Testimoni: Beato Alberto Marvelli (5 Ottobre)



Beato Alberto Marvelli (5 ottobre)
Oggi la Chiesa ci dona di celebrare Alberto Marvelli. Nato il 21 marzo 1918 a Ferrara, secondo di sette fratelli, a 12 anni si trasferisce con la famiglia a Rimini, città con la quale formerà un connubio indissolubile. Quattro anni dopo, sulla scia dello stimato salesiano Domenico Savio, esattamente l’8 dicembre 1934 – come annota nel suo diario – si consacra a Maria. 

Beh, se il buongiorno si vede dal mattino, una vita già avviata verso la santità..
Sì, ma al prezzo di tanti sacrifici e forza di volontà! «Una meta mi sono prefisso da raggiungere ad ogni costo – scriverà lui stesso – , con l’aiuto di Dio.. (è quella di) Essere santo.. Forse è presunzione? ..lo sai Signore che io nulla posso da me.. da parte mia cercherò di mettere la maggior volontà possibile». E questo a partire dall’impegno scolastico: sempre fra i migliori della classe, composta di dodici alunni, emerge per le sue qualità morali. Frequenta il Liceo classico assieme a quello che diventerà un altro riminese doc: Federico Fellini, di qualche anno più giovane. I due compaiono tra l’altro in una foto di gruppo del ’36. Intervistato anni dopo, il grande regista così lo ricorda: «Dolce, biondo, esemplare». Il 30 giugno 1941, a 23 anni, si laurea in ingegneria meccanica a Bologna, ma pochi giorni dopo è costretto a partire militare per Trieste.

Come prosegue la sua vita?
Lasciamo che sia lui stesso a dircelo, attraverso le sue lettere, che potrebbero essere centinaia, ma gli eventi, la guerra su tutti, ci ha consegnato un epistolario di sole 76, oltre a 11 cartoline. Le prime, scritte tra il 1936 e il 1946, sono indirizzate a diverse persone, in particolare all’amico Luigi Zangheri, che chiama affettuosamente “Gigino”, di cui fu testimone di nozze e padrino della figlia primogenita. A lui scrive soprattutto dell’Azione Cattolica, che gli faceva battere il cuore e spendere la maggior parte delle energie anche lontano da Rimini: ovunque si trovi non cessa di “salutarlo e abbracciarlo in Cristo”, espressioni neotestamentarie con le quali spesso termina le sue missive. Non solo, diversi scritti iniziano di frequente in tono liturgico, sottolineando la festa che quel giorno il calendario della Chiesa cattolica propone, approfittandone ad esempio per augurare un buon onomastico ai suoi destinatari. Dodici sono poi indirizzate alla famiglia, di cui, dopo la morte del padre e la partenza del primogenito Adolfo per Torino, Alberto diventa il perno, nonostante i suoi soli 17 anni. 

Che tono hanno le lettere scritte ai familiari?
Ben cinque di esse sono indirizzate a Raffaello, verso il quale riserva le maggiori attenzioni. Inviato al fronte russo a vent’anni: «Il Signore è con te anche laggiù – gli scrive – Nella preghiera quotidiana supero di un balzo i 4000 km che ci separano e vengo da te», il caro Lello, così lo chiama affettuosamente, non farà più ritorno.. Bellissima poi quella che Alberto compone a soli otto anni per i suoi genitori, in occasione del Natale 1926: «vi scrivo questa letterina per dirvi che vi amo e.. Per onorare Gesù Bambino vi prometto che se finora vi ho fatto inquietare.. disubbidito.. insomma sono stato cattivello, vi prometto che in avvenire non sarà più così..». All’amata mamma ne invia una per l’onomastico del 12 settembre, giorno in cui la liturgia celebra il nome di Maria: «Mai potrò ricambiare tanto bene ricevuto, posso solo offrire la mia vita a Dio, perché sempre ti protegga.. Il babbo, che ha apprezzato appieno le tue virtù, dal cielo ti sorride e ti benedice». Alla sorellina più piccola Geltrude, per lui Gede, fa sentire la sua vicinanza nei giorni precedenti la prima Comunione, esordendo alla san Paolo: «La Grazia del Signore sia con te», per abbracciarla infine, ovviamente, “nel Signore”. 

Attraverso quale cammino concretizzò la sua vocazione: divenne prete? Monaco o frate? Si sposò?
Niente di tutto ciò. Ma diamogli ancora la parola, o meglio la penna, tornando alla corrispondenza epistolare che ebbe con Marilena Aldé, di quattro anni più giovane, ragazzina originaria di Lecco che conobbe a Rimini e con la quale scoprì di avere una certa sintonia spirituale: «Sento nostalgia per il Cielo – le scrive il 18 maggio del ’43, poco dopo la morte dell’amato Lello – , e mi preparo alla chiamata, ma forse non ne sono ancora degno. Voglio sforzarmi, purificarmi, santificarmi per poter dire al più presto: Signore sono pronto, fai di me ciò che vuoi». Tale sintonia con Marilena sfocia, dopo che Alberto ha pensato a lungo d’esser chiamato a diventare prete, in una richiesta di nozze: «è da lunedì che ho sentito di nuovo battere il mio cuore per te..». Ma ormai è troppo tardi, si sta fidanzando col dottor Pozzi, e forse Alberto l’ha capito: «Scrivimi pure quando credi, quello che senti, con tutta sincerità e lealtà: sono forte abbastanza per non scoraggiarmi.. amo troppo il Signore per ribellarmi e piangere su quella che evidentemente sarebbe la Sua volontà, ed infine amo te tanto, che desidero solo la tua felicità, a costo anche di miei sacrifici e rinunce». Che meraviglia! 

Allora si sposò con qualcun’altra.. 
Nemmeno. Se il 15 dicembre 1941 va a lavorare alla FIAT di Torino, dove si occupa della mitica 600 (al tempo in fase di progettazione), nel marzo del ’43 viene richiamato di nuovo alle armi, vicino a Treviso. Ma la sua è stata, e resterà, una meravigliosa pagina di laicato cristiano: «Ha mostrato come nel mutare dei tempi e delle situazioni – dirà di lui Giovanni Paolo II – , i laici cristiani sappiano dedicarsi senza riserve alla costruzione del Regno di Dio nella famiglia, nel lavoro, nella cultura, nella politica, portando il vangelo nel cuore della società». Non si distinse solo in qualità di vicepresidente diocesano di Azione Cattolica, o di presidente dei Laureati Cattolici, nemmeno solo in quanto membro del direttivo della Democrazia Cristiana, ma ovunque, sempre e con chiunque.

Qual era il suo “segreto”, se così possiamo dire?
Senz’ombra di dubbio il rapporto che aveva con Dio e il suo non-rapporto col peccato. Per capire chi è “il Dio di Alberto” dobbiamo tornare alla prima pagina del suo diario in cui, a soli 15 anni, così esordisce: «Dio è grande, infinitamente grande, infinitamente buono». Mentre due anni dopo, il giorno di Pasqua del ’35, annota: «Gesù, piuttosto morire che peccare.. La via della perfezione è difficile, lo so, ma col tuo aiuto nulla è impossibile». La preghiera con cui si relaziona al divino è in primis un faccia a faccia col Gesù del Getsemani, o quello crocifisso; non a caso, dopo l’incidente mortale, gli furono trovati in tasca il fedele rosario e nel portafoglio l’immagine di santa Gemma Galgani, innamorata come lui del Cristo agonizzante e crocifisso, appunto. «Una santa cara ad Alberto Marvelli. – afferma don Diego Zorzi – Ora ne comprendiamo la ragione». Non solo, quel tragico giorno sul suo comodino sostava, oltre al Vangelo, un libro intitolato Getsemani..

