Quale codice? (La Bibbia secondo Dan Brown)



Testo della catechesi
«“Ma con tutti i libri sull’argomento, perché la teoria non è conosciuta?”. “Questi libri non possono cancellare secoli di storia, specialmente se quella storia è sostenuta dal più grande best seller di tutti i tempi”.. “Non dirmi che Harry Potter parla del Santo Graal”. “Parlavo della Bibbia”».

Questo dialogo tra l’editor Jonas Faukman e il professore Robert Langdon ci introduce alla visione del testo sacro offertoci da Il codice da Vinci, romanzo attraverso il quale nel 2003 è stato sollevato un vero e proprio polverone, e le cui prime parole sono: «Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale». Come mai tanto scalpore? La pagina 9 dell’edizione italiana così prosegue: «Tutte le descrizioni di opere d’arte e architettoniche, di documenti e rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà». Insomma, si tratta di pure invenzioni o no? All’autore piace mischiare le carte, per poi svelarle sul tavolo da gioco al momento opportuno. Daniel Gerhard Brown è tra gli autori thriller (dall’inglese to thrill, rabbrividire) più popolari: di origini inglesi, irlandesi, scozzesi e francesi, figlio di un matematico e di una musicista, uomo di scienza il padre, donna di fede la madre, è cresciuto in un clima che tentava di conciliare i due aspetti. Fin da giovane Daniel è stato messo alla prova da papà con anagrammi e cacce al tesoro curatissime, soprattutto in occasione del Natale. Chi ha letto il romanzo capirà bene da dove giunge l’ispirazione ad esempio del ventitreesimo capitolo. Dopo la laurea prova a diventare cantautore e pianista, poi però si dedica allo studio della storia dell’arte a Siviglia, dove approfondisce la conoscenza di Leonardo da Vinci e della crittografia. Altri indizi che spiegano tanto del futuro best seller. Dopo aver scritto un romanzo assieme alla moglie (pittrice e storica dell’arte), nel 1996 inizia a fare lo scrittore a tempo pieno. 

Tornando al suo romanzo, perché continuare ad occuparcene, se le polemiche da lui sollevate sono ormai sorpassate da anni? Anche se «A tutti piacciono i complotti», dato che «Il cieco vede quello che desidera vedere», per dirla con due citazioni del romanzo stesso, l’intento non è certo quello di rivalutarlo, quanto piuttosto indagare i punti sensibili che l’autore è stato capace di toccare, aspetto forse emerso troppo poco, dato che la critica, cattolica soprattutto, all’uscita dello scritto ha immediatamente eretto un vero e proprio muro apologetico, mirato a difendersi dalla numerose fandonie pronunciate. Il lascito del romanzo è tuttavia più ampio e interessante, proviamo a mostrarlo. Quali sono, come si diceva, i tasti che Brown tocca? Moltissimi. Solo per citarne alcuni: il binomio Chiesa-Vaticano, la prelatura dell’Opus Dei, il tema dell’arte, la tradizione scritturistica, l’importanza dei simboli, il mito del santo Graal, l’ignoranza del cristiano medio in merito alla Bibbia, il ruolo della donna nella vita della Chiesa, l’identità di genere di Dio, chi sia veramente Gesù, il grande dilemma del peccato originale, l’eterna questione del potere, il fenomeno della secolarizzazione e tanti altri.. Ringraziamo allora l’autore, ironia a parte, per l’occasione che ci offre. Dei suoi romanzi, tradotti in più di 56 lingue, i più famosi (che hanno come protagonista Robert Langdon) devono la loro notorietà anche alla trasposizione cinematografica avvenuta sotto la regia di Ron Howard, che ha raggiunto il suo apice con i due Oscar per A Beautiful Mind, ma celebre e amato in tutto il mondo grazie soprattutto al ruolo di Richie Cunningham nella famosa sitcom Happy Days. Se Angeli e demoni ruota attorno alla società segreta degli scienziati cristiani chiamati Illuminati, ne Il simbolo perduto il tema centrale è la massoneria, mentre Inferno indaga i segreti della Divina Commedia di Dante. In Origin, poi, tenta di risalire alle origini della vita. Ma il successo lo ottiene indubbiamente con Il codice da Vinci che, come detto, costringe ogni cristiano a fare i conti con alcuni aspetti spesso taciuti: «Cosa succederà.. – si dice nel romanzo – se verrà diffusa una convincente spiegazione scientifica del fatto che la versione della vita di Cristo raccontata dalla Chiesa è stata falsificata e che la più grande storia mai raccontata è in realtà la più grande menzogna?». Una domanda che, se solo fosse presa in seria considerazione, metterebbe in crisi chiunque. E se la Bibbia che oggi possediamo fosse stata manomessa ad arte dall’imperatore Costantino, per nascondere la vera identità – solo umana, e non divina – di Gesù?  

