Testimoni: Evagrio Pontico (2 Marzo)



Evagrio Pontico (2 Marzo)
Antirretico, Trattato pratico, Trattato della conoscenza, Problemi gnostici, Le sentenze ai monaci e alle vergini, La preghiera, I cattivi pensieri, A Eulogio, Le basi della vita monastica, Gli otto spiriti malvagi, Le lettere, I commenti biblici: ecco i tesori lasciatici da Evagrio.

Di quali tesori stiamo parlando, e chi è costui?
Si tratta delle opere più importanti del monaco Evagrio, amanuense e “primo teorico del monachesimo”, nato nel Ponto (zona storica dell’attuale Turchia) intorno al 345 dopo Cristo, nella città di Ibora, geograficamente ancora oggi non ben identificata. Ordinato lettore da Basilio e fatto diacono da Gregorio Nazianzeno, ricevette la sua prima educazione alla celebre “scuola” dei monaci Cappadoci. Nel 383 circa indossò l’abito monastico e si recò in Egitto, sede di tre famosi luoghi in cui al tempo ci si allontanava dal mondo: Nitria (una cinquantina di chilometri da Alessandria), le Celle (al confine col deserto libico) e Scete. Evagrio dimorò più o meno due anni nel primo, per rimanere i restanti quattordici nel secondo, fino alla morte, sopraggiunta nel 399: aveva solo 54 anni.

In che senso e perché ci si allontanava dal mondo?
Un celebre apoftegma (dal greco “enuncio, dichiaro apertamente”, insomma un “detto”) dei padri del deserto, definisce il monaco «uno che si fa continuamente violenza», che riprende cioè ogni volta il viaggio della vita e lo ridisegna, affrontando la solitudine, distaccandosi in tal modo dai propri luoghi di appartenenza. Ma il deserto (in greco èremos), non è luogo di pace, o almeno non prima di avervi lottato. Solo così si giunge a quella condizione ch’egli definisce esichía, difesa attiva contro le passioni. Ma quella del monaco, si badi bene, è anzitutto una condizione, dato che, afferma un altro famoso detto, «il monaco è uno che, separato da tutti, è unito a tutti». Non dunque una fuga mundi, ma l’esatto contrario! La fuga dal mondo riguarda solo la prima tappa dell’ascesi (altra parola di origine greca, che traduce “esercizio”), che impone il confronto serrato con le proprie responsabilità. 

Cosa, di preciso, caratterizza i suoi scritti?   
Quanto allo stile, il suo è un linguaggio comprensibile ai soli iniziati, gli “esperti”, parla difficile proprio per mostrare la complessità del cammino e della ricerca ascetica, e ciò lo porta a coniare dei neologismi: ekdemía, endemía, kleroychía, mísos, skóptes, trápeza, chananítis e via dicendo.. La sua dottrina consiste in tre aspetti, il cui scopo ultimo è la carità: pratico, fisico e teologico. Il primo riguarda la lotta contro i vizi, il secondo e il terzo sono invece contemplativi, degli esseri e della Trinità. Questi ultimi due costituiscono la discussa fase della gnosi, raggiungibile dopo aver purificato la parte passionale dell’anima, attraverso la pratica dei comandamenti e delle virtù, ma soprattutto attraverso la continua lotta – ineliminabile! – contro i logismoi, i pensieri, detti anche spiriti o demòni. Ma se per l’anacoreta – colui che si è “ritirato” in solitudine – tale lotta è frontale e diretta, per il cenobita – che ha scelto invece la “vita comune” – passa attraverso la mediazione dei fratelli. 

Perché quella della gnosi è un aspetto discusso?
Molte delle sue opere furono condannate dal Concilio di Costantinopoli del 553 come origeniste (Origene riteneva sostanzialmente che le anime preesistessero alla propria nascita carnale), ma ciò non gli ha impedito di essere venerato ancora oggi in tutto l’oriente cristiano, in primis come padre della vita monastica e teologo di tutto rispetto, la demonologia lasciataci è infatti tuttora attuale.

Ovvero?
In origine i demòni erano angeli che, ribellatisi a Dio, sono poi diventati malvagi e da allora cercano di condurre gli uomini al male. Evagrio riconosce tre categorie di esseri razionali: angeli, demòni e uomini, e a ciascuna di esse attribuisce tre parti dell’anima: il noûs (spirito) agli angeli, il thymós (la parte emotiva dell’anima) ai demòni e l’epithymía (concupiscenza) agli uomini. Registrando nel tempo la propria esperienza interiore, Evagrio ha individuato otto pensieri, o demòni, sorta di ombre che producono illusioni nella nostra mente, tenendo in ostaggio la coscienza e, nel suo caso, tentano il monaco, dato che se con gli uomini del mondo combattono per mezzo delle cose, con i monaci fanno invece leva sui pensieri: ingordigia, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia. Evagrio ci dice in pratica cosa accade concretamente al monaco che si mette in cerca di Dio, ma ciò – è bene sottolinearlo – vale per ognuno di noi. 

