Santa Teresa di Calcutta (5 Settembre)
5 settembre 1997, ad 87 anni torna alla casa del Padre. 19 ottobre 2003, viene beatificata dal futuro san Giovanni Paolo II, proprio il giorno in cui ricorreva il suo 25° anno di pontificato; l’evento è capitale, tuttavia, perché per la prima volta nella storia piazza san Pietro è teatro di un grande abbraccio interreligioso: Cristiani, Ebrei, Musulmani, Induisti e Buddhisti sono tutti insieme riuniti a celebrare quest’altra “grande anima”! 4 settembre 2016, nella stessa piazza è papa Francesco a proclamarla Santa.
Di chi stiamo parlando?
Di Anjëze Gonxhe, futura madre Teresa di Calcutta, nata a Skopje (città passata in diverse mani, oggi capitale della Macedonia) il 27 agosto 1910, terza ed ultima figlia dei Bojaxhiu. Il fratello Lazër la ricorda come una ragazza un po’ timida e introversa, ma un vero talento nello studio e sempre pronta ad aiutare gli altri; coltivava inoltre molti interessi: cantava come soprano nel coro parrocchiale, recitava, ballava, suonava il mandolino e scriveva poesie, ma soprattutto era una grande organizzatrice. Se il primo nome, Agnese, è noto ai più, Gonxhe – in albanese “bocciolo” – lo è meno, mentre il cognome Bojaxhiu ha tre possibili traduzioni: “imbianchino” (da boja, “colore”); oppure rimando ai Bojaxhiu, storica famiglia di guerrieri, per cui, in questa seconda accezione il significato sarebbe legato al sangue versato per la fede e la patria; infine si sottolineerebbe il fatto che quella di Madre Teresa era una famiglia di mercanti, che vendevano appunto vernici e colori. In ogni caso i Bojaxhiu, presso i quali trovavano spesso ristoro suore, preti e vescovi, erano originari dell’antica città kosovara di Prizren.
Dei suoi genitori cosa sappiamo?
Il padre, Kolë Bojaxhiu, era un commerciante molto noto, oltre che patriota (sosteneva la lotta per la liberazione dai Turchi), musicista, politico (era l’unico consigliere comunale cattolico di Skopje, singolarità che gli costò la vita..) e poliglotta, parlava infatti croato, serbo, italiano, turco e francese. La sua caratteristica più bella era tuttavia l’occhio di riguardo che aveva per i poveri. Il figlio Lazër disse di lui: «donava a tutti cibo e denaro, senza farlo notare né vantarsi.. Diceva sempre: “Dovete essere generosi con tutti, come Dio è stato generoso cono noi: ci ha dato tanto, tutto; perciò fate del bene a tutti”». Gonxh rammenta invece come il papà le ricordasse ogni volta di non accettare un boccone senza condividerlo con gli altri.. adesso sappiamo da chi ha preso! Nell’autunno del 1918, proprio per la sua appartenenza cattolica, morì avvelenato. La madre Drane, nata in Kosovo da una famiglia nobile e benestante, era molto devota alla Madonna di Letnica, il santuario diocesano di Skopje-Prizren.
Quando Gonxhe iniziò a comprendere ciò che il Signore le chiedeva?
Al fratello confessò che il suo desiderio di appartenere completamente a Dio lo ebbe già a 12 anni, ma la decisione definitiva la prese il 14 agosto 1928 nel già citato santuario, davanti a Maria, che sarà presente in diversi momenti chiave della sua vita. I gesuiti di Skopje in quegli anni aprirono una missione a Calcutta, città dalla quale giungevano notizie drammatiche, che Gonxhe ascoltò quando aveva 15 anni, iniziando a farci un pensierino, che col tempo le dava sempre più serenità: ottenne così il permesso dalla mamma di entrare tra le “suore di Loreto”, che avevano una missione proprio in India. Così, dopo aver trascorso circa un mese e mezzo a Dublino per imparare l’inglese, giunse a Calcutta il 6 gennaio 1929. In quell’ordine Gonxhe prese il nome religioso di Teresa. Durante il noviziato svolse il ruolo di infermiera, per diventare insegnante (poi anche direttrice) alla scuola St. Mary, frequentata da giovani benestanti appartenenti alle caste più ricche della società indiana. Ricevette i voti perpetui il 24 maggio 1937, festa di Maria Ausiliatrice. Poco dopo scrisse una lettera alla mamma: «la tua piccola Gonxhe è felice», sentendosi rispondere: «non dimenticare che sei andata laggiù per i poveri..». Tale risposta la rese inquieta, fino a che questo disagio divenne un imperativo divino.
In che modo?
