A scuola senza "i libri"? (Bibbia e scuola)



Testo della catechesi
«L’alfabetizzazione catechetica proposta dalla Chiesa non è più biblica, al più si presenta ai bambini qualche pagina di Vangelo, mossi dalla fideistica fiducia che esso possa parlare a tutti e in particolar modo agli animi infantili. Non è (dunque) azzardato (sostenere) che.. Chiesa e scuola, non forniscono ormai alle nuove generazioni i rudimenti biblici propri della storia sacra..». Con queste parole – comparse sulla rivista Il Regno del 2004 – il teologo ed esegeta Piero Stefani ci va giù duro, “la tocca piano” come si suol dire.. Sta esagerando? Se, immaginandoci all’interno di un’aula scolastica, facessimo l’appello dei testi utilizzati, la Bibbia sarebbe forse l’unico libro (di un certo spessore culturale) assente! Come mai? Tentiamo subito una risposta – peraltro facile da ipotizzare – dicendo che, essendo percepita come “Parola di Dio”, viene considerata unicamente un testo religioso che, come tale, dovrebbe interessare i soli credenti, per cui la si esclude dal dibattito culturale fin dalle sue radici, ovvero in ambito scolastico. Il grande critico letterario Remo Ceserani (1933-2016), già nel 2001 affermava che: «..per tanti secoli (il testo sacro) è stato considerato un libro scritto da Dio, e che andava trattato solo da chi aveva un particolare accesso alle verità teologiche.. Dopodiché, le cose sono un po’ diverse nei vari paesi: un ragazzo che cresca o in Inghilterra o in Germania in ambiente protestante avrà sicuramente un rapporto maggiore con questo libro..». Le cose allora sembra siano andate meglio in ambito protestante, dato che – ci ricorda il filosofo e pedagogista, nonché dirigente scolastico Aluisi Tosolini (uno che insomma è all’interno della scuola non solo in teoria) – «La Bibbia tradotta da Lutero ha avuto una notevole influenza sulla stessa lingua tedesca. Ma l’influenza maggiore è legata alla nascita della scuola.. La rivoluzione della Riforma protestante contribuisce così, a partire dalla Bibbia, a operare una rivoluzione culturale, che ha nell’istruzione per tutti il suo caposaldo». Quindi il mondo cattolico è la Cenerentola di turno? Non proprio, o almeno non fino alla Controriforma, infatti «Dante e Petrarca – è ancora Ceserani a parlare –, da ragazzi, svilupparono una familiarità col testo biblico, assai superiore a quella che possiedono i ragazzi di oggi.. (ma) dopo la Riforma.. si è verificata una vera e propria specializzazione dei protestanti per quanto riguarda la conoscenza dei libri biblici..». Detto altrimenti: la “fatica” da parte del singolo fedele cattolico nell’approcciare da solo il testo sacro (senza cioè la mediazione del Magistero), è stata determinante. Dal Concilio Vaticano II in poi, tuttavia, questo limite non c’è più.. Dunque? Le risposte vanno probabilmente cercate in un contesto più ampio: se nel 1943 Benedetto Croce poteva scrivere Perché non possiamo non dirci cristiani, oggi questa affermazione scricchiola: i dati statistici a riguardo sono infatti lapidari. Ma allora, in un Paese come l’Italia – e il discorso si estende a dismisura all’intero Occidente – perché la Bibbia, cacciata dalla porta principale dell’aula scolastica, dovrebbe rientrarvi dalla finestra? E ancora, fa parte o no della nostra tradizione? «La forza di una tradizione – scrive l’antropologo Maurizio Bettini – non deriva tanto dal fatto che essa viene dal passato, come normalmente si crede o ci viene detto, ma dal fatto che si continua a insegnarne i contenuti nel presente» (Radici. Tradizioni, identità, memoria pag. 42). Nel nostro caso: cosa, la Bibbia, continua ad insegnarci oggi? La risposta stavolta è molto più semplice: nulla (o quasi) è davvero comprensibile se sradicato dal testo biblico, dai concetti