Testimoni: Enrico Medi (20 Ottobre)



Enrico Medi (20 Ottobre)
«O lontana Antares, o voi misteriose galassie: voi mandate luce ma luce non intendete! Voi mandate bagliori di bellezza, ma bellezza non possedete! Voi avete immensità di grandezza, ma grandezza non calcolate! Ed io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio, vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza; prendo il moto e ne fo’ sapienza; prendo lo sfavillio dei colori e ne fo’ poesia. Io prendo voi, o stelle, nelle mie mani e, tremando nell’umiltà dell’essere mio, vi alzo al di sopra di voi stesse e, in preghiera, vi porgo a quel Creatore che solo per mio mezzo, voi stelle, potete adorare: l’uomo è più grande delle stelle!!».

Sono parole dello scienziato credente Enrico Medi. Con questo suo slancio mistico-poetico presentiamo oggi, nell’anniversario della sua Prima Comunione, l’avventura terrena di un piccolo grande testimone della fede. Questa biografia prende le mosse dal suo arrivo a Roma, nel 1920. Il padre, medico, decide di trasferirsi con tutta la famiglia da Belvedere Ostrense, nelle Marche, a Roma per offrire ai figli migliori possibilità nello studio e nella futura carriera. Nato il 26 aprile del 1911 a Porto Recanati da Arturo Medi e Maria Luisa Mei, la famiglia, durante la guerra del ’15- ’18, si deve trasferire a Belvedere Ostrense, paese originario della madre, dove vivono i nonni materni. La casa ha anche una cappella frequentata quotidianamente dal piccolo Enrico che a Belvedere Ostrense frequenta le scuole elementari. Di fondamentale importanza è l’educazione cristiana che riceve dai nonni e dai genitori. Il suo incontro con l’Eucarestia, fortemente desiderato, avviene il 20 ottobre 1920 nella cappellina privata della loro casa: qui riceve la Prima Comunione da Don Mancinelli.

Qual è stata la sua formazione religiosa?
Per Enrico Medi, i primi anni passati a Roma nel collegio di Santa Maria e poi nell’istituto Massimo tenuto dai gesuiti, sono fondamentali per la sua formazione culturale e soprattutto spirituale; lasciano nella sua vita un’impronta incancellabile. Conosce ed è vicino a delicate ma incisive guide spirituali: p. Innocenzo Cortezon al S. Maria, p. Giuseppe Massaruti e p. Hermann Haeck al Massimo. La sua crescita culturale e religiosa va irrobustendosi di pari passo nella cornice di queste due severe istituzioni romane che sviluppano in lui anche un’attenzione tutta particolare verso il mondo delle missioni. È tra i fondatori, all’istituto Massimo, della Lega Missionaria Studenti a cui resta sempre legato anche perché ne è presidente onorario fino alla morte.

Dicono che sia stato un bambino prodigio..
Sicuramente precoce e brillante negli studi, all’età di soli 16 anni inizia la sua carriera universitaria, e nella Roma degli anni ’30 è tra quei pochi e privilegiati studenti universitari che vive l’atmosfera di frontiera dell’Istituto di Fisica di Via Panisperna, accanto al fisico  Enrico Fermi e al suo gruppo di giovanissimi ricercatori. Dopo la laurea in fisica pura conseguita con Fermi a soli 21 anni, rimane nell’Istituto iniziando così la sua carriera universitaria, specializzandosi in fisica terrestre vicino al fisico Antonino Lo Surdo che lo vuole subito suo stretto collaboratore. Dopo qualche anno, e precisamente nel 1942, vince la cattedra di fisica sperimentale dell’Università di Palermo.
La sua carriera si ferma temporaneamente durante la seconda guerra mondiale poiché, per motivi di sicurezza, nel 1943 torna a Belvedere dove si adopera per alleviare le sofferenze causate dalla guerra alla popolazione. Singolare è l’episodio di due uomini che stanno per essere fucilati: saputene, senza pensarci due volte, animato da coraggio e pieno di fervore cristiano, si reca al comando di Jesi e offre la propria vita in cambio di quella dei condannati, che, infine, vengono risparmiati.