10 luglio 1946, mentre sta viaggiando sul treno diretto a Darjeeling per guarire dalla tubercolosi – di cui nel frattempo si era ammalata – l’imperativo prende forma: «devi uscire per servire i poveri!». Il treno, che alla Rowling ispirò la celebre saga di Harry Potter, fu per lei foriero di ben altro. Un treno come tanti in India: vecchie carrozze in cui persone, soprattutto bambini, erano stipate come sardine in ogni dove assieme alle loro scartoffie, oltre che appollaiate sul tetto. Aveva 36 anni, e il Signore le chiedeva di uscire dalle “suore di Loreto” per fondare, forse, un ordine sconosciuto; niente di nuovo: le chiedeva, come quattromila anni prima ad Abramo, di lasciare il certo per l’incerto. Quella che lei stessa chiamerà “seconda vocazione” avrà tuttavia bisogno di un po’ di tempo per concretizzarsi, dato che Roma era contraria alla fondazione di nuovi ordini religiosi, già molto numerosi. Si rivolse inizialmente al vescovo Perrier il quale, dopo un secco rifiuto, valutò più opportuno inoltrare la richiesta all’attenzione del papa: nel giugno del 1948 Pio XII diede l’ok! Teresa lasciava l’abito nero per vestire il sari bianco, quello delle donne indiane povere e, dopo una sommaria preparazione medica, cominciò tutta sola a dedicarsi ai bambini.
Per quanto tempo svolse in solitudine la sua opera?
Le prime vocazioni non tardarono a venire, partendo da una 19enne sue ex alunna (come le altre che inizialmente la seguiranno): «Voglio lavorare con te per i poveri – le disse – Ma.. per sempre, come te». Roma approvò quindi il nuovo ordine, in quel momento composto di dodici suore, le “Missionarie della Carità”: era il 7 ottobre 1950, festa della Madonna del Rosario. Quindici anni dopo un decreto di papa Paolo VI le elevava a congregazione di diritto pontificio, e questa volta erano già trecento. Al momento della morte di madre Teresa se ne contavano 3.914, presenti in 123 nazioni, mentre oggi sono circa 6.000, presenti in 762 paesi in tutto il mondo, con l’eccezione di Vietnam e Cina. Non solo, la santa fonderà altri rami della sua Congregazione: i “Fratelli Missionari della Carità” (1963), l’associazione internazionale “Collaboratori di Madre Teresa” (1969), i rami contemplativi, maschili e femminili (1974 e 1979), e quello sacerdotale, i “Padri Missionari della Carità” (1984). Significativo, inoltre, il fatto che la prima casa delle suore fu donata da un magistrato musulmano: «Ho avuto questa casa da Dio – disse a madre Teresa – Sono contento di restituirla (a Lui)».
Oggi Teresa è conosciuta ovunque con l’aggiunta “di Calcutta”.. che legame ebbe con questa città?
La città che nel 2011 censiva quasi cinque milioni di abitanti, mostra il suo doppio volto: da un lato la cosiddetta parte “bianca”, fondata dai commercianti inglesi e fatta di quartieri eleganti e grattacieli slanciati verso l’alto, direzione verso la quale, però, giunge il grido disperato di coloro che abitano l’altra faccia della metropoli, quella “nera”, costituita da una massa anonima che vi approda dopo aver abbandonato la campagna a causa di siccità e alluvioni. La convivenza con l’Induismo, inoltre, fu talvolta burrascosa.. un esempio su tutti: sulle rive del Gange, il fiume sacro dell’India, sorge il tempio dedicato alla protettrice della città, la dea Kalì, che al suo interno ha due grandi sale – una per i maschi, l’altra per le femmine – , destinate ad essere dormitori per quelle masse di pellegrini che vi si affollano nel mese di ottobre. Nei mesi rimanenti rimangono tuttavia inutilizzate, così madre Teresa chiede alle autorità locali di poterne usufruire per i moribondi.. richiesta accettata. Ma ecco alzarsi la protesta di alcuni ferventi indù: «è una contaminazione del tempio, la sua profanazione!». «D’accordo – rispondono le autorità (è il teologo Teresio Bosco a riferire l’accaduto) – Mandate vostra madre o vostra sorella a curare i moribondi e i lebbrosi al posto di madre Teresa, e noi la manderemo via». Ovviamente non si fece vivo nessuno.. La città conta al tempo 60.000 lebbrosi, 4 milioni in tutta l’India. Ad una di essi, che le chiede perché si prende cura di lei, madre Teresa risponde: «Perché ti voglio bene».. «Dillo ancora».. «Ti voglio bene». Tra le opere della santa, quella che senza dubbio più amava è stata infatti Shanti Nagar, la “Città della pace”, abitata da soli lebbrosi, sorta di ghettizzazione positiva, dato che in essa nessuno poteva umiliarli. La malattia più grave tuttavia, da lei “scoperta” in Occidente, rimaneva a suo giudizio la solitudine.. Ma «Calcutta – diceva spesso – è tutto il mondo.. Cercatevela dove vivete». Già, dov’è la “nostra Calcutta”? O meglio, chi sono coloro che la abitano? Oggi come ieri i poveri e i malati; oggi più di ieri, forse, i giovani..
Una città, dicevamo, caratterizzata dalla sua forte connotazione induista..