Dan Brown, utilizza anzitutto la tecnica dei “nomi parlanti”, tanto cara alla Rowling e alla Bibbia stessa: i suoi personaggi, infatti, portano spesso il nome di persone reali a lui care, a cominciare dal protagonista Robert Langdon, ispirato a John Langdon, l’artista che ha creato gli ambigrammi (disegni calligrafici leggibili in diversi modi, in base al punto di vista) usati per il romanzo Angeli e Demoni. Curioso, tra l’altro, che appena una lettera distingua il cognome Langdon da Langton, quello dell’arcivescovo di Canterbury cui dobbiamo l’idea di suddividere la Bibbia in capitoli, cosa che oggi ci appare più che ovvia, ma che fino al 1200 non lo era affatto. Quindi il camerlengo Carlo Ventresca, che rimanda a Carla Ventresca, un’amica cartoonista. Negli Archivi Vaticani Langdon ricorda poi la coppia Dick e Connie, due suoi amici, che portano il nome dei genitori di Brown. E Jonas Faukman, l’editor di Robert Langdon, anagramma dello stesso editor reale di Dan Brown, Jason Kaufman. L’autore è insomma un giocherellone, confonde i suoi lettori attraverso la fantasia, che usa a piene mani. 

Per quanto riguarda i contenuti da lui avanzati, anche se ampiamente confutabili (basta navigare un po’ su Internet) lasciamo che a rispondere sia lo storico Franco Cardini, che, in un articolo apparso su Famiglia Cristiana nel 2004, quindi “a caldo”, così si esprimeva: «La cosa più interessante del libro, che ha avuto e sta avendo un successo sconvolgente in un Paese come il nostro, dove la gente legge poco e male, riguarda a mio avviso.. Il suo autore, prima di tutto: uno studioso, un docente di buona competenza, che un bel giorno – come capita a molti di noi insegnanti, nell’invecchiare – deve essersi stufato del suo stipendio mediocre, della sua scarsa notorietà, di vedersi passar avanti nella corsa al successo tanti più mediocri di lui. E, allora, avanti con la caccia alla fortuna attraverso lo strumento del thriller esoterico. Gli americani ci cascano. E anche gli europei.. ma lo scoop – prosegue lo storico – sta tutto nell’oggetto di quella che alla fine si rivela un’affannosa caccia a qualcosa.. al Santo Graal, naturalmente! (dopodiché).. un’altra avvincente banalità. Che il Graal non è naturalmente il calice dell’ultima Cena, bensì.. Maria Maddalena, che si sarebbe congiunta con Gesù – il quale non sarebbe infatti morto sulla croce – e ne avrebbe avuto dei figli dalla progenie dei quali alcuni secoli più tardi sarebbero sorti i re franchi della prima dinastia, quella merovingia. Alla diletta Maria il Salvatore, che naturalmente non è Dio ma un saggio profeta, avrebbe lasciato la cura della sua Chiesa: un’istituzione, quindi, “al femminile”, che la volontà dell’imperatore Costantino avrebbe tradito, “maschilizzandola” ed eliminando dalle Scritture le tracce della verità.. (ma) un misterioso sodalizio di giusti.. si passava iniziaticamente il segreto della verità.. esso s’incarnò prima nell’Ordine templare, quindi nella Massoneria.. L’ultima e definitiva forma.. sarebbe quella di un’organizzazione, il “Priorato di Sion”.. (in conflitto con) la punta di diamante della crudele e repressiva Chiesa cattolica, che naturalmente sarebbe l’Opus Dei..». 