Quali scelte ha fatto dopo la guerra?
Ben presto, con la fine della guerra, all’impegno universitario si affianca anche quello politico nella Democrazia Cristiana. La stima che si guadagna nell’ambiente cattolico siciliano lo portano a candidarsi non nelle Marche o nel Lazio, ma proprio in Sicilia dove risulta, per l’assemblea costituente, tra i primi eletti. Prende con molto impegno e serietà questo incarico politico nel ’46, come nel ’48  allorquando viene nuovamente ricandidato in Sicilia per la prima legislatura. Nello stesso anno consegue la laurea in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Tornato a Palermo, avvia il “Censimento della sofferenza“, per conoscere direttamente, recandosi nelle case dei più umili, la vera condizione dei poveri. Riguardo alla situazione terribile dei bambini mutilati di guerra e degli orfani, interviene in Parlamento per richiamare l’attenzione dei colleghi parlamentari al dovere della democrazia, rilevando la necessità di dover “risollevare” un popolo sia dal punto di vista morale, sia fisico.

Come ha vissuto l’impegno politico?
In un discorso nel ’67 Enrico si chiede: «Cos’è la politica per un cristiano?». Poi risponde:  «È un servizio reso agli altri dimenticando se stesso; è una rinuncia ai propri interessi e alla propria vanità; è un’altissima missione davanti a Dio; è un apostolato di proporzioni sconfinate». Non si vergogna mai di testimoniare nell’aula parlamentare la sua fede e la sua coerenza di cattolico; auspica una politica che sia veramente attenta ai principi del bene comune e sensibile alle esigenze di tutti e non un mero meccanismo di distribuzione di poltrone e prebende. Conosce e apprezza don Luigi Sturzo che ricambia la sua amicizia con altrettanta stima. Ambedue si interessano dei tanti problemi della Sicilia e Sturzo per quanto gli è possibile, aiuta Medi in uno dei più importanti progetti che lo scienziato vuole realizzare nell’isola: l’Osservatorio Geofisico di Gibilmanna. Li unisce tra l’altro un deciso anticomunismo e il convincimento che sia necessaria una seria campagna di moralizzazione della vita pubblica in cui i cattolici devono dare per primi l’esempio. 

Qual è stato il suo rapporto con la nascita della televisione?
In questi anni, intuito il valore divulgativo della televisione per la scienza, inizia presso la RAI-TV corsi di fisica sperimentale che risultano molto seguiti. Dal ’54 al ’56 conduce anche uno dei primi programmi televisivi di divulgazione scientifica, Le avventure della scienza. Colpisce gli ascoltatori la semplicità espositiva di fenomeni fisici complessi; la capacità dello scienziato di rendere intelligibili leggi fisiche e grandi numeri attraverso piccoli ma efficaci esperimenti. Diviene popolare al grande pubblico anche con la maratona televisiva del luglio 1969, dedicata allo sbarco sulla Luna. Anche in questa occasione i telespettatori sono accompagnati da Medi, con semplicità e chiarezza espositiva, a vivere momento per momento quella straordinaria avventura. Verrà poi inondato di lettere dì ringraziamento per quella serata indimenticabile.

Come coniuga scienza e fede?
L’attività più propriamente scientifica si svolge nell’università e nell’Istituto Nazionale di Geofisica, di cui è direttore ininterrotto dal 1949 al 1974, in particolare con ricerche sperimentali nel campo della sismologia, del magnetismo terrestre, delle radioonde e dell’ottica dell’atmosfera. Le pubblicazioni dell’Istituto, i Quaderni e gli Annali, testimoniano di questo intenso lavoro di ricerca, particolarmente apprezzato dal mondo accademico. Medi è un grande scienziato e politico ma soprattutto un apostolo. Diceva: «Se non ci fosse pericolo di essere fraintesi, verrebbe da dire che il cristianesimo è esattamente scientifico; ma la verità è un altra, è che la scienza per natura sua è cristiana: cioè ricerca della verità, cioè attenta indagine su quella che è la volontà di Dio che si esprime nell’ordine naturale (scienza) e nell’ordine soprannaturale (fede e teologia). Quindi è inconcepibile e assurdo qualsiasi ipotetico contrasto fra fede e scienza, fra vero progresso scientifico e teologia e morale». Egli è fermamente convinto che scienza e fede siano in continuo dialogo e superano ogni ostacolo grazie all’intervento della filosofia che offre alla scienza stessa gli strumenti per operare e soprattutto la possibilità di sintetizzare e raccogliere il materiale via via accumulato. Il campo di attività di Medi si amplia alla fine degli anni ’50 con la designazione a Commissario italiano all’Euratom e vice presidente dello stesso ente. Purtroppo la burocrazia comunitaria inceppa i suoi sogni e la sua tensione ideale, gli crea difficoltà e incomprensioni, e quando il suo disagio interiore raggiunge il limite e vede che l’Euratom si sta allontanando dallo spirito originario del Trattato di Roma, preferisce lasciare quella pur prestigiosa poltrona a Bruxelles e ritornare alle sue ricerche, ai suoi studenti, alla sua famiglia.

