Testimoni: George Lamaître (20 Giugno)



George Lemaître
«“No, io son troppo razionale, io ho una mentalità troppo scientifica: scusami, non posso credere!” Questa roba qua, quando la sentite dovreste fare “ahahahah!!”, dovreste urlare, dovreste imbestialirvi, dovreste arrabbiarvi. Non è accettabile! Intellettualmente. È una cavolata. Non posso dir parolacce, ma ci vorrebbero, perché è inaccettabile: non si può! Perché semplicemente la realtà la contraddice».
Questa è la reazione simpatica e “scomposta” di un degno discepolo di san Filippo Neri, l’oratoriano Maurizio Botta, che nella sua catechesi per giovani e adulti dal titolo Quel cretino di un cristiano, una delle tante che hanno luogo ormai da anni nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma, prova a tenere insieme tre elementi decisivi: fede, ragione e libertà. Per farlo si avvale di una figura interessante quanto poco valorizzata, che l’Enciclopedia dei Personaggi, edita dalla DeAgostini, riassume così: «Lemaître, Georges astronomo, matematico e religioso belga. Formulò la teoria dell’espansione dell’Universo (1927)». Punto. Una vita sintetizzata in quelle due righe, ulteriormente sintetizzabili in: «astronomo, matematico e religioso belga», vissuto 72 anni su questo pianeta, in buona parte trascorsi a studiare gli altri. Ma noto, soprattutto, per aver formulato nel 1927 «la teoria dell’espansione dell’Universo». 

Ovvero?
Chiediamoci anzitutto cosa intendiamo con quest’ultimo vocabolo.. Universo, ci dice questa volta il Dizionario Etimologico della Zanichelli, significa “tutto intero, considerato nella totalità dei suoi componenti”, “l’insieme della materia distribuita nello spazio e nel tempo”, ecc.. per ricordarci alla fine che deriva dal latino univĕrsu(m), “tutto intero”, letteralmente “volto [vĕrsu(m), dal verbo vĕrtere, “volgere”] tutto in una (ūni-) direzione”. Il testo prosegue sottolineando come, tra i suoi derivati, ci sia «universāle(m).. coniato da Quintiliano per rendere il greco katholikós», da cui cattolica, quella Chiesa di cui Georges Henri Joseph Édouard, nato in Belgio il 17 luglio del 1894, faceva parte. 

Come mai lo festeggiamo proprio oggi?
La data è legata al giorno del suo decesso, avvenuto il 20 giugno del 1966. Fu il primo a capire ciò che poi l’astrofisico statunitense Edwin Powell Hubble confermò nel 1929. Due anni prima, però, Lemaître pubblicò l’ipotesi dell’atomo primigenio, teoria meglio conosciuta col nome di Big Bang, definizione da lui tuttavia mai utilizzata. Formatosi nel collegio gesuita di Charleroi prima, e all’università di Lovanio poi, nel 1920 ottenne il dottorato con una tesi su L’approssimazione di funzioni a più variabili reali. Nello stesso anno entrò nel seminario di Malines (Mechelen), per essere ordinato presbitero appena tre anni più tardi.

Passò dunque dalla teologia all’astronomia..
Iniziò ad interessarsi della celebre teoria della relatività di Einstein (di cui in seguito divenne amico), interesse che gli diede accesso prima all’osservatorio astronomico di Cambridge, poi all’MIT, il Massachusetts Institute of Technology, dal quale uscì con una tesi sui campi gravitazionali. Tornato in Belgio nel 1925 divenne docente all’Università di Lovanio, insegnandovi fino al ’64. Due anni dopo il ritorno in patria iniziò ad ipotizzare l’espansione dell’universo, ma solo in seguito, invitato ad un convegno che poneva a tema il binomio universo fisico-spiritualità, propose la sua intuizione, ovvero che tutto si fosse espanso a partire da un unico quanto di energia, da lui chiamato atomo primigenio.

Tutto cominciò dunque con lo scienziato con la “S” maiuscola.. cosa pensava Einstein di lui?
Inizialmente rifiutò la sua teoria, salvo ammettere anni dopo che si era trattato di uno dei più grandi errori della sua vita. Se oggi è nota come teoria del Big Bang, in realtà ad affibbiargli questo nome – per ironizzare su quella che riteneva evidentemente una bizzarra ipotesi – , il 28 marzo 1949 durante una trasmissione radiofonica della BBC, fu l’astronomo britannico Fred Hoyle (1915-2001).