di bene e male all’arte, dalla letteratura alla filosofia, dalla politica ai canoni estetici, e via dicendo. Senza contare poi l’elemento più decisivo, la concezione del tempo. Non solo il mondo intero ha ormai sposato come anno “0” quello della nascita di Cristo, ma tutto il calendario annuale è praticamente scandito dal fatto cristiano: si pensi al giorno di riposo (ormai solo in teoria) rappresentato dalla domenica, o alle feste liturgiche che scandiscono e dettano i 365 giorni, pur senza avere coscienza del loro radicamento biblico e cristiano. Certo, il Natale è ormai un momento sentimentale e consumistico, ma resta una provocazione per i più, almeno per coloro che hanno il coraggio di interrogarsi sulle sue radici. Ma, s-radicare una pianta dal suo terreno, equivale a farla morire.. Torniamo alla scuola: perché, almeno nei licei, si leggono l’Odissea, la Divina Commedia o I Promessi Sposi, e non la Bibbia, se la letteratura biblica costituisce la base della civiltà europea non meno di quella classica? Senza la Sacra Scrittura sarebbero inoltre incomprensibili sia il testo dantesco sia quello manzoniano. Ancora, perché relegarla all’ora di Religione Cattolica (insegnamento come noto, facoltativo), tra l’altro richiedendo agli alunni competenze che lo stesso cattolico adulto (cronologico e “nella fede”) fatica ad avere!? Nel 1989 – periodo che oggi ci appare giurassico! – l’associazione laica Biblia si spese per l’inserimento del testo sacro nel curriculum professionale degli insegnanti italiani; questo appello portava diverse firme autorevoli: dal biblista Gianfranco Ravasi al sociologo Francesco Alberoni, dal politico Carlo Bo al teologo David Maria Turoldo, dal filosofo Massimo Cacciari al filologo Umberto Eco, e altri ancora.. Scopo dell’operazione, riportare il grande codice dell’Europa e dell’Occidente intero al centro del villaggio culturale. La Bibbia.. ci sia concessa questa affermazione decisamente di parte, è bellissima! Il punto è forse un altro, cioè mettere la scuola in grado di farlo percepire ai giovani d’oggi. Ma come? Ad esempio ribaltando la prospettiva: gli alunni sentono la Bibbia un libro troppo distante dal loro vissuto, un testo cioè che non ha nulla da dire alla loro vita di adolescenti. Perché non veicolarlo allora attraverso quei mondi che loro già abitano: dai libri che leggono o hanno letto (Le avventure di Pinocchio, Le Cronache di Narnia, Moby Dick, Il Signore degli Anelli, Il trono di spade, Good Omens, La storia infinita, e via dicendo, fino ai fumetti, manga compresi!), i film che guardano (da Matrix a Harry Potter), le opere d’arte che già incontrano a scuola e non solo (e qui la lista è praticamente inesauribile), senza tralasciare il mondo della comicità, spesso più profonda di quanto si possa immaginare (da Gioele Dix a Paolo Cevoli, passando per la celebre sit-com animata de I Simpson), perfino partendo dagli animali che tanto amano (già: cosa dice di costoro la Bibbia?) o dai gesti scaramantici che compiono, magari mentre si ritrovano a pregare quel Dio troppo spesso dimenticato (ma Lui non si dimentica di loro), supplicandolo di prendere un buon voto.. «Cercate bene le parole – diceva il professore Attilio (interpretato da Roberto Benigni) ai suoi alunni nel film La tigre e la neve – , dovete sceglierle, a volte ci vogliono otto mesi per trovare una parola, sceglietele, che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere, da Adamo ed Eva. Lo sapete Eva quanto ci ha messo prima di scegliere la foglia di fico giusta: “Come mi sta questa? Come mi sta questa? Come mi sta questa?”. Ha sfogliato tutti i fichi del paradiso terrestre. Innamoratevi! Se non vi innamorate è tutto morto..».

Recita
Cristian Messina

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