Quindi come reagisce?
Riprende con più assiduità a girare l’Italia invitato da vescovi, enti cattolici e altre istituzioni, a tenere quelle sue famose conferenze che entusiasmano il pubblico. Infatti, oltre ad essere un genio della scienza, Enrico ha spiccate doti di scrittore e di oratore che, con slanci mistici, sentimenti di poeta e con l’entusiasmo dell’apostolo, lasciano una traccia indelebile e un vivo ricordo in chi lo ascolta, per l’immediatezza e semplicità di linguaggio, per la sua testimonianza di scienziato e credente. Enrico Medi parla con tanta serenità del rapporto tra scienza e fede, dell’energia nucleare, dell’atomo, delle galassie, dell’universo dove in ogni punto di esso, macroscopico o microscopico, riesce a trovare la traccia del Creatore.

Chi erano i suoi interlocutori?
I giovani erano i suoi interlocutori preferiti: sia quelli più compassati degli anni ’50 che quelli più turbolenti degli anni ’60-’70. Si sforza di capire le loro ragioni, le loro ansie, l’insoddisfazione e la critica verso le strutture universitarie e la stessa società italiana, consigliando equilibrio, capacità di discernimento, fiducia nell’avvenire, dialogo, anche critico, con le proprie famiglie e la società.
Non si spaventa di fronte alla contestazione giovanile della fine degli anni ’60 e nei suoi interventi indica chiaramente il loro disagio proprio col termine “contestazione”. Non emana condanne senza appello, non si atteggia a medico dei mali della gioventù studentesca di allora. Vuole capire e, per quanto possibile, entrare nel cuore di quei giovani. Anzi, parla spesso loro pubblicamente fuori dalle aule universitarie, e più che giudicare in modo negativo le loro azioni, approfitta per mandare un messaggio ai padri, alle famiglie, alla sua generazione che non si sforza di capire il dramma che quei giovani stanno vivendo. «Non avete un punto di appoggio – diceva ad un gruppo di studenti nel novembre ’69 –, non avete un consiglio. I vostri genitori dicono di non capirvi; i vostri stessi fratelli e sorelle, se appena hanno cinque o sei anni più di voi, fanno parte di una generazione diversa. Cercate un confessore e non lo trovate, un amico e non lo trovate, una fiducia e non la trovate, un conforto del cuore, una dolcezza, un riposo, una poesia, una speranza e andate vagando nella tempesta alla ricerca di una luce di stelle che possa dare un po’ di consolazione al vostro cuore. Questo è il dramma profondo». 

Enrico coglie i lati oscuri del disagio giovanile a cui bisogna dare urgenti risposte..
Più che una critica ai giovani dunque, è un segnale lanciato alle famiglie: bisogna curvarsi sulla gioventù del tempo che esprime le sue insoddisfazioni con rabbia, occupando scuole ed università, distruggendo anche materialmente ciò che trova sul suo passaggio. Ma egli va oltre questo frastuono e anche in questo caso non se la sente di condannare: li invita a non sciupare non tanto le cose materiali, ma la loro stessa gioventù: «Quando tante volte vi vedo nella città universitaria bloccare il nostro istituto, appendere manifesti o rovesciare le macchine, provo un profondo dolore, non per la ridicola macchina rovesciata, ma per la constatazione di questo grido di angoscia nella vostra notte, che cercate di lanciare verso il cielo, quasi come un grido di disperazione, nel vuoto perché non c’è nessuno che ve lo colmi». Non si attarda su analisi politiche, né sulla forte connotazione ideologica che stava caratterizzando ormai il movimento studentesco. Egli indica valori oggettivi buoni per tutti, qualunque fosse il colore ideologico. Diceva: «Cercate di conservare l’equilibrio dentro di voi. Evitate l’eccitazione e l’esaltazione, vanno parimenti. Evitate l’indifferenza e la follia delle cose. Serenità nelle cose».