Dove morì Lemaître? 
A Lovanio, non senza aver prima avuto conferma che la sua teoria, tanto bistrattata, era corretta. Si dovette aspettare il 2018, tuttavia, affinché la legge che fino a quel momento portava unicamente il nome dell’astronomo e astrofisico americano Edwin Hubble, venisse riconosciuta come legge di Hubble-Lemaître. Non solo, gli vennero dedicati un cratere lunare e un asteroide, il 1565 Lemaître. «L’espansione dell’universo è provata soprattutto dalla costante espansione delle capacità umane», fu quanto affermò prima di chiudere gli occhi a questa terra.

Bel parallelismo!
Lo scrittore e giornalista statunitense Bill Bryson nel 2003 ha pubblicato Breve storia di (quasi) tutto in cui, rivolgendosi soprattutto ai non esperti in materia, sottolinea che l’universo per tanto “tempo” non c’è stato, insomma non c’era nulla, da nessuna parte! Aggiunge quindi che l’unico spazio che esiste è quello che l’universo crea espandendosi, che in tre minuti si è prodotto il 98% di tutto ciò che esiste, mentre sul quando, afferma che sia ancora oggetto di dibattito, anche se si propende per una cifra che oscilla tra 13,7 e i 13,8 miliardi di anni fa, momento in cui – in un punto non specifico e per ragioni a noi sconosciute (i cristiani dicono «per amore») – si arrivò a ciò che la scienza chiama t=0.elevato alla 4. Evidenzia poi come il concetto di Big Bang sia molto recente, trattandosi di un’idea che iniziò a circolare intorno al 1920, quando il nostro presbitero belga la propose come ipotesi provvisoria. Ma non si tratta, ci tiene a precisare, di un’esplosione, bensì di un’espansione improvvisa. Bryson evidenzia infine come la Via Lattea, in cui ci troviamo, sia solo una delle circa 140 miliardi di galassie esistenti (!?).

Com’è possibile, per un credente, tenere insieme fede e dato scientifico?
L’astrofisico italiano Matteo Bonato, sapendo di sconfinare in una disciplina che non è propriamente la sua, afferma: «un errore fatto da molti scienziati è cercare la presenza di Dio nelle teorie cosmologiche, nelle teorie matematiche, ma usarLo in tal senso è improprio, lo releghiamo cioè ad un Orologiaio, che semplicemente “mette in moto” il tutto. La creazione (di Dio) è invece più ampia di una semplice “scintilla”, mentre il perché ultimo (il fine) è una domanda alla quale le leggi della fisica non intendono né possono rispondere. Ne farebbero un uso improprio, mutuando concetti non suoi, filosofici e perfino teologici». Nel loro libro intitolato Qualche nota su Dio e sulla fisica quantistica, i fratelli Michael e Anselm Grün – fisico e matematico il primo, monaco benedettino il secondo – ci aiutano a tenere insieme quanto Matteo Bonato sostiene. «Fino al 1920 Albert Einstein – precisa Michael – era convinto, come la maggior parte dei fisici, che l’universo fosse una struttura statica.. Ma già dal 1925 Vesto Slipher e, a partire dal 1928, Edwin Hubble iniziarono a comprendere che l’universo non è fisso, ma dominato da una potente dinamica». Riferendosi poi alla teoria del Big Bang, afferma che «13,8 miliardi di anni fa un evento sconosciuto di natura esplosiva, che oggi chiamiamo Big Bang, ha creato una spinta che ha portato le particelle ad allontanarsi le une dalle altre. Il moto di allontanamento – aggiunge – è ancora in atto e il cosmo continua a espandersi».