Il 15 agosto 1947 l’India ottiene la libertà nazionale, ma non dalle caste, aspetto in qualche modo fondante la “religione” induista, anche se il termine è tecnicamente improprio, trattandosi di un insieme variegato di credo. «Le strade della “città nera” – scrisse il già citato Bosco – hanno grandi cumuli di immondizie e i marciapiedi abitati. Uomini e donne di ogni età.. (vi) attendono la morte. I passanti non se ne preoccupano.. Le suore di madre Teresa caricano sul carretto i bambini che gemono accanto alla mamma che non c’è più.. e li portano a Shishu Bawan, il “rifugio dei bambini abbandonati”. Poi tornano col carretto a caricare i moribondi, e li portano al “Nirmal Hriday”, il rifugio dei morenti». Il sistema della caste indiano ne conta quattro, gerarchicamente ordinate.. la stragrande maggioranza dei morenti di cui madre Teresa si prende cura sono però pària, gli “intoccabili”, i “fuori casta”, coloro che non appartengono a questa logica, ragion per cui non possono essere neppure avvicinati: potrebbero infatti rendere impuri gli appartenenti alle caste superiori, perfino col solo sguardo o attraverso il semplice “contatto” della loro ombra!?! Sebbene ufficialmente abolito dall’articolo 17 della Costituzione indiana, grazie anche alla personale lotta portata avanti da Gandhi, il mahatma (la “grande anima”), quest’assurdità continua a condannare i già oppressi dalla vita..
Tornando a Teresa, come riuscì una donna così esile a fare del bene in queste proporzioni?
Il 5 dicembre 1964 a Bombay, nello stesso istante in cui tra le sue braccia stava spirando il vecchio Onil, un povero che ogni ospedale si era rifiutato di ricoverare, Paolo VI in aeroporto salutava la folla, parlandole di quella piccola suora che stava cambiando il mondo, e disse: «Prima di lasciare l’India, desideriamo offrire la nostra automobile a madre Teresa.. perché se ne serva nella sua universale missione d’amore». Si trattava di una Cadillac cabriolet bianca coi sedili rossi, regalata al papa dai cattolici americani per i suoi spostamenti. Ma la suorina, che la chiamava ironicamente “l’elefante bianco”, la vendette subito, tornando al suo amato carretto. Altro significativo episodio, per certi versi simile, ebbe luogo il 10 dicembre 1979 quando, recatasi a Oslo per ricevere il prestigioso premio Nobel per la pace, nel salone in cui avrebbero dovuto svolgersi i festeggiamenti, madre Teresa chiese di rinunciarvi: «non si può banchettare allegramente mentre i popoli fratelli muoiono di fame». Fu accontentata..
Che tipo di percorso è tenuta a fare chi vuol diventare una suora di madre Teresa?
Il cammino per far parte dell’ordine è preciso e severo: 6 mesi di prova, 12 di postulantato e 2 anni di noviziato. Ma ciò che Teresa ritiene indispensabile è altro: salute psico-fisica, disponibilità ad apprendere, buon senso e tanta allegria. Ad una suora che le chiedeva di andare nelle baracche, un giorno le rispose: «ritorna a letto. Con la faccia triste non si può andare incontro ai poveri». Ai tre celebri voti di castità, povertà e obbedienza, quest’ordine ne richiede un quarto: la dedizione totale ai poveri. Ognuna delle suore possiede unicamente un piatto smaltato e un cucchiaio per i pasti, tre modesti sari bianchi, un paio di sandali e un materassino sul quale riposare.
Quanto alla loro spiritualità, invece, cosa di preciso le caratterizza?
Lasciamo che a dircelo sia madre Teresa stessa, attraverso alcune sue celebri affermazioni. La prima circa il servizio: «Noi non siamo operatori sociali – ripeteva spesso – ma religiose nel mondo, contemplative attive.. l’amore di Dio in azione». Altre invece sottolineano la centralità della preghiera: «Se saprai pregare – diceva alle consorelle – saprai anche amare e servire.. Abbiamo bisogno di pregare. Senza la forza della preghiera la nostra vita è insopportabile». Aggiungendo: «Il frutto del silenzio è la preghiera. Il frutto della preghiera è la fede. Il frutto della fede è l’amore. Il frutto dell’amore è il nostro servizio». Altro caposaldo era l’Eucaristia, celebrata solitamente in cappelle molto modeste, sprovviste di sedie, col Crocifisso che, posto sopra l’altare, è sormontato dalla scritta in inglese I thirst, “Ho sete”. Messa sempre seguita da un’ora di adorazione, miglior “benzina” per affrontare il quotidiano: «cerchiamo di vedere Cristo nelle apparenze del pane nell’Eucaristia, e lungo la giornata continuiamo a vederlo nelle apparenze dei corpi spezzati dei nostri poveri». Il corpo di santa Teresa, spezzato per milioni di sofferenti col volto di Gesù, riposa oggi nella casa madre delle “Missionarie della Carità” di Calcutta.
«Grazie, Signore, per il dono di Teresa: donaci la sua gioia per la vita, il suo amore per i sofferenti e la capacità di riconoscerti in ogni forma di povertà, dalla più alla meno evidente, nella “Calcutta” che ad ognuno concedi di abitare».
Recita
Vittoria Salvatori, Cristian Messina
Musica di sottofondo
C.Gounod. Ave Maria (for Guitar). Performer Gordon Rowland. Diritti Creative Commons. Musopen.org