Testimoni: Santa Silvia (3 Novembre)



Santa Silvia
In fabula vivere vis! In silvam ingredi aude, “Non puoi vivere una favola se ti manca il coraggio di entrare nel bosco”. La santa che celebriamo oggi, Silvia, etimologicamente significa proprio “(abitante) della selva, dei boschi”, una che di coraggio ne aveva insomma da vendere.

Perché è venerata come santa?
Lasciamo che a dirlo siano le parole dell’home page del sito della parrocchia romana a lei dedicata:  «Essere madre di un santo, per di più papa, e per di più ancora un tale papa quale fu san Gregorio Magno, non è cosa che si possa lasciare sotto silenzio. Dalla santità dei figli si tende a risalire a quella dei genitori: all’alba della santità v’è quasi sempre la figura di una madre o di un padre (sant’Agostino, san Giovanni Bosco, santa Teresa di Gesù Bambino..). La Provvidenza Divina ha stabilito che la trasmissione della fede, dono gratuito di Dio, avvenga attraverso l’azione dei genitori con i loro insegnamenti e con i loro esempi. Santa Silvia è santa per aver dato la vita a san Gregorio; ma lo è più ancora per essersi ispirata costantemente alla Parola di Dio ed averla assimilata nel suo spirito ed averla attuata nelle sue azioni. Fu donna di fede autentica e di fervorosa vita cristiana. I pochi tratti biografici che possediamo ed alcune integrazioni storiche sono sufficienti a fornircene le prove».

Cosa sappiamo allora di lei?
Nata a Roma intorno al 520 da una famiglia modesta, ma forse di nobile discendenza, nobildonna lo divenne, moglie del senatore Gordiano (in seguito cristiano pure lui), ma soprattutto parente di altri tre futuri santi: le sorelle Emiliana e Tarsilia (o Tarsilla), e il figlio primogenito, eletto nel 590 papa Gregorio I. Del secondo figlio di cui abbiamo conoscenza – anche se nulla esclude che i figli fossero più di due – non sappiamo neppure il nome: chissà come abbia vissuto quest’anonimato, stretto nella “morsa” di quattro santi? Mettiamoci noi allora nei suoi panni, al posto cioè di quel fratello, figlio e nipote (ancora) non santo, eppure chiamato a diventarlo, indipendentemente dal fatto di finire su un calendario liturgico o meno, poco importa. Una seconda tradizione, invece, vuole non solo che Silvia sia nata a Vizzini, in Sicilia, ma da famiglia agiata, al punto da vantare possedimenti sia a Roma che in Trinacria. Nel 538, ancora giovane, sposò il senatore Gordiano per andarci ad abitare insieme su uno dei sette colli capitolini, proprio dove oggi sorge la chiesa di San Gregorio al Celio. Morto il marito verso il 573, visse la sua vedovanza su un altro colle romano, l’Aventino, seguendo la regola benedettina, pregando e prendendosi cura dei poveri, mentre Gregorio continuava ad abitare nella villa paterna, che trasformò in monastero e sul quale fece costruire una chiesa dedicata a sant’Andrea, oggi Sant’Andrea al Celio. Il legame madre-figlio si concretizzava in questo periodo nel pasto caldo (legumi o verdure del suo orto) che Silvia, preoccupata della salute di Gregorio, si premurava di fargli recapitare ogni giorno. 

Quando morì invece Silvia? 
Forse nel 592, quando il figlio – papa da due anni (che gioia e onore per la mamma!) – la seppellì nel suo monastero sul Celio, nel quale già riposavano le spoglie mortali delle già citate sorelle. Quello di santa Silvia, uno dei tre oratori di piazza di San Gregorio (assieme a quello di Sant’Andrea e Santa Barbara), venne fatto costruire dal cardinale Cesare Baronio nel 1603, anno in cui gli fu concesso da papa Clemente VIII di ascrivere il nome di Silvia sul Martirologio Romano in data 3 novembre, ragione per la quale la festeggiamo proprio oggi, giorno in cui la Chiesa mette al primo posto dei festeggiati san Martino de Porres. «A Roma – leggiamo sul Martirologio –, commemorazione di santa Silvia, madre del papa san Gregorio Magno, che, secondo quanto lo stesso Pontefice riferì nei suoi scritti, raggiunse il vertice della vita di preghiera e di penitenza e fu per il prossimo un eccelso esempio». Sulla tomba della madre il sommo pontefice volle un dipinto che la ritraeva con la croce nella mano destra e un libro in quella sinistra, con su scritto Vivit anima mea et laudabit te, et iudicia tua adiuvabunt me, “Vive la mia anima e ti loderà, e i tuoi giudizi mi aiuteranno”, frase capace da sola di sintetizzare l’intenso legame tra madre e figlio. Un altro papa invece, san Giovanni XXIII, nel 1959 volle che nel quartiere Portuense venisse dedicata a Silvia un’altra chiesa.

Come visse invece Gregorio la morte del padre? 
Lo spingerà, come detto, a trasformare la sontuosa villa paterna in un monastero e, come noto, sarà seguito in questo stile di vita da tantissimi altri giovani romani. La scelta del figlio, dal canto suo, farà realizzare a Silvia di aver in qualche modo esaurito il suo compito di educatrice: il figlio è già “venuto fuori”, spingendola a ritirarsi pertanto sull’Aventino, seguendone tuttavia le orme: vita ritirata in preghiera e cura degli ultimi.   

«Ti affidiamo, Silvia, la cura materna e premurosa dei futuri santi: aiutaci a saper riconoscere la santità di chiunque il Padre ci mette davanti, e a custodirne con attenzione e gioia quel seme che, se amato, prima o poi fiorirà». 

 

Recita
Paola Ragni, Cristian Messina

Musica di sottofondo
E.Savino. Ali di riserva. Suona E.Savino

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