Come ha colto la Chiesa questa scoperta?
«Nel 1952 – è sempre Michael Grün a parlare – papa Pio XII ha dichiarato che la teoria del Big Bang, in profonda armonia col dogma cristiano, suffragava l’esistenza di un creatore». Tale dichiarazione fu tuttavia rivisitata, probabilmente su suggerimento dello stesso Lemaître, irritatosi l’anno precedente all’idea che l’ipotesi dell’atomo primitivo (come fu chiamato l’unico quantum capace di riunire in sé tutta l’energia-materia del cosmo) potesse essere confusa con la creazione cristiana. Ma di questo spazio sconfinato, a conti fatti, non sappiamo ancora granché, e ciò «dovrebbe renderci più umili di fronte all’imperscrutabilità dell’universo e all’essere che l’ha creato, lasciando ampio spazio a speculazioni di natura religiosa». Chi sostiene che dietro la creazione di tutto ci sia un’idea, nella quale l’essere umano ha un suo ruolo, sposa il cosiddetto “principio antropico”, che trova una sua mirabile espressione biblica nel celebre prologo di Giovanni: «In principio era il Verbo», parola quest’ultima che viene tradotta dal latino (la Vulgata ha infatti verbum), ma che nell’originale greco è logos. Lutero tradusse Wort, “parola”. «Certo, molti fisici affermano che l’universo sia sorto necessariamente in ragione di leggi fisiche ma – conclude Grün – , prima o poi, ci si dovrà chiedere chi abbia formulato tali leggi (Georges Lemaître, aggiungiamo noi, se l’è chiesto, e ha provato anche a rispondere). Che esse siano divenute ciò che sono per caso è praticamente escluso dalla probabilità e dalla logica».

È davvero così improbabile che sia il caso il “padre” di tutto?
Lasciamolo dire a colui che pernacchiò Lemaître, quell’Hoyle che, ateo, ci ha regalato un paio di affermazioni sul caso davvero interessanti. La prima suona così: «Che quella faccenda complicata e complessa che è una cellula, sia nata spontaneamente e per caso sulla Terra, ha la stessa probabilità che un tornado, passando su un deposito di rottami, ne tiri fuori un Boeing 747 perfettamente funzionante». La seconda è ancor più potente: «la probabilità che questo (il Big Bang) sia avvenuto casualmente è pari alla probabilità di ottenere sempre 12 per 50.000 volte di fila gettando al tavolo 2 dadi». Spettacolo!          

Tornando ai Grün, cos’affermava invece Anselm?
Ci tiene a precisare che «Dio.. Non è ciò che ancora non è stato indagato dalla scienza.. (poiché) si pone su un altro livello.. Lasciare aperto il mistero è il senso del linguaggio dogmatico e anche della fede.. Il teologo (infatti) è tenuto a motivare la sua fede di fronte alla ragione. La fede non è contraria alla ragione, ciò nonostante la supera. – e aggiunge – Anselmo di Canterbury, il santo da cui ho preso il nome, ha fissato la questione con la formula Fides quaerens intellectum, “la fede richiede l’intelletto”. La fede, infatti, vuol comprendere ciò che crede». Quanto all’aspetto prettamente scritturistico, il benedettino ci ricorda che «La Bibbia parla della creazione con un linguaggio mitologico, che possiede una propria verità.. (ma) nel suo discorso il mistero della creazione resterà sempre e comunque un mistero». Mistero che, val la pena ricordarlo, solo in seconda battuta allude a ciò che non si conosce: la parola deriva infatti dal greco mýein “chiudere, serrare”, sottintendendo la bocca. Tradotto: è qualcosa di talmente sproporzionato, rispetto alla nostra capacità di comprendere, che l’unica cosa da fare di fronte ad esso è.. tacere! Non ci rimane allora che da chiederci, con Stephen Hawking: «perché l’universo si dà il disturbo di esistere?».  

Già.. 
Nella catechesi già citata, padre Botta, supportato da quanto afferma Vittorio Messori nel suo celebre Ipotesi su Gesù, sottolinea che è con «con Israele, con la separazione netta tra il creatore e le creature, che all’improvviso il mondo viene spogliato di divinità: il sole, gli astri, il mare, i fiumi e le foreste non sono più considerati dèi e, smarrita la loro aura magica, possono iniziare a essere studiati, analizzati, misurati. – e aggiunge – Questo è il presupposto, che noi diamo sempre per scontato, della differenza fondamentale tra la cultura occidentale e le altre. Questo è il principio del metodo scientifico». 

