Testimoni: Blaise Pascal (27 Maggio)



Blaise Pascal (27 Maggio)
In un articolo del 27 maggio 2012, l’allora direttore di Repubblica Eugenio Scalfari, dal passato dichiaratamente ateo, scrisse una lettera aperta a papa Benedetto XVI, che si chiudeva così: «..Se volesse dire qualche cosa di veramente attuale Papa Ratzinger dovrebbe dare inizio alla beatificazione di Pascal ma mi rendo conto che.. questo sì, sarebbe un gesto radicale verso la modernità..». Un’esplicita proposta di beatificazione! Per ora ci limitiamo a farlo rientrare nella nostra rubrica Testimoni, tra l’altro proprio nel giorno di tale proposta, poi chissà.. 

In quale periodo storico, e non solo, ha luogo la sua vicenda?
Nasce il 19 giugno 1623 a Clermont Ferrand, in Francia, secondogenito di Étienne Pascal, amministratore finanziario, e Antoinette Bégon. Cresce con due sorelle che si riveleranno decisive per lui: Gilberte, tre anni più grande di lui, e Jacqueline, più piccola di due. I tre bambini rimangono orfani di madre rispettivamente a sei, tre e un anno, ragion per cui alla loro educazione pensa il padre, che non si avvale né di collegi né di precettori. Tutti e quattro si trasferiscono a Parigi nel 1631, ma la salute di Blaise, che aveva solo otto anni, desta già preoccupazione. 

Quando inizia la sua “carriera” intellettuale?
Il futuro matematico, fisico, filosofo e teologo, a diciassette anni pubblica il suo primo scritto, di carattere scientifico: Essai sur les coniques (“Saggio sulle coniche”), ma una prima svolta avviene quando di anni ne ha ventitre, che coincide con la sua prima conversione, al Giansenismo però, una corrente religiosa dichiarata eretica e facente capo al vescovo olandese Cornelius Otto Jansen, latinizzato poi in Giansenio, che mirava ad un ritorno alla purezza evangelica. Nel 1651 la morte del padre lo fa entrare in possesso della sua eredità con la quale inizia un “periodo mondano”, che lo vede girare tra un salotto e l’altro. Ma la più decisiva fu la seconda conversione, questa volta al Cristianesimo: nel 1654 infatti, dopo una forte crisi religiosa, si riavvicina alla sorella Jacqueline e, nella notte del 23 novembre, riceve “l’illuminazione”, la cui eco è affidata al celebre Memoriale, scritto che inizia con «“Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe”, non dei filosofi e dei dotti. Certezza. Certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo.. – e prosegue – “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto”. Gioia, gioia, gioia, lacrime di gioia. Io me n’ero separato.. – per concludersi con – Sottomissione totale a Gesù Cristo e al mio direttore. Eternamente in gioia per un giorno di esercizio sulla terra». Scritto che, secondo il teologo Romano Guardini non costituisce, come molti pensano, un manifesto fideistico di Pascal, tutt’altro, egli con queste righe non rinnega affatto il suo passato filosofico-scientifico, ma lo supera attraverso l’esperienza mistica. 

Insomma un avvicendarsi di cambiamenti.
Proprio così. Nel 1647, tuttavia, si era trasferito nuovamente a Parigi, questa volta con la sorellina Jacqueline, per potersi curare da disturbi dalla difficile diagnosi, e nello stesso anno aveva attaccato vivacemente padre Noël, uno dei maestri di Cartesio (che morirà tre anni dopo) nonché rettore del collegio dei Gesuiti di Clermont. Decisiva fu inoltre l’entrata della stessa Jacqueline nel convento di Port-Royal, al tempo un’antica abbazia cistercense situata a sud-ovest di Parigi, divenuta poi famosa per la comunità religiosa di orientamento giansenista che vi si sviluppò tra il 1634 e il 1708, anno in cui fu distrutta per ordine di Luigi XIV. Dell’abbazia, meta di pellegrinaggi e viaggi intellettuali, sono oggi visibili solo le rovine. 

Quali altri influssi ebbe questo luogo su di lui?
A Port-Royal il 24 marzo 1656, la nipote Margherita Périer guarisce da una fistola lacrimale grazie all’imposizione di una reliquia appartenente (forse) alla corona di spine di Cristo. Blaise, fortemente impressionato per l’accaduto, comincia a prendere appunti per alcune Lettres sur les miracles: punto di partenza per una futura Apologia del Cristianesimo. Nel 1661, sempre a Port-Royal, muore Jacqueline, entrata in quel convento nove anni prima.

Un passaggio, quello dalla sua vita di uomo di scienza prima a teologo poi, che non deve essere stato del tutto indolore..
Pascal nasce infatti come grande matematico e fisico, tant’è che inventa la pascalina, rudimentale macchina calcolatrice per aiutare il padre a fare i calcoli più velocemente e con meno sforzo. Pascal matematico e fisico che non risparmia di muovere anche critiche alla scienza. Ma l’approdo alla teologia non gli faranno dimenticare il suo sapere scientifico. Il principio di autorità, solo per fare un esempio, a suo parere vale unicamente in teologia: ciò che dice la Scrittura è vero solo teologicamente, non scientificamente. E non sempre la verità, per il fedele, è supportata dalla ragione. È col progresso che ritiene si possa aggiornare la teoria, attraverso l’esperienza e la ragione. Pascal parla di esprit de géométrie, “spirito geometrico” (matematico), che ci permette di cogliere il dimostrabile, e di esprit de finesse, “spirito di finezza” (intuitivo), che ci permette di cogliere l’indimostrabile, le verità etico-religiose, ciò di fronte a cui la scienza e la ragione restano mute. 

Cosa sappiamo, invece, dei suoi celebri Pensieri?
L’opera, cui Pascal si dedicò dal 1657 alla morte, nel suo intento avrebbe dovuto costituire una grandiosa apologia del Cristianesimo, ma la morte prematura glielo impedì. Si tratta infatti di un’opera postuma del 1670, raccolta di foglietti sparsi raccimolati dalla sorella Gilberte, sua biografa affettuosa, e più tardi riordinati dal nipote Étienne, figlio di Gilberte. Costituiscono la sua Storia di un’anima e le sue Confessioni al tempo stesso.  

Di cosa parlano precisamente?
Di molte cose, ad esempio di quanto sia misero l’uomo senza Dio: «Descrizione dell’uomo: dipendenza, desiderio d’indipendenza, bisogno. Condizione dell’uomo: incostanza, noia, inquietudine». E la più grande delle nostre miserie è «..la distrazione.. perché ci impedisce in primo luogo di riflettere su noi stessi.. ci diverte, e ci fa giungere alla morte insensibilmente». Il divertissement è per Pascal la di-strarzione, il togliersi-da, fondamentalmente da ciò che ci angoscia, ovvero la consapevolezza della nostra miserabilità, che si riflette nel nostro rapporto col tempo: «Noi non ci atteniamo mai al tempo presente. Anticipiamo il futuro come troppo lento a venire.. oppure ricorriamo al passato per fermarlo.. Il fatto è che il presente, di solito, ci ferisce. Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre tutti occupati dal passato e dal futuro. Il presente non è mai il nostro fine.. (ma) In questo modo non viviamo mai, ma speriamo di vivere; e, disponendoci sempre a essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai». 

Egli fu anche filosofo.. che rapporto ebbe col pensiero, e come giudicava i pensatori?
«L’uomo è visibilmente nato per pensare – affermò –; di qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo valore; e tutto il suo dovere nel pensare rettamente..». Una delle sue più celebri definizioni è infatti quella dell’uomo come «canna, la più fragile della natura ma una canna che pensa..». Ma la ragione non basta, e poiché «Fra noi e l’inferno o il cielo non vi è frammezzo che la vita, che è la cosa più fragile del mondo», e i mezzi per credere sono diversi, su tutti «la ragione, l’abitudine e l’ispirazione..», ecco la necessità della celebre “scommessa” da lui proposta.

