Santi Timoteo e Tito (26 gennaio)
“Vero figlio mio nella fede” (1Tm 1,2) e “figlio carissimo” (2Tm 1,2); “mio vero figlio nella medesima fede” (Tt 1,4). Così Paolo si rivolge ai due amati discepoli: Timòteo, primo vescovo di Efeso, e Tito, primo vescovo di Creta.
Chi sono precisamente questi due uomini, e da dove vengono?
Tito è di origine greca, mentre Timòteo, il cui nome significa letteralmente “colui che onora Dio”, nasce a Listra, al tempo colonia romana, parte dell’attuale Turchia. Quest’ultimo viene cresciuto nella fede da due grandi figure femminili: la nonna Loide, un’ebrea diventata cristiana, e la mamma Eunice. Ennesima testimonianza, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto la donna sia spesso capace di dare la vita non solo in senso fisico, ma soprattutto spirituale. Se ci fermassimo a ripensare alle figure del passato che per prime ci hanno indicato Gesù, beh, probabilmente conteremmo più donne che uomini: dalle nonne alla mamma, dalla maestra alla catechista.
Come hanno fatto ad incontrare Paolo?
Il giovane Timòteo, timido e riservato, oltre che delicato di salute, lo conosce probabilmente durante il secondo viaggio missionario dell’Apostolo, che decide di portarlo con sé, fino a farlo diventare un aiuto prezioso, compagno fidato e fratello. Non solo, egli divenne il suo “postino” numero uno, avendo consegnato per suo conto ben sei lettere: la Seconda ai Corinti, quella ai Filippesi, ai Colossesi, le due ai Tessalonicesi e a Filemone. Tito invece è stato convertito con ogni probabilità da Paolo stesso, ad Antiochia (cfr. Tt 1,4). Egli è un vero diplomatico (cfr. 2Cor 7,6-16): nella città greca di Corinto, in cui Paolo ha fondato una delle prime comunità, dopo la sua dipartita i cristiani si sono divisi tra loro, i ricchi infatti non condividono i loro beni con i poveri. Paolo invia Tito a ristabilire la pace, che riesce nell’arduo compito: là dove il maestro ha fallito, il discepolo ha avuto successo!
Come mai li festeggiamo proprio il 26 gennaio?
Il nuovo calendario liturgico li colloca, e non a caso, immediatamente dopo la festa della “conversione” di san Paolo. Come a dire che, da una parte quella conversione ne ha generate altre, dall’altra che i discepoli vengono subito dopo il maestro.
Cosa sappiamo delle tre lettere indirizzate da Paolo ai due collaboratori?
Le due epistole a Timòteo e quella a Tito, eccezion fatta per quella a Filemone (che si tratta in realtà di un “bigliettino”, se così possiamo dire), sono le uniche indirizzate a persone esplicitamente nominate. Dal XVIII secolo sono chiamate “Lettere Pastorali”, in quanto contengono principalmente delle direttive rivolte ai “pastori” delle Chiese. Nel momento in cui la maggior parte degli apostoli se n’è andata, la responsabilità è caduta su due figure: il vescovo, dal greco epìscopos, “colui che guarda dall’alto”, e il prete, contrazione di un’altra parola di origine greca, presbyteros, “più anziano”. Riguardo ai contenuti, particolarmente commovente è la Seconda Lettera a Timòteo. Ci dice che Paolo si trova in quel momento a Roma, dove sta scontando una dura prigionia e durante la quale si sente terribilmente solo: Dema gli ha «preferito le cose di questo mondo», Crescente è partito per la Galazia, Tito per la Dalmazia (2Tm 4,10). Scrive: «Nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato» (4,16), eccetto Luca (4,11). Paolo allora supplica Timòteo di raggiungerlo al più presto, prima che sopraggiunga il freddo invernale, motivo per cui gli chiede di portargli il mantello che ha dimenticato a Troade (4,13).
Donaci Padre, per intercessione di Timoteo e Tito, di diventare come loro “collaboratori dei tuoi collaboratori”, là dove ce lo chiedi.. là dove ne hai bisogno.. là dove ci chiami a recapitare le tue lettere d’amore per gli uomini..
Recita
Cristian Messina, Giulia Tomassini
Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri