Testimoni: Origene (29 Marzo)



Origene
Oggi, non conoscendo né la data della sua nascita né quella della sua morte, pronunciandolo alla latina ricordiamo il grande Orìgene, detto anche Adamanzio, “resistente come il diamante”. Quel che sappiamo della sua vita lo dobbiamo in buona parte a Eusebio di Cesarea. 

È un autore a noi molto lontano nel tempo.. quali notizie possediamo?
Nato nel 185 da genitori cristiani, probabilmente ad Alessandria d’Egitto, al tempo il centro culturale più importante dell’Impero e già famosa per la sua strabiliante biblioteca, in questa città fu redatta gran parte della versione greca della Bibbia cosiddetta dei LXX. Aveva solo diciassettenne quando, nel 202, la persecuzione di Settimio Severo si abbatté sulla Chiesa alessandrina: il padre Leonida fu gettato in prigione, e il figlio avrebbe voluto condividerne il destino, ma la madre, per farlo desistere dall’intento, gli nascose i vestiti! Riuscì solo a scrivergli un’ardente lettera, con la quale lo esortava a perseverare coraggiosamente nella sua scelta. Nel 215 o 216, durante uno dei suoi cinque viaggi visitò la Palestina, dove i vescovi Teoctisto di Cesarea e Alessandro di Gerusalemme lo invitarono a predicare nonostante fosse ancora un laico. Il primo lo consacrò presbitero. Ma il suo vescovo Demetrio, che a diciotto anni aveva chiamato Orìgene a svolgere il compito di catechista, fu offeso da questa ordinazione, conferitagli fuori dalla circoscrizione ecclesiastica di appartenenza. Eusebio di Cesarea dirà tuttavia che a muovere Demetrio sia stata l’invidia, ragion per cui quest’ultimo nel 231 convocò un sinodo nel quale, argomentando che un eunuco non poteva essere ordinato, depose Orìgene dal “sacerdozio”. Alla morte del vescovo, avvenuta l’anno seguente, l’Adamanzio ritornò ad Alessandria, ma Eraclio, il nuovo vescovo, gli rinnovò la scomunica. Di fronte ad una tale situazione, cui si sommavano le «accuse di eresia», Orìgene lasciò per sempre l’Egitto. Le condanne, che colpirono nel tempo la dottrina di colui che è ritenuto da tanti il più grande genio teologico della Chiesa, lasciano tutti addolorati e molti perplessi, a parere del teologo Umberto Neri (1930-1997) «una ferita che la Chiesa porta nel suo corpo e che ancora non è del tutto rimarginata».  

Per quali ragioni venne condannato?
Fu un autore prolifico come nessun altro, al punto che Epifanio di Salamina stimava in 6.000 il numero delle sue opere, una cifra che, probabilmente esagerata (Girolamo assicurava non più di 2.000 titoli), rende comunque l’idea della sua vasta produzione. Attraverso lo scritto e il parlato fu protagonista di prese di posizione radicali, ad esempio riguardo alla creazione dall’eternità, mentre la cristianità sostiene quella all’inizio del tempo; oppure il cosiddetto subordinazionismo del Padre al Figlio (definitivamente negato dal Concilio di Nicea del 325); oppure, ancora, la temporaneità delle pene infernali. «Orìgene – afferma Pier Franco Beatrice, docente di Letteratura cristiana antica all’Università di Padova fino al 2018 – rimase sempre affezionato alla dottrina tipicamente greca, di derivazione platonica.. che gli verrà continuamente rimproverata al punto da costargli diverse condanne nei secoli successivi.. (tuttavia) queste speculazioni ardite.. egli le usò più come ipotesi di ricerca teologica che non come verità incontrovertibili, e che, in fondo, lo scopo che si proponeva era quello di salvaguardare i principi basilari della morale ortodossa». 

