Testimoni: S.Francesca Saverio Cabrini (22 Dicembre)



S.Francesca Saverio Cabrini (22 Dicembre)
«Non si fece intimorire da Vescovi e Cardinali, perché incarnava la dignità della donna nella semplicità e tenacia della sua vocazione. Sapeva di avere ricevuto un dono. Non poteva non condividerlo». Con queste parole l’arcivescovo Salvatore Fisichella, detto Rino, introduce la breve biografia su santa Francesca Cabrini realizzata da padre Massimiliano Taroni. Se quest’ultimo è un agiografo attivissimo, avendo scritto oltre ottanta vite di santi, Rino Fisichella condivide tuttavia un luogo caro alla Cabrini: Codogno, quindicimila anime in provincia di Lodi balzate alla cronaca ai tempi del Coronavirus, dato che nel comune lombardo si era riscontrato il famoso “paziente 1” affetto da Covid-19.   

Quando iniziò l’avventura della festeggiata di oggi?
Il 15 luglio 1850, a Sant’Angelo Lodigiano nasce la decima creatura di Stella Oldini e Agostino Cabrini: Maria Francesca, immediatamente soprannominata Cecchina per via della sua minuta corporatura. Questa gigantesca nidiata però non sopravvisse a lungo, dato che sei figli morirono prematuramente. Siccome la primogenita era gravemente ammalata, Cecchina fu cresciuta soprattutto dalla secondogenita Rosa, al tempo quindicenne. A tirarla su ci pensò anche lo zio Luigi, parroco di Livagra, paesino circondato da una fitta rete di canali. In uno di essi – il Venera – Francesca un giorno «fece delle barchette di carta – scrive il Taroni – , ci mise dentro delle violette.. e le affidò alle acque: sognava ad occhi aperti e immaginava in quelle barchette il suo viaggio verso la lontana Cina dove voleva essere missionaria con altre compagne (..le violette..); per l’emozione e per essersi sporta troppo – la voce è ancora quella del biografo – , Cecchina cadde nel canale e, senza saper nuotare, misteriosamente riuscì ad uscire indenne.. Prese comunque una bella bronchite e da lì sorse in lei una fobia per l’acqua (anche se in futuro attraverserà più di una trentina di volte l’Oceano Atlantico!)».

Quale fu, da quel momento, il suo percorso?
Studiò nel collegio di Arluno (e l’Atlante era decisamente il suo libro preferito!), dalle Figlie del Sacro Cuore, in cui rimarrà fino ai 18 anni, salvo poi tornarci per chiedere di entrare in quell’ordine: «sei troppo gracile», fu la risposta, identica a quella proferita dalle Canossiane di Crema. Nel frattempo – siamo nel 1870 – morì mamma Stella, mentre due anni più tardi su Sant’Angelo Lodigiano si abbatté un’epidemia di vaiolo, “sfida” cui Cecchina non si sottrasse, prodigandosi per curare i malati, e rimanendo ella stessa contagiata. In quel periodo, ad appena 35 chilometri, nella già citata Codogno due giovani diedero vita ad una minuscola comunità: le Sorelle della Provvidenza. Ma la convivenza tra Maria Teresa e Antonia era faticosa, così, su insistenza dei parroci di Codogno e Sant’Angelo, oltre che del vescovo di Lodi, Francesca acconsentì a diventare la terza, a patto però di farlo solo per una quindicina di giorni.. diventarono sei anni! Ma la convivenza fra le tre, di cui Cecchina era diventata superiora, durò fino al 1880, anno in cui il vescovo soppresse l’Istituto. Saputo tuttavia che voleva farsi missionaria, le propose di fondarlo lei stessa un istituto, così la giovane trentenne, insieme ad altre sette giovani già aggregatesi a lei, nel dicembre dello stesso anno fondò le Missionarie Salesiane del Sacro Cuore. Non solo, in quel frangente Francesca volle aggiungere al suo nome quello del grande gesuita missionario Saverio. Come se non bastasse, per non fare troppa confusione eliminò il termine “Salesiane” dall’ordine, che nel giro di un paio d’anni moltiplicò le proprie case. Ma Cecchina non era soddisfatta, si recò infatti dal papa col doppio intento di far approvare il suo Istituto e aprire una casa anche nella capitale. Ma la Provvidenza, che la stava aspettando proprio nella città eterna, aveva ben altro in mente per lei.. 

