “infedeli”, facendo tra l’altro sacrifici rituali. A proposito di fanatismo, singolare che tra i luoghi più iconici della serie ci sia anche “Nido dell’aquila”, nome del rifugio bavarese alpino in cui Hitler amava ritirarsi.

Il Dio Abissale è invece oggetto di venerazione sulle Isole di Ferro, i cui abitanti, popolo di marinai, ha per “cielo” il mare: se infatti muoiono annegati andranno a banchettare con lui (un po’ come i vichinghi nel Valhalla), raggiungendolo in quelle profondità marine corrispondenti (“in basso” piuttosto che “in alto”) del Paradiso. Per loro, nemmeno a dirlo, è decisivo è il battesimo. Per questo motivo gli Uomini di Ferro non hanno paura di annegare, come recita il loro motto infatti, “Ciò che è morto non può mai morire”. Quello dell’affogamento, per questa popolazione è una specie di rito di passaggio, dove i neonati vengono sottoposti ad una discutibile cerimonia battesimale, ovvero di “immersione”. Quando Theon Greyjoy ritorna sulle Isole di Ferro, suo padre Balon lo fa addirittura battezzare di nuovo, per paura che gli Stark lo abbiano convertito ai Vecchi Dèi. Lo stesso rituale si ripete quindi nel momento in cui Euron Greyjoy viene scelto come Re.

La religione meno diffusa a Braavos è quella del Dio dai Mille Volti, o Dio della Morte, venerato da una setta assassina i cui adepti sono chiamati “Uomini senza volto”. Perché questa divinità ha molte facce? Perché il mistero della morte è contemplato in modo diverso dalle varie religioni. Ma per i “senza volto” la morte è un dono concesso dal loro dio, perché destinata a porre fine alle sofferenze umane. Come un dono, però, è la possibilità di interrompere la vita di coloro che causano la sofferenza altrui. Mah..

Senza voler affibbiare alla serie intenti che non sono degli autori, tentiamo allora di scorgere qualche accostamento tra alcuni particolari della saga – personaggi, eventi, parole, simboli ecc.. –  e il mondo biblico, a partire da quello non troppo azzardato tra Catlyn e il re Davide: entrambi, quando tentano di risolvere un problema, rischiano di peggiorarlo! Più evidente è l’affinità già evidenziata tra Tyrion e il “figliol prodigo”. Altro parallelo pertinente è quello tra Daenerys e Mosè, entrambi paladini di un popolo liberato dalla schiavitù. Nella quinta stagione scopriamo i già citati e crudeli seguaci del Credo Militante (noti come Passeri), potente setta di Approdo del Re il cui guru è chiamato Alto Passero, definito da Olenna Tyrell zelota, termine col quale, nella Giudea dominata dai romani, s’intendeva un fanatico e irriducibile appartenente a quella frangia politico-religiosa che combatteva per l’indipendenza ebraica. E tra i dodici Apostoli l’evangelista Luca chiama zelota quel Simone che invece Marco e Matteo definiscono “il Cananeo”: chi pensa che Gesù si sia scelto i migliori per iniziare la sua stupenda avventura, beh, dovrà ricredersi..  

Riguardo ai Passeri Martin confessa: «sono la mia versione della Chiesa cattolica medievale, con un tocco di fantasy», e aggiunge: «Se andate a vedere la storia del Medioevo, in alcuni periodi ci sono stati papi e vescovi mondani e corrotti. Erano dei politici, non religiosi. Giocavano a una loro versione del gioco dei troni, stringendo accordi con re e altri signori. Ma c’erano anche periodi di rinascita o di riforma – il più importante è quello della Riforma Protestante, che ha portato allo scisma della Chiesa – in cui c’erano anche due o tre papi rivali, ognuno dei quali sosteneva l’illegittimità dell’altro. È la stessa cosa che stiamo vedendo in Westeros».

