Testimoni: Beata Maria della Provvidenza (7 Febbraio)



Beata Maria della Provvidenza (7 Febbraio)
Il 25 marzo 1825 nasce a Lille, in Francia, Eugenia Maria Giuseppina Smet, da genitori di origine fiamminga che la consegnano alla luce come terza di sei figli. Nella città natale studia presso le suore del Sacro Cuore e, a 17 anni, vorrebbe diventare una di loro. Rimasta però in famiglia, sceglie di dedicarsi all’apostolato in parrocchia, insieme al sostentamento dell’Opera per la propagazione della fede, realtà di laici fondata a Lione tre anni prima che lei nascesse dalla laica Pauline Jaricot. Nel novembre 1853, quando ha 28 anni e fatto voto privato di castità, Eugenia decide di promuovere un’associazione di fedeli impegnati a pregare per le anime del Purgatorio, ottenendo subito un discreto riscontro, che tuttavia non basta a sormontare diverse difficoltà: sceglie allora di fondare, col medesimo scopo, una vera congregazione di suore. 

Che tipo di congregazione?
Chiede consiglio a molti, mette in mezzo anche papa Pio IX e il Curato d’Ars, realizzando a Parigi il suo sogno: siamo nel 1856, anno in cui un esiguo gruppetto iniziale darà vita alle Suore Ausiliatrici del Purgatorio. Scopo della congregazione è quello di intercedere a favore dei defunti non ancora ben posizionati tra le “braccia del Padre”. Ma Eugenia, diventata nel frattempo Maria della Provvidenza, scorge un secondo tipo di purgatorio, quello di chi, già su questa Terra, è costretto a sopportare la sua personale “purificazione”. Capisce allora che le sue Ausiliatrici devono dedicarsi non solo alla preghiera per i defunti, ma anche al soccorso dei viventi. 

Un impegno che unisce insomma l’aldilà all’aldiqua! 
Proprio così. Nel 1865 aprirà una casa a Nantes, bissata due anni dopo da quella di Shanghai. Alla fine del XX secolo le Ausiliatrici saranno circa 1.500, in una sessantina di case sparse nel mondo. Eugenia morirà nella capitale transalpina il 7 febbraio 1871, giorno in cui la Chiesa la celebra, per essere beatificata da Pio XII nel 1957.

La sua opera non può non sollevare diverse questioni circa il Purgatorio, concetto oggi alquanto discusso..
Diciamo di sì, ragion per cui occorre fare qualche passo indietro.. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, trattando il tema della vita eterna, così si esprime al n. 1021: «La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone, così come altri testi del Nuovo Testamento, parlano di una sorte ultima dell’anima che può essere diversa per le une e per le altre». Il numero successivo precisa inoltre che: «Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre..».

Ma di che purificazione si sta parlando esattamente?
Per capirlo dobbiamo scomodare tre parole dal peso specifico non indifferente: inferno, paradiso e purgatorio.. Trattando del cielo o paradiso, il Catechismo afferma al n. 1023: «Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio..», e vivranno una «vita perfetta – specifica il numero seguente – ..comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati..». Quanto all’inferno, si precisa: «Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi» (1031). Del purgatorio si afferma invece che i morti nella medesima grazia e amicizia di coloro che finiscono in cielo, «ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo» (1030). Per specificare poi che «La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dannati» (1031).

Questa dottrina si fonda su basi scritturistiche?
Sì, nello specifico sul Secondo Libro dei Maccabei (12,45), in cui Giuda Maccabeo «fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato». Alla voce “Purgatorio”, Il Cristianesimo dalla A alla Z di Piero Petrosillo, così si esprime: «Dal latino purgatorium (dal verbo purgare, “purificare”). La Chiesa chiama purgatorio la purificazione finale degli eletti, cioè la purificazione di coloro che muoiono nella grazia di Dio ma che non hanno ancora tutta la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. La Chiesa ha formulato la dottrina di fede relativa al purgatorio soprattutto nei concili di Firenze (1439) e di Trento (1563), avendo ben presente anche la pratica della preghiera per i defunti di cui parla la Sacra Scrittura (2Mac 12,45)». Per poi rimandare il lettore alla parola “Suffragio”: «Dal latino suffragium (dal verbo suffragari, “aiutare”). È la preghiera o qualsiasi opera di carità offerta a beneficio delle anime dei defunti. Tra i suffragi eccelle la celebrazione eucaristica. Le preghiere di suffragio mettono in relazione la Chiesa peregrinante e la Chiesa purgante» (cfr. LG, n. 50). Vien da sé che, non ci fosse il purgatorio, ovvero se al momento della morte si andasse direttamente in Paradiso o all’Inferno, non avrebbe senso pregare per i morti.

Un concetto, insomma, non troppo semplice..
Affatto, tanto che le confessioni Ortodossa e Protestante non lo riconoscono. Ciò che conta è però capire che il purgatorio non corrisponde ad una sospensione del giudizio di Dio, ma è il tempo e lo spazio (o meglio la condizione) del giudizio che Dio ha già dato, e che pertanto non va “convinto”. «Andare in Paradiso col mal di fegato – dice lo scrittore e pedagogista Franco Nembrini nel suo strepitoso commento al Purgatorio dantesco – non va bene, se uno va in paradiso deve goderselo fino in fondo. Ecco, il purgatorio corrisponde al periodo in ospedale.. E in questo periodo il conforto degli amici – le loro visite, il loro sostegno (cioè la preghiera di intercessione!) – è fondamentale». Alessandro D’Avenia, nella prefazione al commento di Nembrini sottolinea come    in tutta la Divina Commedia il nome di Dante venga pronunciato una sola volta, e proprio nel canto XXX(55) del Purgatorio, centro ideale dell’intero poema. Si tratta della cantica più importante perché Dante e Beatrice qui s’incontrano – tra l’altro il 10 aprile 1300, giorno della resurrezione – in cima alla montagna del purgatorio, in cui si trova il giardino di Eden, ormai vuoto, andando in tal modo a formare quasi una nuova coppia progenitrice.. 

Meraviglioso!
Lo stesso D’Avenia aggiunge che, etimologicamente, purgatorio deriva dal greco pūr, “fuoco”, che ha la medesima radice di “pur-ificare”, “pur-o”, “pur-gare”, ecc.. E la purificazione è il rito centrale in ogni religione, che nel cristianesimo avviene in primis attraverso il battesimo, evento narrato nella cantica con la quale inizia, e non a caso, il Purgatorio dantesco. Viene quindi scomodato un altro gigante della letteratura, Giacomo Leopardi, col quale tutti noi dovremmo chiederci: «Ove tende questo vagar mio breve..?». Perché, o meglio per Chi, viviamo? La risposta di  Dante potrebbe essere sintetizzata come segue: chi nella sua esistenza ha desiderato in modo chiaro Dio, con Lui sarà per sempre, “abitando” il paradiso; chi lo ha desiderato in modo non del tutto chiaro, sperimenterà quella condizione definita purgatorio; chi infine avrà desiderato “tutt’altro”, sperimenterà per sempre “tutt’altro”, ovvero la lontananza di e da Dio, chiamata inferno.       

«Ti affidiamo, Signore, per intercessione di Eugenia e con le parole del sommo poeta, il nostro povero destino. Fa che assieme a Dante possiamo “tornare da la santissima onda, rifatti sì come piante novelle, rinovellate di novella fronda, puri e disposti a salire a le stelle» (Purgatorio XXXIII).

Recita
Federica Lualdi, Cristian Messina

Musica di sottofondo
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