Quanto al suo non-rapporto col peccato, invece?
«Fra me e satana – scrive a 17 anni – vi è sempre guerra dichiarata». E aggiunge: «Se fino ad ora sono stato un po’ incerto, ora non vi devono essere più incertezze; la via è presa: tutto soffrire, ma non più peccare.. fuggire le occasioni del male.. procurarsi occasioni di bene». Basterebbe la seconda! E si dà uno “schema di vita” spirituale che contempla, oltre alla preghiera e alla meditazione, addirittura «qualche pena fisica». In questa battaglia è aiutato dal suo padre spirituale, don Tonino Bartoli, parroco di san Vitale a Bologna che Alberto conobbe nei suoi anni universitari: «Ho trovato finalmente.. il confessore e direttore spirituale che desideravo da tempo», annota a 21 anni. Già, perché il padre spirituale, al contrario di quello “carnale”, è il figlio a sceglierlo.. Ma un anno prima aveva già preso una direzione ben chiara: «Fare il punto. Questa frase si usa spesso in marina per orientarsi.. Ma la si può dire molto a ragione per la vita spirituale.. per constatare il cammino compiuto, per vedere se vi è un progresso o un regresso.. (per) porre ogni nostra fatica, lavoro, divertimento sotto lo sguardo di Dio affinché Egli sia sempre presente in noi.. Il silenzio è il mezzo ottimo per santificarsi, per non dire sciocchezze e commettere meno peccati, per abbassare l’orgoglio, esercitare l’umiltà e la pazienza, ed imparare a conversare con Dio. Devo assolutamente vincere i miei scatti di impazienza.. Questo in breve il programma della mia vita, a cui voglio attenermi da oggi, 22 settembre 1938.. Morire, ma non peccare». 

Insomma un’intensa vita di preghiera e azione..
Proprio così, là dove l’azione, però, nasceva anzitutto da uno sguardo preciso sulla realtà. «Esattamente 45 giorni prima di morire – scrive don Fausto Lanfranchi, suo conoscente e biografo – Alberto fa questo rigoroso esame di coscienza»: «Qui casca l’asino, è inutile pretendere di voler farsi santi.. se non si medita, se si corre dietro ad ogni pensiero anche frivolo, se non si è capaci di imporsi un più vivo raccoglimento, un senso critico (buono) di osservazione, un’autonomia di riflessione nell’esame dei problemi, una sensibilità viva per tutti quei fenomeni spirituali, politici, sociali, religiosi che si verificano intorno a noi.. – e conclude – Il Signore mi ha dato una intelligenza, una volontà, una ragione.. devo adoperarle, tenerle in esercizio, farle funzionare. Se non si adoperano, si arrugginiscono e si finisce per essere delle nullità, dei terra terra, dei lombrichi che strisciano, senza un’idea buona, geniale, ardita, degli ingrati..». È il 23 agosto 1946. Il già citato Zorzi sottolinea inoltre come il verbo meditare sia una parola chiave del vocabolario marvelliano: «sempre un pensare a fondo sulle cose, ma con gli occhi piantati in Dio». Quegli occhi che faticava a distogliere dall’Eucaristia («io lo guardo e Gesù mi parla»), di cui non poteva quotidianamente fare a meno, al punto che «senza l’Eucaristia, Alberto Marvelli è veramente impensabile».        

Questo spaccato non rischia di consegnarci una figura di santo un po’ “inarrivabile”?
Sì, se non la tenessimo unita ad altri aspetti della sua vita, ad esempio quelli legati alla concezione che aveva del corpo, capace di esprimersi in modo speciale nello sport, che, anche se in forma non agonistica praticò ampiamente, come certificano le diverse fotografie che lo ritraggono: calcio, trekking in montagna, ciclismo, nuoto, pallavolo, tennis, atletica leggera e sci.  Nel 2014 esce un libro, Atleti con l’anima, che mette in evidenza il ruolo dello sport nella prima parte della vita: «Come si cerca con l’allenamento di migliorare le nostre possibilità fisiche, così – disse Alberto rivolgendosi ad un gruppo di giovani – la nostra anima si spinga in una continua ascesa, in un volo, verso la perfezione, verso il Cielo». Quel cielo cui poteva avvicinarsi raggiungendo le più alte vette: «ritornato a Bologna a studiare, dopo venti giorni passati al mare e dieci in montagna – scrive nel settembre del ’38 – , sono entusiasta di questa ultima, ma profondamente turbato dalla vita che si conduce al primo.. Il mare, come vita di spiaggia, è la negazione del bene.. Ma perché al mare deve essere tutto permesso..? ..La montagna: se io non amassi Iddio, credo che arriverei ad amarLo stando in montagna. Che pace, che serenità, che bellezza: tutto ci parla di Dio.. Solo un Dio infinitamente grande e misericordioso poteva creare cose tanto belle».