Parliamo della sua spiritualità.
Non è  facile accennare alla sua spiritualità tanto essa è compenetrata in tutti gli aspetti della sua vita professionale, familiare e quotidiana. È in qualche modo una spiritualità da autodidatta nel senso che fin da fanciullo egli sembra possedere le coordinate giuste per “custodire nel suo cuore” tutti gli stimoli spirituali che gli venivano dal clima familiare, dalla preghiera e dalla comunione quotidiana. Il mondo del collegio S. Maria, dell’istituto Massimo e l’influenza della spiritualità ignaziana si innestano su una giovane pianta già rigogliosa. Lo accompagnano nella sua vita la preghiera, l’Eucaristia, la pietà mariana, una fedeltà assoluta alla Chiesa e al papa, soprattutto il “suo” Papa che certamente è Pio XII con cui si sente sempre in sintonia perfetta. Quando gli chiede udienza, il papa la concede sempre e subito. «Ero come un figlio devoto di Pio XII» – ricorda in una conferenza del ’65.  La stima del Papa verso Enrico è così alta che gli concede di tenere il Santissimo Sacramento nella cappellina privata di casa sua. Enrico Medi mantiene anche un intimo rapporto con Padre Pio (oggi San Pio) per più di 20 anni, anche questo così difficile a delineare perché in gran parte sviluppatosi e cresciuto nel “foro interno”.

Sceglie di formare una famiglia?
Durante il primo anno di insegnamento conosce Enrica Zanini. I due scoprono di condividere tanto, per sensibilità e formazione spirituale e umana. Quando si conoscono, nel 1933 (a San Pietro, durante la cerimonia di apertura della Porta Santa), Enrica è matricola alla Facoltà di Chimica; studia con Rita Levi Montalcini e sono, in tutta la Facoltà di Chimica, cinque donne iscritte a quel tempo. Conseguita la laurea si iscrive alla Facoltà di Farmacia di Perugia per subentrare nella nuova attività di famiglia dei Medi, una farmacia che il dott. Arturo ha rilevato a Roma. In questi anni tra i due c’è una fittissima corrispondenza, un desiderio di essere sempre e comunque vicini, e di affidare le loro vite e la loro scelta alla cura del Signore. Nel 1938 si sposano. Dalla loro unione nascono sei figlie: Maria Beatrice, Maria Chiara, Maria Pia, Maria Grazia, Maria Stella, Maria Emanuela. Dai loro nomi traspare la devozione della coppia alla Madre Celeste.

Dove vanno ad abitare?
Nel corso del tempo la famiglia si stabilisce definitivamente nei pressi di Roma, a Torre Gaia,
alcuni chilometri fuori città, pur di riservare alla moglie e ai figli uno spazio vitale in cui vivere insieme, a contatto diretto con la natura, i momenti più intimi della giornata. Qui Enrico edifica una cappella privata in cui custodire l’Eucarestia, segno concreto di una “presenza” in più in famiglia. Proprio in questa cappella, (dedicata – guarda caso – alla Sacra Famiglia) suo rifugio preferito, in cui si celebra la Messa, le sue figlie riceveranno i sacramenti, e quasi tutte vi si sposeranno. Già in precedenza, tra impegno politico e apostolico, tra dedizione per la ricerca scientifica e tentativi continui di divulgazione delle scoperte scientifiche, la famiglia svolge per Enrico un ruolo fondamentale, affrontando per lui numerosi sacrifici, accettando impegni, spostamenti continui e assenze. 

Quale visione ha della famiglia?
L’unità è una delle principali caratteristiche che, secondo Enrico, si devono riscontrare all’interno di un nucleo famigliare. Nei sui interventi su famiglia, amore, matrimonio, ribadisce più volte l’importanza della vita non come una sommatoria di eventi, di luoghi, di relazioni, ma come un “unità  sostanziale”, che acquisisce senso ancora maggiore nella vita di famiglia, orientata verso Dio, animata dal suo esempio, e per questo vissuta in una sorta di intimità con Gesù, che proprio nella famiglia passa la maggior parte della sua esistenza terrena. «Dobbiamo seriamente pensare a una casa umana per una famiglia umana: una casa per tutti, che abbia il calore del focolare, che sia asilo, protezione, nido per le nuove generazioni». Enrico parla così in una delle sue conferenze, ammettendo che il suo ideale di famiglia è un luogo dove trovare ogni giorno pace e concordia, serenità, unità tra tutti i componenti. Naturalmente una famiglia di questo tipo si basa su una confidenza e su una apertura tra genitori e figli che non è sempre immediata, ma che va costruita  poco a poco nel tempo. La progressiva consapevolezza dei genitori di non essere padroni dei figli che hanno generato, ma di lasciar compiere loro un cammino del tutto personale, senza però far mancare il proprio sostegno, può essere un modo efficace per costruire rapporti tessuti di verità e di sincerità, di confronto libero e di rispetto reciproco.