Quali sono, se così possiamo dire, i capisaldi della sua dottrina?
L’argomento è tutt’altro che semplice, proviamo allora a semplificarlo, per quanto possibile. Diciamo anzitutto che la sua dottrina è basata su tre punti fondamentali, primo dei quali l’allegorismo nell’interpretazione delle Sacre Scritture, ispirate, secondo lui, perché sono la parola e l’opera di Dio. Ma l’autore ispirato, lontano dall’essere uno strumento inerte, ha il pieno possesso delle sue facoltà, è consapevole di ciò che sta scrivendo. Ci sono diverse imperfezioni nella Bibbia, certo, ad esempio ripetizioni e discontinuità, ma anch’esse ci conducono all’allegoria e al significato spirituale. In secondo luogo la subordinazione delle Persone Divine, ma su questo occorre premettere che la lingua della teologia non era al tempo ancora perfettamente sviluppata, e Orìgene fu il primo ad affrontare questi problemi così complessi. Apparirà allora, che la subordinazione delle Persone divine, così grandemente utilizzata contro Orìgene dai suoi avversari, consisteva generalmente in differenze di attribuzioni (il Padre “creatore”, il Figlio “redentore”, lo Spirito “santificatore”) che sembravano assegnare alle Persone divine un diverso campo d’azione, o nella pratica liturgica di pregare il Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo. Orìgene affermava inoltre che «in principio tutte le nature intellettuali furono create uguali e simili», con la differenza data da un uso diverso del libero arbitrio: gli spiriti creati buoni e felici si stancarono della loro felicità e precipitarono. Da quel momento si creò la gerarchia degli angeli, che, secondo l’Adamanzio, possono peccare come gli umani, pentirsi ed ottenere il perdono divino. Era insomma convinto che un angelo potesse diventare demone e viceversa, attraverso il perdono dei peccati, poiché la crocifissione e la resurrezione di Gesù sarebbero avvenute per tutti, angeli e demoni compresi.

Cosa riguarda invece il terzo tratto caratteristico della sua dottrina?
«Noi pensiamo che la bontà di Dio – affermava – , attraverso la mediazione di Cristo, porterà tutte le creature ad una stessa fine». Era convinto che alla fine dei tempi la redenzione universale si sarebbe realizzata per tutte le creature, compresi Satana e la morte. Vien da sé che, secondo questa logica, l’inferno avrebbe un carattere provvisorio e di “sola” purificazione. A parer suo Dio avrebbe insomma creato all’inizio solo spiriti razionali che, dopo la loro disobbedienza al Creatore, si sarebbero trasformati: alcuni in angeli, altri in esseri umani, altri ancora in demoni. Ma alla fine tutti saranno salvati indistintamente, perfino il demonio, affinché l’amore di Dio «sia tutto in tutti» (cfr. 1Cor 15,28). Quest’ultima è la cosiddetta dottrina dell’apokatàstasis, dal greco “restaurazione, ritorno allo stato originario”. 

All’interno della sua vastissima produzione, cosa val la pena sottolineare?
Orìgene è stato uno scrittore enormemente prolifico e, anche se la maggior parte delle sue opere è andata perduta (ad esempio il commento a Genesi e quello sui Salmi), ha prodotto innumerevoli omelie, oltre a svariati commenti teologici e spirituali (su tutti quello al Cantico dei Cantici e al Vangelo di Giovanni), al punto da far dire al già citato Beatrice: «mai più saranno raggiunte le vette della sua speculazione teologica e spirituale». L’Adamanzio può essere considerato inoltre il creatore della filologia biblica cristiana, il fondatore della scienza biblica tout court. «Le difficoltà del senso letterale (delle Sacre Scritture) – commentano Manlio Simonetti ed Emanuela Prinzivalli, entrambi docenti di Storia del cristianesimo all’Università La Sapienza di Roma – , siano esse incongruenze narrative, o contenuti sconcertanti, (per Orìgene) sono segnali posti dallo stesso spirito divino per incitare alla ricerca del senso nascosto». Gli va dato merito inoltre di aver inaugurato quella che diventerà la lectio divina, ovvero la lettura sistematica della Bibbia volta all’edificazione del monaco e non solo. Suo è anche il primo commento al Padre Nostro in lingua greca, senza dimenticare la sua opera forse più famosa, Contro Celso, otto libri apologetici (dal greco “discorso in difesa”) in cui confuta, una per una, le accuse che il filosofo pagano aveva mosso al cristianesimo nella sua opera intitolata La dottrina vera e che, per circa settant’anni, non aveva trovato ancora risposta. Significativa ad esempio la posizione che Orìgene assume contro di lui rispetto al concetto di patria: «Celso vorrebbe che noi assumessimo cariche nell’esercito, per difendere la patria. Sappia che la patria noi la difendiamo, ma non per essere visti dagli uomini e averne una piccola gloria.. I cristiani giovano alla patria più degli altri uomini, perché essi istruiscono i loro concittadini, li ammaestrano nella pietà verso il Dio di tutti gli esseri, e fanno salire alto ad una divina e celeste città coloro che vivono rettamente in queste piccole città».. ecco allora la vera patria, quella “terra dei padri” che, precedendoci, là ci attendono insieme al Padre con la P maiuscola! 

Insomma uno scrittore gigantesco..
Proprio così, ma forse il suo merito più importante fu quello di iniziare nella scuola di Cesarea Marittima – in cui dimorò dal 232 alla morte – lo studio filologico del testo biblico, metodo che in seguito avrebbe influenzato anche Girolamo. Orìgene realizzò gli Exapla, vera e propria edizione critica della Bibbia esposta, come recita il titolo stesso, in “sei versioni” disposte su altrettante colonne: il testo ebraico originale, quello traslitterato in greco (per facilitarne la comprensione, dato che l’ebraico non ebbe vocali almeno fino al VII secolo), la cosiddetta traduzione greca di Aquila, quella di Simmaco l’Ebionita, la celebre traduzione dei Settanta e infine quella di Teodozione. 

Si dice che Orìgene arrivo persino ad autoevirarsi, è vero?
Frequentando le scuole filosofiche, specialmente quella di Ammonio Sacca, che fu anche maestro del celebre Plotino, si dedicò allo studio dei filosofi, in particolare di Platone e degli Stoici. Imparò l’ebraico e, verso il 210, il suo estremo rigore ascetico nel seguire le Sacre Scritture lo portò ad evirarsi, pratica non del tutto sconosciuta nel cristianesimo delle origini. Secondo alcuni autori è per questa automutilazione che Demetrio non lo volle mai ordinare presbitero. «Anche per evitare dicerie sul suo uditorio femminile del Didaskaleion – sottolinea il Beatrice –  , non esitò ad autoevirarsi, suggestionato dalla parola di Gesù sugli eunuchi per il Regno dei cieli. A distanza di parecchi anni, commentando questo versetto evangelico, riconoscerà che esso va interpretato allegoricamente, ma il gesto audace compiuto in giovanissima età dice da solo la tempra e il carattere dell’uomo, che per tutta la vita fu tormentato dall’aspirazione alla perfezione religiosa, fino alle vette del misticismo». 

Si è detto che ebbe molti detrattori, ci fu invece chi ne seguì le orme?
La sua reputazione crebbe con autori quali Panfilo di Cesarea, Gregorio Nazianzeno e Basilio Magno, ma anche Evagrio Pontico e Massimo il Confessore, Gregorio di Nissa, che definiva Orìgene «principe della cultura cristiana». Lo stesso Girolamo fu in qualche modo tra i suoi principali imitatori latini, come pure Eusebio di Vercelli, Ilario di Poitiers, Ambrogio e papa Damaso I, solo per citare i più noti. 

Quando morì?
Sotto l’imperatore Decio fu imprigionato e barbaramente torturato, per cui è probabile che la sua morte, nell’anno 253 o 254 (quando ne aveva 69), avvenne a causa delle sofferenze patite durante tale persecuzione. Passò i suoi ultimi giorni a Tiro, nella cui cattedrale, per molto tempo meta di pellegrinaggio, fu sepolto con tutti gli onori come confessore della Fede. Oggi, poiché della cattedrale resta solo un cumulo di rovine, il luogo esatto della tomba ci è sconosciuto. Ma Orìgene ci esorta: «Fin d’ora.. il nostro “corpo corruttibile” si rivesta di santità e di “incorruttibilità”; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell’immortalità del Padre (cfr. 1Cor 15,54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione». 

«Grazie, Signore, per averci donato un testimone così curioso e appassionato della tua Parola: ti chiediamo, per sua intercessione e sul suo esempio, di amarti e conoscerti sempre meglio, riuscendo in questo a contagiare anche i fratelli e le sorelle che ogni giorno ci regali». 

 

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