Come e quando è morto Alberto?
Alle 20:30 di sabato 5 ottobre 1946, a soli 28 anni, dopo aver cenato in fretta e furia inforca la sua amata bici per l’ultimo comizio politico a san Giuliano a Mare, in vista delle elezioni amministrative del giorno dopo, a duecento metri da casa un camion militare alleato lo colpisce alla testa con il gancio di una sponda.. Soccorso immediatamente dalla mamma che – dopo aver già perso prematuramente il marito, poi un figlio piccolo (anch’egli travolto da un auto, sotto i suoi occhi), quindi Lello sul fronte russo, e con Carlo prigioniero in Egitto – se ne vede morire tra le braccia un altro, dopo due ore di agonia trascorse in ospedale. Ma la sua, sottolinea lo Zorzi accodandosi al Lanfranchi, non fu «una vita stroncata ma.. pienamente compiuta»: in 28 anni ha vissuto infatti come pochi altri. E aggiunge: «L’8 ottobre 1946 (infatti), più che un funerale è un vero trionfo: c’è il sindaco socialista con la giunta, un interminabile corteo di circa tre chilometri, suonano le campane, si abbassano le saracinesche.. C’è davvero tutta Rimini, che non dimentica l’instancabile efficiente “ingegnere” della sua ricostruzione». Dal 1944 è infatti a capo della commissione edilizia: rasa al suolo per l’82,5% (seconda solo a Cassino tra le città più devastate), qualcuno la “capitale romagnola del turismo” aveva perfino pensato di non ricostruirla più! Quell’assessore, invece, non conosce orari di lavoro, riceve tutti (in primis i poveri) e si arrabatta con la sua bicicletta (dopo averlo fatto tra le bombe) senza posa. Alberto è un riflessivo, nonostante quando ci sia da menar le mani, per difendere i più deboli, non si tiri indietro, anzi. Nel 1945 l’amico Benigno Zaccagnini lo sollecita a buttarsi in politica, nella Democrazia Cristiana. A chi storce il naso di fronte a tale scelta risponde «Per me l’apostolato ora è questo». Questa “forma più alta di carità”, come amava spesso definirla Paolo VI, lo porterà all’incontro col suo Signore..   

Non fece insomma una “bella vita”, ma una “vita bella”!  
Il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, anch’egli avviato alla santità, si chiedeva come Alberto potesse essere un esempio per i giovani di allora: «il problema delle generazioni nuove è, oggi – siamo nel 1972 – ..quello della loro vita interiore, del loro modo di unione con Dio, della loro vita di grazia». Prolungando la sua domanda al nostro “oggi”: cos’ha da dire ai giovani in questo momento storico una figura come quella di Alberto? Come studente, soldato, laico impegnato, politico, uomo di sport ecc.. cosa ci sta dicendo in questo momento? Certo i tempi sono cambiati, ma la sostanza di cui questo giovane si fa latore no. 

Il 5 ottobre 1974 la sua salma è stata traslata nella chiesa di sant’Agostino, in pieno centro storico, dove si trova tuttora; il 22 marzo 1986 è proclamato venerabile, mentre il 5 settembre 2004, a Loreto, il futuro san Giovanni Paolo II lo proclama beato. Rimini, da sempre conosciuta come “capitale del turismo”, non è solo questo, anzi, la fioritura di santi in questa diocesi lo testimonia: cominciamo col passare a trovare Alberto: ci sta aspettando..

 


 

Recita
Riccardo Cenci, Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.Williams. Schindler's List Theme. www.archive.org. Diritti Creative Commons
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