Fede e ragione non vanno quindi confuse?
Nel libretto intitolato Cercatori della verità, i curatori Mario Gargantini e Lorenzo Mazzoni precisano come, alla base della posizione di Lemaître, ci sia «il rifiuto di mescolare l’approccio scientifico con quello religioso che costituiscono, secondo lui, due percorsi verso la verità, ciascuno con la propria autonomia». Diceva infatti il presbitero belga: «Esistono due vie per arrivare alla verità. Ho deciso di seguirle entrambe.. La scienza non ha cambiato la mia fede nella religione e la religione non ha mai contrastato le conclusioni ottenute dai metodi scientifici». Se la scienza si chiede il come di quanto esiste (dal latino ex-sistĕre, “stare fuori”), la religione si preoccupa del perché. Detto altrimenti: sapere che ognuno di noi è nato per generazione da un ovulo e uno spermatozoo, non è una spiegazione (perché), bensì una descrizione (come).  

Com’è nata l’astronomia?
In Scienziati, dunque credenti, lo storico e giornalista bolognese Francesco Agnoli lo scrive a chiare lettere, ricordandoci che è nata «come scienza moderna, allorché viene a soppiantare, piano piano, le idee astrologiche e magiche antiche, messe in difficoltà proprio dalla visione cristiana del cosmo.. (precisamente quando) incominciano ad essere formulate le leggi del moto». Non solo, «nel mondo pagano antico vigeva l’idea animista: ogni cosa è animata. Il sole, la luna, le foreste.. tutto è abitato da presenze spiritali (ninfe, gnomi, folletti, troll..) che rendono la natura superiore all’uomo. L’uomo – prosegue – deve dunque muoversi cercando di propiziare gli dei, di placarne l’ira, di scrutarne il volere, privo della libertà e della possibilità di “signore del creato”». 

Come si passò da una concezione all’altra?
I primi a mettere in discussione quanto appena affermato da Agnoli furono alcuni filosofi greci, i quali notarono che nella natura vi era un ordine, che col tempo iniziarono a chiamare logos, intuizione che il cristianesimo espliciterà nel già citato prologo del Vangelo di Giovanni. Quanto alla teoria del Big Bang, Agnoli precisa che la sua prima intuizione l’ebbe il vescovo di Lincoln, nonché docente di Oxford, Roberto Grossatesta (1175-1253), che nel suo De luce ipotizzò la nascita dell’universo da un punto originario a-spaziale ed a-temporale. Luce ed energia che avrebbero dato inizio allo spazio, al tempo e al moto. Quanto invece alla causa di tale teoria, Agnoli si domanda: «davanti ad una macchina, postuliamo un meccanico intelligente, anche se non lo vediamo; davanti ad una casa, postuliamo un architetto, un ingegnere, un progetto, anche se non lo vediamo.. Perché dovrebbe essere diverso di fronte alla complessità e armonia di un fiore, del corpo umano, del DNA?». E conclude: «Se crediamo in una Causa intelligente dell’universo, in Dio.. facciamo un atto di fede, in quanto Dio non lo vediamo, ma un atto di fede ragionevole e necessario, perché è la nostra ragione che sempre cerca e sempre esige un perché, una causa, un senso. Come pensavano Copernico, Keplero, Galilei, Newton, Pasteur e la gran parte degli scienziati più celebri.. Se invece postuliamo il caso, facciamo un atto di fede cieco.. equivale ad abdicare alla ricerca di significato dell’uomo, e alla sua intelligenza.. Il caso è una non risposta».     

«Ti ringraziamo, Signore, per averci donato tante menti illustri, su tutte quella di George. Affidiamo alla sua intercessione il nostro pellegrinaggio intellettuale, nel difficile quanto necessario tentativo di tenere insieme cervello e cuore. Un Premio Nobel, il fisico ateo Alfred Kastler, affermava: “Se esiste un programma, non posso ammettere programma senza programmatore, del quale però non voglio costruirmi un’immagine”. Impediscici, Creatore del cielo e della terra, di ingabbiarti in un’immagine, qualunque essa sia, durante questa meravigliosa ricerca di Te..».

 

Recita
Cristian Messina, Patrizia Sensoli

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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