Ovvero? 
Col cuore, non con la ragione si raggiunge la fede, che resta pur sempre dono. Per cui, di fronte all’impotenza della logica, all’uomo non resta che fare una scommessa: puntare tutta la sua vita (l’agire e il pensare) sull’esistenza di Dio, indimostrabile e innegabile al tempo stesso. Ma in questo nobile gioco d’azzardo l’uomo non ha nulla da perdere: «Quali ragioni hanno (gli atei) di dire che non si può risuscitare? Quale delle due cose è più difficile, nascere o risuscitare? Che quel che non è mai stato esista, o che quello che è stato continui ad esistere? È più difficile venire all’essere, o ritornarci? L’abitudine ci rende facile la prima cosa, la mancanza d’abitudine impossibile l’altra: modo volgare di giudicare!». E aggiunge: «È incomprensibile che Dio esista, ed è incomprensibile che non esista.. Dio esiste, o non esiste.. All’estremità di quella distanza infinita si gioca un gioco, in cui uscirà testa o croce. Su quale punterete? ..Valutiamo questi due casi: se vincete, vincete tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete dunque che esiste, senza esitare..». 

Prima elogia la ragione, poi sembra negarla.. come stanno esattamente le cose?
La sua concezione della vita, e della vita di fede, è di un’attualità disarmante: «Due (sono gli) eccessi: escludere la ragione, non ammettere che la ragione.. Sono pochi i veri cristiani.. Ve ne sono molti che credono, ma per superstizione; ve ne sono molti che non credono, ma per libertinaggio: pochi stanno fra i due estremi.. La fede dice bene ciò che i sensi non dicono, ma non il contrario di ciò che essi “vedono”. Essa è al di sopra, ma non contro». Detto altrimenti, in un’epoca come la nostra, che tende a sostenere unicamente ciò che è misurabile e dimostrabile con i cinque sensi, Pascal sottolinea la necessità di tenere uniti i due organi più importanti di cui disponiamo: cervello e cuore! Mai uno senza l’altro, mai! Infatti «Bisogna saper dubitare quando è necessario; cautelarsi quando è necessario; sottomettersi quando è necessario.. Sottomissione e uso della ragione; in ciò consiste il vero cristianesimo». Come dargli torto?

Insomma Fides et ratio, per dirla con la famosa enciclica di Giovanni Paolo II..
Proprio così: «Se si sottomette tutto alla ragione – precisa Pascal – , la nostra religione non avrà niente di misterioso e di soprannaturale. Se si offendono i principi della ragione, la nostra religione sarà assurda e ridicola».. ed ecco quella che è forse la sua più celebre affermazione a riguardo: «Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce affatto.. Noi conosciamo la verità, non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore». Un apparente paradosso, come del resto il cristianesimo stesso che, è ancora lui a dirlo, «Impone all’uomo di riconoscere che è vile, anzi abominevole e gli comanda di voler essere simile a Dio». Una ragione, ancora, capace al tempo stesso di accettare i miracoli, «poiché occorre convincere completamente l’uomo, nel corpo e nell’anima». 

Che meraviglia!
Il 19 agosto 1662 questa mente colossale salutò la patria terrena per quella beata, a soli 39 anni e due mesi. Le sue spoglie mortali si trovano oggi nella chiesa di Saint-Étienne-du-Mont, che si vanta di custodire altre celebri reliquie: quelle di santa Geneviève, Genoveffa, patrona di Parigi. 

Oggi come non mai, rendici sempre pronti Signore, sull’esempio di Blaise Pascal, a «rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi» (cfr. 1Pt 3,15).  

 

Recita
Vittoria Salvatori, Cristian Messina

Musica di sottofondo
Libreria suoni di Garage Band

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