Torniamo per un attimo sui punti toccati da Cardini, partendo dall’Opus Dei, una prelatura fondata nel 1928 da san Josemaría Escrivá – presbitero spagnolo canonizzato da Giovanni Paolo II – la cui missione è quella di «diffondere il messaggio che il lavoro e le circostanze ordinarie sono occasione di incontro con Dio e di servizio nei confronti degli altri, per il miglioramento della società». Ma è sul Graal l’occhio di bue del libro: «Per (essere capito pienamente) – afferma nel romanzo lo storico delle religioni Leigh Teabing – dobbiamo prima capire la Bibbia..». Graal che Leonardo da Vinci avrebbe dipinto nella sua celebre Ultima Cena  di Santa Maria delle Grazie a Milano: «Questo affresco – prosegue Teabing – è in realtà la chiave del mistero del Santo Graal. In esso, Leonardo dice tutto apertamente.. Non che cosa è.. Ma piuttosto chi è.. una persona». Il discepolo glabro alla sua destra non sarebbe Giovanni ma una donna! Prima di tutto, cos’è davvero il santo Graal, «(la cui storia) è dappertutto, ma è nascosta.. – sempre stando al romanzo – (nelle) arti: L’Ultima Cena.. (altre) opere di Leonardo, Botticelli, Poussin, Bernini, Mozart e Victor Hugo.. re Artù e la Bella Addormentata.. (perfino) Walt Disney, per tutta la vita, si era dedicato al compito di tramandare la storia del Graal..»?. In questo passaggio è ben visibile come Dan Brown sia abilissimo nel prendere una parte del vero – in questo caso il presunto utilizzo dei messaggi subliminali nelle sue opere, da parte di Walt Disney – e veicolarla, agli occhi dei suoi lettori, come somma verità. Dal greco krater, “cratere”, “grande vaso”, il Graal nella tradizione medievale è, secondo il Vangelo apocrifo di Nicodemo, il recipiente che Gesù utilizzò durante l’Ultima Cena. Per alcune tradizioni sarebbe addirittura la pietra staccatasi dalla corona di Lucifero durante la sua caduta dal cielo, dunque l’estrema reliquia (?!) del paradiso perduto, per dirla con John Milton. Brown però afferma che il Graal sia una persona, la Maddalena: nulla di nuovo, risuscita infatti quel popolare mito su Gesù che l’avrebbe sposata. Il punto è un altro: inserisce quel tanto di storia capace di far apparire la sua subdola teoria come se fosse basata su dati certi, il suo romanzo deve infatti lo scalpore suscitato al fatto che è quasi impossibile, per il lettore (e forse il cristiano) medio, capire esattamente dove finisce la storia e dove inizia la quasi storia. Per dimostrare il suo complotto Brown chiama in causa i cosiddetti vangeli gnostici. Di cosa si tratta? Per rispondere occorre partire da molto lontano, esattamente dalle origini del cristianesimo, nel quale la scomparsa dei testimoni oculari dell’evento Gesù di Nazareth ha fatto sì che la sua memoria sia stata elaborata in forme differenti, ma sempre nell’attesa imminente della sua seconda venuta. Quando tale tensione escatologica si allentò, poiché la seconda venuta tardava a venire, la storia fu assunta come il “luogo” in cui trasformare il mondo, operazione che sarebbe stata completata dalla definitiva venuta di Gesù nella gloria. La riorganizzazione del cristianesimo nascente avvenne in primis con la creazione di strutture di governo stabili, i vescovi, i presbiteri e i diaconi, che lo portarono ad una progressiva istituzionalizzazione. In quest’orizzonte, non solo le pratiche cultuali andarono strutturandosi (come dimostra la celebre Didaché, documento scritto tra il I e il II secolo), ma gli stessi modi di conservare e trasmettere la memoria cambiarono, per garantirne l’attendibilità. Così per un po’ di tempo la tradizione orale e quella scritta andarono di pari passo, dopodiché lo scritto prese il sopravvento e, a cominciare da Marco (che di fatto inventò questa forma letteraria nuova), si arrivò a «Marco, Matteo, Luca e Giovanni (che) – sottolinea lo storico del cristianesimo Claudio Gianotto – sono i primi scritti cui venga riconosciuta diffusamente una particolare autorevolezza e dignità, probabilmente perché propongono in modo più diretto ed esplicito quello che.. Gesù, aveva detto e fatto e, di conseguenza, vengono riconosciuti come più importanti di altri». Al “vangelo tetramorfo”, espressione coniata dal vescovo Ireneo di Lione alla fine del II secolo, o quadriforme, venne dunque riconosciuto un prestigio che altri scritti non ebbero. Ma quelli riguardanti Gesù erano tanti, poi classificati come apocrifi e gnostici. Se apocrifo (dal greco “segreto, velato”) è una definizione che inizialmente si riferiva più alla modalità di trasmissione che al contenuto, gnostico (relativo cioè alla gnosi, la “conoscenza”) rimanda a quel movimento che, a partire dal II secolo d.C., prediligeva un cristianesimo elitario: una parte degli umani possedeva, secondo loro, una particella divina, e scopo della vita era fuggire la prigione del corpo per reintegrarsi in quel mondo divino del quale erano originari. Chiave per ottenere ciò era appunto la gnosi, quella conoscenza che si otteneva tramite una sorta di illuminazione. Se dunque, da un lato gli gnostici pensavano che la trasmissione del sapere dovesse essere segreta e riguardare i soli iniziati, dall’altro la grande Chiesa insisteva sul carattere pubblico e verificabile di tale trasmissione, caratterizzato dalla catena garantita dalla successione dei nuovi apostoli, i vescovi. Ma perché vennero condannati anche gli scritti apocrifi? La loro non fu una condanna, nel senso che l’esclusione non rappresentava un rifiuto, ne è testimonianza l’ampio utilizzo che il cristianesimo ne ha sempre fatto, sia da parte di diversi autori (Giustino, Origene e altri Padri della Chiesa) sia nell’arte. 