Se non sbaglio Enrico Medi muore prematuramente..
Sì, Enrico Medi nasce al cielo il 26 maggio 1974 a 63 anni dopo una lunga malattia che si porta dal 1970. Conclusa nel 2013 la fase diocesana del processo per la beatificazione, la Congregazione delle Cause dei Santi ha dichiarato la validità delle conclusioni del Tribunale costituito nel 1995 presso la diocesi di Senigallia e avviato la causa per il riconoscimento delle virtù eroiche dello scienziato di Dio.

«..Ma io guardo a voi, o stelle, vi guardo con i miei telescopi, con le mie grandi antenne riceventi. I disturbi che vengono dalle Pulsar. Guardo a voi stelle nane, ed abissali profondità cieli che racchiudete nel vostro scrigno, le nebulose oscure, guardo a voi stelle nove che esplodete nel girar di pochi secondi e diventate immense come cento volte il sole, raccolgo queste radiazioni, le esamino al mio spettrografo, e provoca un milione di anni luce di distanza, che il ferro, il silicio, il carbonio, il calcio, l’ossigeno, l’idrogeno.. gli stessi elementi, identici a quelli che ho sul mio pianeta Terra. Determino le frequenze: dieci milioni di miliardi di vibrazioni al secondo, tremila Angstrom di lunghezza d’onda, 5790-5792. Scopro le righe del sodio: identiche, con la precisione del milionesimo di miliardesimo a quelle che posso produrre su questa Terra con un arco a carbone. E allora dico: lassù – e questo lassù lo ripeto 10 alla ottanta volte, un dieci seguito da ottanta zeri, tanti sono i protoni, neutroni, mesoni, che compongono il peso dell’universo (l’universo pesa, non pesa, ha una massa, di 10 alla 55 grammi, ogni grammo ci mettete circa 10 alla 22 particelle, quindi andiamo intorno alla 77, 78, 10 alla 80. Ebbene, siete tutte uguali, nella differenziazione: l’identità esclude la probabilità – ricordatelo, ragazzi che studiate – la probabilità ha le sue leggi: la curva di Gauss, quindi la possibilità nei grandi numeri di provare tutte le variabili delle componenti risultanti. L’esattezza esclude il caso e la probabilità – parlo in termini scientifici – , quindi queste particelle dovrebbero essersi messe d’accordo, tutte e 10 alla ottanta di essere così come sono prima di esistere..?! Perché una volta nate nell’essere, il proprio essere non lo decidono più – non gioco sulle parole: meditate! Allora, questo è assurdo, perché nessuna di quelle particelle di una galassia ha mai potuto incontrare le particelle di un’altra galassia, perché la luce che è partita da là, dieci miliardi di anni orsono, è partita all’inizio dell’universo stesso – non ha avuto il tempo neanche di fare andata e ritorno – e la luce è il messaggio più veloce che esista nel mondo creato. E allora io ne deduco razionalmente, che c’è e deve essere un’unica causa, fuori della spazio – perché spazio collegante non c’è – , fuori del tempo – perché tempo utilizzabile non c’è – , fuori di quegli esseri, perché una causa che ha dato all’essere di esistere così com’è, quindi padrona dell’intrinsecità dell’essere e della sua essenza. Una causa fuori dello spazio, fuori del tempo, fuori della materia, padrona dell’essere.. io la chiamo e la proclamo “mio Dio”: io ti adoro, questa è la mia fede!».

 

 

Recita
Stefano Rocchetta, Federica Lualdi

Musica di sottofondo
A.Vivaldi. Violin Concerto in E major, RV 269 'Spring' - I. Allegro. Violin Concerto in G minor, RV 315 'Summer' - II. Adagio. Musopen.org. Diritti Creative Commons

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