Ovvero?
A Roma si trovava il vescovo comasco Giovanni Battista Scalabrini, particolarmente sensibile al tema dell’emigrazione, aveva infatti fondato i Missionari di San Carlo con l’obiettivo di assistere gli italiani all’estero, che in quel periodo stavano emigrando in massa: tra il 1876 e il 1914 lasciarono infatti la patria circa diciotto milioni di connazionali, destinati maggiormente verso Brasile, Argentina e Stati Uniti.  Tali missionari avevano come obiettivo proprio quello di accogliere coloro che, giunti poverissimi e senza lavoro, venivano ghettizzati nelle varie Little Italy. I due si incontrarono e il monsignore le propose di inviare le sue suore a New York. La risposta si fece attendere un anno, se non altro perché suo sogno era stato fin da piccola la Cina; ma Francesca, ricevuta da papa Leone XIII – col quale parlò della proposta dello Scalabrini – si sentì dire dal pontefice: «Non all’Oriente ma all’Occidente!». Così il 23 marzo 1889 alcune suore si unirono ai 1500 emigranti che, stipati nella nave che li porterà nella “terra della libertà”, videro i 93 metri della gigantesca statua che di quest’ultima vorrebbe essere l’emblema. Tale colosso, il cui nome completo è la Libertà che illumina il mondo, è frutto della collaborazione tra Frédéric-Auguste Bartholdi e il celebre Gustave Eiffel, fu infatti un dono della Francia. Raffigurante la dea Ragione, che nella mano destra regge la fiaccola simbolo del fuoco eterno della libertà (da cui il nome), e nella sinistra la data del 4 luglio 1776 (giorno della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti) mentre ai piedi porta le catene spezzate (altro simbolo di liberazione), in testa è coronata da sette punte che rimandano al numero dei mari e dei continenti, almeno stando alla classificazione anglosassone e cinese, che comprende l’Africa, l’Antartide, l’Asia, l’Oceania, l’Europa, e le due Americhe, del Nord e del Sud. Statua che, in sintesi, simboleggia quella libertà che gli italiani (e non solo) andavano cercando.. 

La trovarono?
Non ci è dato saperlo, di certo però trovarono Francesca Cabrini, pronta a far da mamma, sorella e amica a coloro che, spesso con disprezzo, venivano chiamati “negri dalla pelle bianca”, a dire lo stato di emarginazione in cui versavano, e «trattati come schiavi», annota nelle sue Memorie. «Incontrare la prima volta New York lascia il segno. Può essere esaltante o brutale. – Così esordisce l’agiografo Giuseppe dall’Ongaro, nella splendida biografia dedicata a Cecchina; e prosegue – Quella volta fu brutale. Innanzi tutto per il tempo. Alle sette di sera del 31 marzo 1889, sul molo North River, raffiche di vento e di pioggia accolsero i millecinquecento passeggeri del piroscafo francese Bourgogne, partito otto giorni prima da Le Havre. Quasi tutti emigranti dall’Europa. Per due terzi, italiani.. C’erano anche sette suore.. Le guidava la madre generale, fondatrice dell’ordine.. Ci andavano per istruire i figli degli emigranti italiani, abbandonati alla scuola della miseria nei vicoli della Little Italy». Ma il suo amore non si prodigò unicamente nella “Grande Mela”: «È troppo piccolo il mondo – scriveva Francesca alla vigilia della sua prima traversata – , vorrei abbracciarlo tutto». Così diede vita, per dirla ancora col dall’Ongaro, a «ventitre collegi, diciassette orfanotrofi, un brefotrofio (istituto in cui si allevano neonati illegittimi o abbandonati, ndr), un preventorio (in passato, luogo in cui si tentava di prevenire le malattie che potevano sopraggiungere, ndr), tre pensionati, cinquantasette scuole materne, cinquantaquattro scuole elementari, ventisei scuole medie superiori, tre scuole infermiere, otto ospedali, sette dispensari (altri luoghi di prevenzione gratuita, ndr), quattordici case di cura, sei laboratori, cinque nidi per neonati, due scuole agrarie, (e) un ricovero per anziani poveri». Questa mole impressionante di bene generato le meritò la definizione di “grande donna d’affari”, ma lei così si giustificava: «Ne interesso nientemeno che lo Spirito Santo. Vedo che ci sa fare molto bene». Custodi di questi edifici della Provvidenza erano più di mille suore, che non si fermavano di fronte a nessun ostacolo, raggiungendo anche i detenuti del tristemente noto carcere di Sing Sing. Scrive ancora dall’Ongaro: «Francesca Cabrini compì ventiquattro viaggi in mare.. tornò in Europa otto volte.. Si aggiungano altri cinque anni vissuti senza interruzione negli Stati Uniti. Dal giorno della partenza iniziale alla morte, trascorsero ventitre anni: dodici passati in Europa, undici in America. Tolto il tempo materialmente impiegato per i viaggi, le permanenze sui due continenti in pratica si equivalgono». 