Tra gli scritti apocrifi più celebri abbiamo: il Vangelo secondo Tommaso (IV secolo), quello degli ebioniti (da ebionim, “poveri”, setta giudeocristiana), dei nazarei (II secolo), quello secondo gli ebrei, quindi il Vangelo di Pietro (dell’VIII-IX secolo e unico a descrivere esplicitamente la risurrezione!), il Vangelo segreto di Marco, fino a quelli preoccupati di descrivere l’infanzia e la giovinezza di Gesù, a partire dal Protovangelo di Giacomo (forse del III secolo), il cui titolo originario era Natività di Maria. Rivelazione di Giacomo: nelle due parti di cui è composto, infatti, se la prima (da cui conosciamo ad esempio i nomi di Gioacchino ed Anna) è concentrata sulla Madonna e la sua verginità, la seconda si focalizza invece su Gesù, nato in una grotta, e non nella mangiatoia di cui parla Luca. Scopo di tale scritto era quello di confutare (ad esempio contro gli Atti di Pilato o il Talmud) la diceria secondo la quale Gesù era un figlio illegittimo, frutto cioè di una relazione adultera di Maria. Nel Protovangelo di Giacomo, tra l’altro, il Figlio di Dio viene presentato come un vero monello, irascibile e dispettoso! Ma perché? Perché mostrarne l’umanità equivaleva a dimostrare che era “vero uomo”. 

Discorso a parte meritano invece i vangeli gnostici, più difficili da classificare, a partire dal Vangelo di Maria che, databile nel II secolo, ha come protagonista la Maddalena, e mostra bene le tensioni che dovettero manifestarsi inizialmente, tra i seguaci di Gesù, circa il ruolo delle donne nell’evangelizzazione. Scavalcando i Dodici, ovvero la grande Chiesa, questo come altri scritti gnostici indicavano altri personaggi importanti, in questo caso una donna, come depositari di un sapere segreto. Altro scritto gnostico è poi il Vangelo di Filippo, citato appunto da Dan Brown, in cui Gesù bacia la Maddalena, gesto che gli gnostici utilizzavano per trasmettersi reciprocamente l’essenza divina. Quindi il Vangelo di Giuda, interessante testimonianza del docetismo, dal greco “apparire”, dottrina secondo la quale a morire non sarebbe stato veramente Gesù, ma solo il suo involucro materiale, apparente, appunto. Poi via via il Vangelo della perfezione, quello di Eva, e altri ancora..               

Con la chiamata in causa della Maddalena, però, Brown smuove le acque più in profondità, suscitando due domande tra loro incrociate, anzitutto: sicuri che Dio sia maschio? Quindi, come conseguenza: qual è il ruolo della donna nelle religioni e, nello specifico, nella vita della Chiesa? Procediamo per gradi. Adriana Valerio, docente di Storia del cristianesimo, nel suo libro Eretiche, così si esprime: «Dio unico e onnipotente, dominatore sugli esseri umani che devono a Lui sottomissione e timore, è lo specchio di strutture patriarcali e piramidali di alcune società arcaiche.. Ma il testo sacro, proprio nella certezza che Dio è al disopra della specificità sessuale e che può essere rappresentato con l’uso di metafore elaborate da esperienze di entrambi i generi, ha messo in campo anche alcune immagini femminili utilizzate soprattutto nel filone profetico. La misericordia.. la cura materna.. la forza vitale.. la Ruah.. la Sapienza creatrice, che governa l’universo e tutto rinnova, sono presenti nella tradizione ebraica, riprese e vivificate da Gesù attraverso la narrazione di rielaborati simbolismi femminili.. Dio è la Sapienza preesistente la creazione.. è la gallina che protegge.. la donna di casa che cerca ciò che è perduto.. il Padre-materno – ben sottolineato da Rembrandt nel suo più celebre dipinto! – che accoglie incondizionatamente il figlio smarrito..».  E prosegue: «Il processo di istituzionalizzazione delle comunità, l’accettazione delle strutture patriarcali e la riprese degli elementi cultuali confermarono, dunque, l’emarginazione delle donne. L’interpretazione di un Cristo sacerdote e della sua morte espiatoria fece del cristianesimo una religione con il suo tempio, il suo sacerdozio e il suo sacrificio, recuperando tutti quegli aspetti sacrali messi in crisi dal laico Gesù – attuando in sintesi quel processo che il vescovo Erio Castellucci definisce di sacerdotalizzazione della Chiesa – .. Il primato episcopale prevalse (in tal modo) sul pluralismo carismatico dei gruppi protocristiani.. (e) l’imperatore Costantino.. nella religione cristiana vide un potente fattore di ordine e stabilità..». La “tesi” di Dan Brown si insinua esattamente qui! «L’immagine di Dio – poi – che usciva dal credo niceno-costantinopolitano nel 381 era lontana dal linguaggio della narrazione biblica ed era, piuttosto, la rappresentazione filosofica di un trascendente legato al potere. La teologia che ne conseguì, rappresentando Dio come il sovrano assoluto, intollerante ed esclusivo, eliminò tutti gli elementi di pluralità e varietà esistenti nel sistema politeista e tutti quegli aspetti di femminilità presenti, pur se con molte ambiguità, nelle culture religiose, pagane e giudeo-cristiane.. In tale sistema, le donne, considerate lontane dalla rappresentazione di Dio.. trovavano collocazione unicamente all’interno di un’organizzazione sociale ed ecclesiale gerarchicamente stabilita..». 