Se su questa serie si è detto e scritto tanto – nel 2013 è uscito ad esempio La filosofia del Trono di Spade, Etica, politica, metafisica, libro curato dal docente universitario statunitense Henry Jacoby –  ma è stato senza dubbio il mondo del Web a sbizzarrirsi maggiormente: durante la messa in onda è arrivato a sottolineare dieci personaggi del Trono di Spade che sembrano “usciti dalla Bibbia”.. Il 20 marzo 2017 Simone Schiaffella scrive in proposito: «se gli autori dell’Antico e del Nuovo Testamento si accorgessero del plagio, probabilmente farebbero causa a Martin, HBO e compagnia bella», e parte col suo elenco, iniziando da Samwell Tarly che si dà alla stepchild adoption, quell’“adozione del figliastro” che lo mette in parallelo con Giuseppe, padre putativo (dal latino “presunto, apparente”) di Gesù. La rassegna prosegue col sacrificio della piccola Shireen Baratheon, bruciata viva dal padre Stannis in onore del dio R’hllor, atto che lo paragona al celebre sacrificio (o legatura, come la chiamano i fratelli ebrei) di Isacco (Gn 22,1-18), ma il cui esito è ben diverso: se nel Genesi l’angelo ferma la mano di Abramo, nell’episodio de Il Trono di Spade la morte si consuma. Quindi il duello tra Oberyn Martell e Gregor Clegane rimanda a quello ben più noto tra un altro gigante e un piccoletto: Golia e il re Davide, narrato nel Primo libro di Samuele al capitolo 17. Erode il Grande è quindi fonte d’ispirazione, con la sua “strage degli innocenti” messa in atto per paura di essere spodestato, per quanto accadrà a Cersei Lannister, spodestata da una  giovane donna. Che dire allora di Daenerys Targaryen, la “Madre dei Draghi” (che tra l’altro è sterile, come tante donne bibliche), associata a Mosè:  «Entrambi cresciuti orfani – lei “Nata dalla Tempesta” e lui “salvato dal Nilo” (precisa Schiaffella) – provano la stessa compassione non profit per gli schiavi, odiano le catene.. ed hanno il potere di far succedere tremende catastrofi». Il forzuto Sansone non poteva non essere accostato a Khal Drogo, col quale condivide non solo una forza prodigiosa, ma soprattutto «il fatto che questa sia direttamente proporzionale alla lunghezza dei loro capelli». E aggiunge: «il nome di Sansone deriverebbe dall’ebraico Shimson, che significa “piccolo sole”. Non troppo distante da “il mio sole e le mie stelle” con il quale Daenerys chiama affettuosamente il suo Khal». Troppo facile il più importante degli accostamenti: «Jon Snow, figlio di padre incerto, viene tradito da Olly – e dagli altri suoi compagni.. – e quindi ucciso.. Nello stupore generale.. resuscita e Olly muore impiccato». E anche questa l’abbiamo già sentita! Ai paralleli Jon-Gesù e Olly-Giuda Iscariota aggiungiamo noi il fatto che il corpo ormai esanime e disteso di Jon riprenda incredibilmente il Cristo morto di Andrea Mantegna, conservato oggi nella Pinacoteca di Brera a Milano. L’ultima incredibile somiglianza, questa volta solo fisica ed extra-biblica, è tra il leader del Credo Militante Alto Passero (interpretato da Jonathan Pryce e doppiato in Italia da Gino La Monica) e papa Francesco: davvero da non credere!

Come finisce Il Trono di Spade? Da questo momento in poi chi odia gli spoiler si metta il cuore in pace: nel 73° episodio, quello finale – l’equivalente dell’Apocalisse biblica, tanto per intenderci – progettato già dalla 5° stagione, Jon Snow è combattuto fino all’ultimo secondo se tradire o meno Daenerys, ma poi capisce che è pazza come suo padre (e che avrebbe ucciso le sue due sorelle), così lascia che l’eterno duello tra eros e thanatos sia vinto dal secondo.. e la uccide. La scena è ispirata dalla cattedrale di Coventry, dedicata a san Michele e bombardata il 14 novembre 1940 dai tedeschi. Il trono da tutti ambito è fuso, sciolto: l’oggetto del desiderio è svanito! La vicenda di Bran o Bran “lo spezzato” (che ha, seppur con le dovute differenze, il suo corrispettivo nella serie Viking nel personaggio di Ivar “senz’ossa”) è una decisione del duo Benioff-Weiss: è l’unico “puro” rimasto, nonché l’unico che non potrà avere figli: la “pessima eredità può essere spezzata”. Tyrion, dal canto suo, diventa ciò che è sempre stato, ovvero primo cavaliere, ma in un modo diverso, ha cioè la possibilità di redimersi. Ma il finale rimane aperto: le cose andranno avanti, ma meglio di prima. Di fatto si tratta di una vittoria degli Stark: Bran diventa re dei 6 regni, Sansa regina del Nord, Arya libera di esplorare “il mondo” e Jon libero di vivere, lui che ha combattuto per gli uomini liberi. Dal punto di vista fotografico l’ultima scena riprende la prima: la grata della Barriera che si alza, questa volta con Jon e Tormund, ma nel primo episodio i Guardiani uscivano per indagare e attaccare i bruti, nell’ultimo per riaccompagnarli a casa..

Finale conforme alle aspettative? Stando al grande pubblico decisamente no. Come mai? Dopo l’ultima puntata è stata aperta perfino una petizione su change.org (la piattaforma on-line gratuita di campagne sociali, fondata nel 2007 negli Stati Uniti), che ha raccolto oltre un milione di firme per far riscrivere e rigirare l’intera stagione finale! Se l’invadenza dei fan può apparirci al limite del ridicolo, e forse lo è, dobbiamo cavarcela col vecchio “il cliente ha sempre ragione”? Sia come sia, l’inghippo è presto detto: Martin ha iniziato a scrivere Cronache del Ghiaccio e del Fuoco nel 1991, ma con ritmi sempre molto biblici, così la serie tv ha superato le vicende narrate nei romanzi, per cui l’assurda velocità imposta dai nostri tempi ha fatto sì che dalla sesta stagione in poi – beninteso, con la supervisione dello stesso Martin – la minuziosità descrittiva (soprattutto dei personaggi) abbia perso lucidità, la quantità ha insomma avuto la meglio sulla qualità. «Tutto questo – precisano Marino e Gotti – mentre il successo crescente permetteva di portare in tv uno spettacolo mai prima di allora così ricco e ambizioso in termini di fotografia, musica, scenografia, costumi, montaggio, effetti speciali. Il Trono di Spade – concludono i due –, in questo non ha mai deluso..».  Allora «preghiamo affinché – oltre a noi spettatori, anche – i VIP si convertano!».

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Musiche tratte da https://archive.org e dalla libreria di Garage Band

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