Conosciamo una sua giornata tipo, indipendentemente dal luogo in cui si trovasse? 
Sì, è sempre quest’ultimo biografo a farcela conoscere: «Puntuale alle quattro del mattino suona sotto il cuscino l’orologio regolato la sera prima, così da precedere di un’ora la levata delle missionarie. Preghiera. Discesa in cappella per un’ora di meditazione. Recita dell’ufficio con le altre suore.. Messa.. Verso le sette, colazione. Lettura dei giornali del mattino nel proprio studio.. Riceve lettere di ogni tipo: confidenze, suppliche, pratiche amministrative, proposte. Risponde personalmente. A volte ci vogliono ore.. Se fa in tempo a rientrare prima di mezzogiorno partecipa al pasto comune. Altrimenti (ed è la maggioranza dei casi), lo consuma in camera.. Mangia poco, vuole cose semplici.. Sappiamo che le piace la polenta.. (che) riuscì (ad imporre) anche ai cuochi di un transatlantico (sic!). Non respinge un bicchiere di vino o di birra. – E conclude – (una) interruzione d’obbligo: il rosario. La cena.. (è preceduta) da un brano della Imitazione di Cristo.. Dopo cena, breve ricreazione serale, riflessioni spirituali. La giornata si chiude con un’ora di lettura e di preghiera nella solitudine della propria stanza. Seguono sei ore scarse di sonno profondo». Che dire.. niente male!

Francesca ci ha lasciato qualcosa di scritto?
Il suo diario spirituale è un prezioso scrigno, da lei redatto durante i numerosissimi viaggi, in cui annotava tutto quanto le accadeva: dal tipo di viaggio a quanto le passava per la mente, da progetti a preghiere, dalle osservazioni geografiche a quelle etnografiche, fino alle sue meditazioni spirituali. Ma il suo lascito più importante è senza dubbio quanto fatto. Il 22 dicembre 1917, a Chicago, mentre stava preparando pacchetti di caramelle per i suoi alunni più bisognosi, ad un certo punto non riuscì più nemmeno ad alzarsi in piedi.. Trovata alle 12:20 nella sua stanza «col capo riverso e.. un filo di sangue che le aveva macchiato la candida vestaglia» – annota il Taroni – la rottura di una vena polmonare le strappò il biglietto per il suo ultimo viaggio: aveva sessantasette anni, cinque mesi e sei giorni. Fu beatificata nel 1938 da Pio XI e canonizzata dodici anni dopo dal suo successore. Le sue spoglie mortali riposano nel santuario di New York, assieme a quella statua di bronzo che la ritrae con due bambini su barchette di carta, memoria di quelle che da piccola affidò al canale Venera: «Qui si conclude la vicenda terrena di Cecchina, – scrive nell’explicit del suo libro il dall’Ongaro – la bambina di Sant’Angelo Lodigiano che metteva vascelli di carta nelle acque d’un ruscello e sognava di spedirle attraverso gli Oceani. Poi cominciò un altro viaggio che la condusse a diventare la prima santa degli Stati Uniti e la patrona degli emigrati».

«Affidiamo a Te, Signore, che nella fuga in Egitto conoscesti le amarezze dell’emigrazione, e  all’intercessione di Cecchina, tutti coloro che salpano i mari di questo mondo alla ricerca di una vita migliore, nell’attesa di quell’approdo che, insieme a Te, vivremo come patria beata».

 

Recita
Ausilia Bini, Cristian Messina

Musica di sottofondo
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