In sintesi, che in questi duemila anni il Cristianesimo sia stato anche caratterizzato da misoginia è sottoscrivibile, ma: «La Bibbia – afferma il teologo Giuseppe Lorizio – ci autorizza a pensare Dio anche nel suo volto “materno”.. pensare Dio come sessuato è (infatti) un antropomorfismo, che potrebbe risultare fuorviante, se inteso in termini esclusivi. Dio è oltre le differenze sessuali, perché è fuori del tempo e delle contingenze mondane. Quando però il Figlio si incarna, entra in questa differenza e non può che assumere una delle modalità in cui l’umano si esprime. Se si fosse incarnato al femminile, si sarebbe potuta avanzare la stessa obiezione dal punto di vista maschile. E allora, siccome la storia non si fa con i se e i ma, stiamo dentro l’evento, non alimentiamo inutili fantasie ispirate a machismo o femminismo, e lasciamoci guidare dalla tenerezza materna di Dio, incarnata in Cristo Gesù e vissuta nella madre Chiesa». Carl Gustav Jung aggiunge poi ne L’uomo e i suoi simboli, che «(i) due principi archetipici (quello del Padre e della Madre) stanno alla base degli opposti sistemi dell’Oriente e dell’Occidente».  

Quanto ai simboli, sono un altro importantissimo tema affrontato da Dan Brown: «Il culto a Cristo – si dice nel romanzo – proviene da una errata interpretazione di simbolismi religiosi e metafore? ..tutte le religioni del mondo – prosegue – sono basate su falsificazioni.. Ogni religione descrive Dio attraverso metafore, allegorie e deformazioni della verità.. I problemi sorgono quando (le persone) cominciano a credere alla lettera alle nostre metafore.. I cattolici praticanti che conosco sono convinti che Cristo camminasse letteralmente sulle acque, trasformasse letteralmente l’acqua in vino e sia nato letteralmente da un parto verginale.. L’allegoria religiosa è divenuta una parte del tessuto della realtà». Uhm.. Ma se Gesù è Dio, chiediamoci, non si vede perché facciano problema i miracoli da lui compiuti?! Il punto è un altro: è la sua divinità ad essere messa in discussione dall’autore. Ma torniamo ai simboli del romanzo, a partire dal suo titolo e dalla copertina, la quale mostra Monna Lisa, la più famosa e visitata delle 65.300 opere del Louvre. La sua notorietà è legata anche ai diversi “segreti” che celerebbe: dipinta tra il 1503-1504, ritrae mezza figura di donna a ¾, verso sinistra. Primo enigma irrisolto è quello del sorriso, cui si unisce uno sguardo capace di seguire lo spettatore nei suoi spostamenti. I raggi X sembra abbiano dimostrato l’esistenza di tre diverse versioni, nascoste sotto quella attuale: Leonardo, insoddisfatto, ritoccò infatti l’opera più volte, fino al 1519, anno della sua morte. Raffigurante Lisa Gherardini, Monna Lisa (abbreviazione di Madonna, dal latino mea domina, “mia signora”), era moglie del mecenate del quadro, Francesco del Giocondo, ragion per cui fu chiamata anche Gioconda. Ma le supposizioni nel tempo si sono sprecate: “no, è la madre di Leonardo!”; nemmeno, “è Leonardo stesso, nella sua versione femminile!”. Ed è qui che Brown ha cominciato a sbizzarrirsi. Ma come c’è arrivato questo quadro a Parigi? Fu acquistato dal re Francesco I e, a portarlo, fu lo stesso Leonardo, nel 1516. In seguito a vari spostamenti, dopo la Rivoluzione francese – fatta eccezione per una breve pausa, in cui Napoleone Bonaparte lo tenne esposto direttamente nella sua camera da letto – fu in seguito custodito al Louvre, la cui entrata principale è la discussa Pyramide, alta 21 metri e circondata da 7 fontane triangolari. Val la pena ricordare che, inizialmente, la stessa Torre Eiffel, costruita in occasione dell’Expo del 1889, fu ampiamente criticata.. Quanto alla Pyramide, sorta di legame simbolico tra vecchio (piramide) e nuovo (la sua trasparenza), nel romanzo si dice sia composta da 666 lastre di vetro (ovviamente per stuzzicare circa il presunto numero di Satana, desunto da Ap 13,18), in realtà si tratta dell’ennesima panzana di Brown, dato che sono 673. L’autore enfatizza anzitutto la simbologia numerica, partendo dalla cosiddetta “proporzione divina”, il numero ϕ (phi): 1,618. È considerato un numero irrazionale, la cui fama è dovuta appunto ad una proporzione, chiamata “divina” da Luca Pacioli (frate francescano di Sansepolcro considerato l’inventore della Ragioneria) e resa celebre dal film Paperino nel mondo della Matemagica, del 1959, il quale sottolinea come phi compaia  nel Partenone, nei girasoli, in alcune conchiglie e negli alveari. Studiata da Pitagora ed Euclide, sebbene già conosciuta da Babilonesi ed Egizi, verrà più tardi ripresa nella Grande Moschea di Kairouan e nell’opera dell’architetto Le Corbusier. Ma anche e soprattutto nell’Uomo Vitruviano e nella Gioconda di Leonardo, appunto, e nell’Ultima Cena di Dalì. Non solo: ha ispirato diversi altri pittori, cubisti soprattutto, ma anche la musica, da Bartók a Débussy passando per i Genesis di Phil Collins. Ma a portare in auge phi fu in particolare Leonardo Pisano, detto Fibonacci, colui che nel XIII secolo introdusse in Europa la notazione posizionale, che sostituì i numeri romani e cambiò per sempre la vita dei commercianti e degli algebristi. La celebrità gli è dovuta tuttavia dalla sua successione, citata appunto da Dan Brown: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21.. in cui ogni numero è la somma dei due precedenti, successione che si trova – fatto davvero incredibile – in un insieme stupefacente di ambiti! Altro simbolo evidenziato da Brown è la stella di Davide, che oggi rimanda immediatamente allo Stato di Israele, ma anticamente era un simbolo molto diffuso: formata da due triangoli sovrapposti, uno con punta verso il basso, l’altro il suo contrario, è tradizionalmente stata interpretata come l’armonia tra maschile e femminile. Sembra che il re Salomone – ma la cosa è almeno discutibile – ne abbia fatto uso (?!) fino alla morte, per scacciare i demoni e invocare gli angeli (?!).. per tale ragione è anche chiamata “scudo di Davide” o “sigillo di Salomone”. Si noti bene: se in epoca precristiana il filosofo Senocrate (339-314 a.C.) distingueva tra triangolo divino (equilatero), demonico (isoscele) e umano (scaleno, cioè imperfetto), in epoca protocristiana fu utilizzato dai Manichei – religione iraniana dualista, che concepiva cioè la vita come lotta paritaria tra bene e male – che lo associarono alla Trinità, ragion per cui sant’Agostino ne rifiutò la funzione, che tuttavia si affermò successivamente, non è infatti raro trovarlo ancora in alcune chiese barocche con all’interno un occhio. Simbolo quest’ultimo che, adottato dalla massoneria come “occhio onniveggente” (che a noi rimanda a un ruolo indagante e punitore), più interessante è pensarlo come lo sguardo del Padre che, innamorato dei suo figli, veglia sempre su di loro, ovunque si trovino e qualsiasi cosa facciano.     