Ma come fanno i demòni a tentarci.. forse ci conoscono?
Niente affatto, poiché non possono sapere ciò che pensiamo, ragion per cui ci osservano e ascoltano: da come ci muoviamo e da ciò che diciamo deducono i nostri punti deboli! In tal senso Evagrio e i primi monaci possono essere considerati precursori della psicologia. Se quest’ultima però cerca le cause del male nel passato, i monaci lo descrivono come qualcosa di presente: è necessario insomma dialogare con i propri desideri e passioni, mettendoli “in ordine”. Ma chi ha sconfitto i demòni, per Evagrio è riuscito in tal modo a guarire anche il proprio passato, ovvero la sua vita. Qualsiasi nome diamo a tali resistenze, ciò che conta è affrontarle.. se oggi ci chiediamo «che pensiero mi è venuto?», Evagrio si domandava «che demone mi sta attaccando?». E questa lotta è talmente necessaria che neanche Gesù vi si è sottratto.. Di certo si tratta di una lotta spirituale che oggi, forti delle attuali conoscenze antropologiche e psicologiche, va riformulata, codificando il linguaggio della Bibbia e dei Padri. Il luogo in cui si svolge il tutto è infatti quel “cuore” che, biblicamente, è il centro di tutto: sede dell’intelligenza e della memoria, dell’affettività e della volontà, dell’amore e del coraggio. Una lotta che non può fare a meno dell’attenzione a ciò che ci accade, dell’abitare il silenzio, del pensare, del leggere ed elaborare quanto si muove fuori e dentro di noi. 

Come si presenta in concreto questa lotta?
Attraverso quattro tappe, partendo dalla suggestione, segue poi il dialogo con tale suggestione, quindi l’acconsentimento ad essa, infine la passione, l’abitudine a quel peccato. Per tali ragioni è bene stroncare i pensieri sul nascere. Il fondatore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi, mostra chiaramente che gli otto pensieri evagriani non sono altro che una distorsione del nostro rapporto con la realtà: l’ingordigia è la deformazione del rapporto che abbiamo col cibo; la lussuria di quello col corpo in primis e con la sessualità in seconda battuta; l’avarizia con le cose, soprattutto col denaro, misura di tutte le cose; l’ira con gli altri; la tristezza con il tempo; l’accidia invece con lo spazio; la vanagloria con il fare e l’orgoglio con Dio, principale causa di tutto il resto!

Questi otto pensieri hanno una qualche relazione con i sette vizi capitali?
Proprio così, ne sono l’origine: la dottrina di Evagrio è infatti passata in occidente grazie al monaco Giovanni Cassiano (360-435), per poi essere modificata da papa Gregorio Magno (540-604) il quale, omettendo la superbia, considerata madre di tutti i vizi (cfr. Sir 10,15), stabilì l’elenco settenario dei peccati capitali, così definiti perché “a capo” di tutti gli altri. Ma l’unico grande peccato, sottolinea il già citato Bianchi, è «la negazione.. della comunione, ossia la rottura con l’io, da “io con gli altri”, si perverte in “io contro gli altri”», là dove l’altro sono i fratelli, me stesso e Dio.           

Evagrio ci dà consigli pratici in questa lotta?
Anche. «Siediti da solo e ricorda le cose che ti sono capitate.. e come tutto è successo; impara con saggezza tutto quanto e affidalo alla memoria, in modo da poterlo confutare quando si presenta». Ogni volta che siamo tentati, ci dice in pratica Evagrio, la prima cosa da fare è stanare il pensiero: da dove è partito? Come si è sviluppato? E via dicendo.. Nell’opera Antirrhetikon fornisce poi un’ampia scelta di versetti, tratti dalla Scrittura, efficaci contro i singoli demòni: contro l’ira, solo per citare un esempio, propone il celebre passo tratto dalla Lettera agli Efesini «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira» (4,26). Altro potentissimo mezzo per lottare, seppur indiretto, è quello di affidarsi a un padre spirituale, colui che invita alla népsis, la “vigilanza”: «se vuoi combattere contro le falangi dei demòni.. tendi le tue orecchie alle parole del padre spirituale.. – e aggiunge – Quando ascolti le (sue) raccomandazioni.. non sottrarti all’ammonizione anche se sei giunto alla scienza». Quanto bisogno abbiamo, oggi più che mai, di chi ci aiuti a discernere quello ci accade! Le virtù, in definitiva, non si conquistano senza lotta, come dimostra la stessa etimologia della parola: virtù (areté) deriva infatti dalle azioni eroiche (aristéia). Non solo, ci sono virtù diametralmente opposte ai vizi: l’astinenza alla gola, la castità alla lussuria, l’umiltà alla superbia, ecc.. Ma, ci ammonisce Evagrio: «Allo stesso modo con cui nascondi agli uomini i tuoi peccati, così cela loro il lavoro che fai». Insomma, da una parte non dobbiamo disonorare la nostra anima, dall’altra non cadere nella vanagloria.

Ecco allora l’invocazione della cosiddetta preghiera di Gesù, o invocazione del Nome: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore».     

Recita
Giulia Tomassini, Cristian Messina

Musica di sottofondo
F. Chopin. Piano Concerto No.1 in E minor. Op.11 II.Romanze. Larghetto. Diritti Creative Commons. Musopen.org

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