La simbologia numerica del romanzo sfocia quindi in quella geometrica, con l’Uomo vitruviano di Leonardo, iscritto nel quadrato/umano e nel cerchio/divino, cioè là dove umano e divino si toccano. Il cerchio, infatti, non ha né inizio né fine, per cui simboleggia il divino e il cielo, mentre il quadrato, figura geometrica ad esso opposta, rimanda all’umano e alla Terra: il proverbiale compito di “far quadrare il cerchio”, di trasformare cioè il cerchio in un quadrato della medesima superficie, non è altro che la sintesi degli sforzi umani di autodivinizzarsi. E questo perché ciò compete unicamente a Dio, che partecipa all’uomo la sua “essenza”, come dimostra l’iconografia dell’aureola. La parte finale del libro chiama poi in causa la cappella di Rosslyn, una chiesa scozzese situata nei pressi di Edimburgo. È chiamata anche “di san Matteo” perché, costruita tra il 1446 e il 1450, sia il giorno di inizio dei lavori sia quello in cui fu terminata, corrisponde alla ricorrenza liturgica dell’Evangelista: 21 settembre. Per la sua ricchezza di particolari è definita dal romanzo “il paradiso della simbologia”. Una leggenda vuole tra l’altro sia stata edificata imitando il biblico Tempio di Salomone, la cui edificazione terminò nel 960 a.C., per poi essere distrutto 410 anni dopo e riedificato al ritorno dalla cattività babilonese. 

«La storia del simbolismo – afferma la psicologa tedesca Aniela Jaffé (1903-1991),  collaboratrice di Jung – dimostra che qualsiasi cosa può assumere un significato simbolico: così gli oggetti naturali (come pietre, piante, animali, esseri umani, montagne e vallate, il sole e la luna, il vento, l’acqua e il fuoco), come le cose che sono opera dell’uomo (case, barche, veicoli) e perfino le forme astratte (i numeri, le figure geometriche come il triangolo, il quadrato e il cerchio). In effetti, l’intero cosmo è un simbolo potenziale». Qual è dunque il ruolo dei simboli? Carl Gustav Jung li divide anzitutto in “naturali” e “culturali”: i primi originano dai contenuti inconsci della psiche, i secondi, invece, sono quelli impiegati come “verità eterne”: «essi – afferma – hanno subìto molte trasformazioni e percorso un lungo processo di sviluppo più o meno consapevole, diventando così immagini collettive accettate dalle società civilizzate.. Essi – prosegue – sono componenti essenziali della nostra struttura mentale e forze vitali nella costruzione della società umana: perciò non possono venire eliminati senza produrre gravi perdite». «Tutte le religioni del mondo – fa dire Dan Brown al protagonista del romanzo – sono basate su falsificazioni.. Ogni religione descrive Dio attraverso metafore, allegorie e deformazioni della verità, dagli antichi egizi fino agli attuali insegnamenti del catechismo. Le metafore sono un modo per aiutare la nostra mente a spiegare l’inspiegabile. I problemi sorgono quando cominciamo a credere alla lettera alle nostre metafore»; per poi aggiungere: «L’allegoria religiosa è divenuta una parte del tessuto della realtà. E vivere in quella realtà aiuta milioni di persone ad affrontare la vita e ad essere migliori». La sferzata di Brown al sistema religioso ci spinge allora a fare chiarezza: cos’è una metafora? Cosa un’allegoria? Cosa, ancora, un simbolo? È importante rispondere a tali quesiti, ne va della nostra fede. Se l’etimologia delle due figure retoriche iniziali ci dice che la prima traduce “portare oltre, trasferimento” e la seconda “dico altro”, il simbolo (in greco “gettare insieme”) non riguarda solo segni che rimandano ad altro – ad esempio la stella di Davide o la croce – , ma è talvolta l’unico strumento in grado di dire l’indicibile. Ma attenzione, il simbolo non è affare unicamente della religione, bensì dell’essere umano in quanto tale, non a caso definito dal filosofo tedesco Ernst Cassirer, “animale simbolico”: nel suo Saggio sull’uomo, del 1944, sostiene infatti che il rapporto tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda sia mediato, ed è in questo che consiste la principale differenza tra l’uomo e l’animale: «inserito fra il sistema ricettivo – sottolinea – e quello reattivo (ritrovabili in tutte le specie animali), nell’uomo vi è un terzo sistema che si può chiamare sistema simbolico, l’apparizione del quale trasforma tutta la sua realtà esistenziale». Dice a proposito l’esperto di simboli austriaco Hans Biedermann: «Certo anche il linguaggio dei computer non può fare a meno dei simboli; ma il carattere immaginifico dei sistemi di pensiero e delle strutture intuitive del passato cede decisamente il passo a un ordine artificiale, che non è più immediato, bensì deve essere appreso». Il tedesco Manfred Lurker (1928-1990) precisa inoltre che «Il simbolo nasconde e rivela allo stesso tempo». Un altro tedesco, il teologo evangelico Gerhard Wehr (1931-2015), affermava già nel 1972: «I “persuasori occulti” della odierna pubblicità che sanno dominare il potere delle immagini, limitano ancora di più la libertà delle masse inconsapevoli e “guidate dall’esterno”, quando si servono di simboli per le loro manipolazioni e per fabbricare ideali».. chissà se si riferiva a quell’immagine pubblicitaria che, dall’alto, ritraeva centinaia di auto Volkswagen (in tedesco “auto del popolo”) mentre formavano il simbolo del celebre marchio di Wolfsburg?     

A Brown, lo abbiamo già visto, piace poi giocare con gli anagrammi, ad esempio con la frase che aggiunge alla sequenza di Fibonacci: «O, draconian devil! Oh, lame saint!», che nasconde «Leonardo da Vinci! The Mona Lisa!». Oppure con l’inglese «So dark the con of man» (“così oscura la truffa dell’uomo), anagramma di Madonna of the rocks, altra celebre opera di Leonardo.

L’autore non teme poi di addentrarsi in una questione ecclesiale (e non solo) delicatissima, che il romanzo evidenzia come segue: «il precedente stemperamento delle leggi della Chiesa (fuori dai denti, il presunto insuccesso del Concilio Vaticano II) aveva lasciato un’eredità devastante: non solo il numero dei praticanti era sceso ai minimi storici, ma le donazioni si erano prosciugate e non c’era un numero di sacerdoti sufficiente a mantenere aperti tutti i luoghi di culto. “Alla gente occorrono struttura e direzione da parte della Chiesa” aveva insistito Aringarosa “non vezzeggiamenti e indulgenza!”». Per poi rincarare la dose: «“Il Vaticano è impazzito” – è sempre il vescovo dell’Opus Dei a parlare – Come un genitore svogliato che trovava più facile cedere alle richieste di un bambino viziato anziché opporsi con fermezza e insegnargli i valori della vita, la Chiesa continuava ad addolcirsi e a cambiare se stessa per adeguarsi a una cultura impazzita». Oltre al ruolo della Chiesa, in ballo c’è l’eterno scontro tra conservatori e progressisti, ovvero la relazione che ognuno, anche in base al personale vissuto, ha con il tempo, cioè con la vita, da noi grossolanamente divisa in passato-presente-futuro. Ma in Dio, è bene non dimenticarlo, tutto è presente. Dan Brown quindi aggiunge: «la fede non aveva bisogno di conferme da parte della scienza». E qui ci permettiamo di dissentire, eccome! Ma torniamo sulla trama del libro: «Aringarosa aveva risposto con voce tagliente: “Si chiede veramente perché i cattolici lascino la Chiesa? Si guardi attorno, cardinale. La gente ha perso il rispetto. Il rigore della fede è sparito. La dottrina è diventata un self-service. Astinenza, confessione, comunione, battesimo, messa, quello che lei vuole, scelgono la combinazione preferita e ignorano il resto. Che razza di guida spirituale offre adesso la Chiesa?”. “Le leggi del terzo secolo” aveva commentato l’altro cardinale “non si possono applicare ai moderni seguaci di Cristo. Quelle regole non sono più funzionali, nella società moderna”». Le parole dell’autore sono dure, ma su questo dibattito la Chiesa discute tuttora, a partire dai piani alti. Questione complessa, certo, capace tra l’altro di nascondere un altro problema, vecchio come il mondo, legandosi al dilemma che sorge ogni qual volta muore il fondatore di una religione, movimento, ordine religioso, e via dicendo: e adesso “chi comanda”? «La Chiesa.. – prosegue Teabing, lo storico del romanzo – non sarebbe mai sopravvissuta, se si fosse saputo che Gesù Cristo aveva lasciato discendenti..», che poi l’autore ci dice essere una bimba, Sarah, portata in Francia dalla Maddalena con l’aiuto di Giuseppe d’Arimatea: fratello Dan, non c’è che dire, a fantasia sei il numero uno!         

Altro tema toccato, non certo l’ultimo, è infine il più intricato della storia: il peccato originale. Ma lasciamo dirlo ancora una volta al romanzo: «Le lettere non erano più disposte a caso. Ora formavano una parola di cinque lettere: apple. Mela. “L’orbe che Eva assaggiò” disse Langdon, in tono gelido “così destando la santa collera di Dio. Il peccato originale. Il simbolo del crollo del femmineo sacro”.. La “sfera” che meritava di stare sulla tomba di Newton era la mela rossa che gli era caduta sulla testa e gli aveva ispirato il lavoro di tutta la vita (?!)». La cosa ci rimanda ad un ulteriore simbolo, il celebre logo dell’azienda Apple. Le ipotesi sulla sua genesi sono infatti diverse: dalla dieta vegetariana che Steve Jobs seguiva, durante la nascita dell’azienda stessa, alla sua semplice passione per le mele, passando per quella che appariva sui dischi dei Beatles dal 1968, fino all’illuminazione che ebbe Newton – appunto – col celebre episodio della caduta del frutto (per alcuni leggendario). Di fatto l’incaricato del futuro famosissimo logo fu Ronald Wayne, che inizialmente era troppo dettagliato e, per questo, difficile da ricordare, ragion per cui in seguito venne semplificato. Ma perché è morsicata? Anche in tal caso si sono susseguite le più svariate risposte: dalla stessa parola “morso” – in inglese bite, evidente richiamo al linguaggio informatico – all’omaggio ad Alan Turing, padre dell’informatica morto suicida, avvelenato dal cianuro che lui stesso aveva iniettato nel frutto, fino all’ispirazione data ai fondatori Jobs e Wozniak: una mela morsicata appoggiata su un tavolo! L’ipotesi più simbolica e suggestiva resta tuttavia la “fame di conoscenza”, la stessa che ebbe Eva. Ma Genesi parla semplicemente di “frutto”.. fu infatti la tradizione successiva, a causa di un’identità terminologica, poiché in latino la parola che indica il male e l’albero melo è la medesima: mālus o mālum. La mela ha però diversi significati simbolici: la mitologia antica ci dice che suo creatore fu Dioniso, il dio dell’ebbrezza, che donò questo frutto alla dea dell’amore Afrodite (nata dalla schiuma del mare, da cui il nome aphrós, “schiuma”); nella religione celtica era invece simbolo del sapere tramandato; alcune immagini cristiane mostrano poi Gesù bambino nell’atto di afferrare una mela, attirando su di sé, in tal modo, i peccati del mondo. Non è casuale che, con ogni probabilità, le palline dell’albero di Natale nascano da quello genesiaco, rimandando ai frutti del peccato..    

Caro Dan Brown, Il codice da Vinci è un thriller davvero av-vincente, ma molto discusso e che ha fatto discutere: sorridere alcuni, arrabbiare altri. La critica ti ha insomma giudicato in vario modo, il tuo stesso nome, di origine ebraica, significa tra l’altro “Dio ha giudicato”. Come ti giudicherà Lui, è affar suo, noi però ti abbiamo giudicato, certo abbastanza polemico, ma capace di farci riflettere: grazie!   

 


 

Recita
Cristian Messina

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