Compagni di viaggio. Ipazia (31 Marzo)



Testo della biografia
«Cirillo – scrive il sito Santi, beati e testimoni – ..fu protagonista assoluto nella Chiesa della prima metà del V secolo. – e prosegue – Fronteggiò gli avversari del Cristianesimo con la stessa determinazione con cui combatté le derive teologiche dentro la Chiesa stessa. Scrittore prolifico e polemico, non si sottrasse nelle dispute contro i pagani e contro i giudei e divenne punto di riferimento nelle dispute teologiche che precedettero e seguirono il III Concilio Ecumenico, celebrato ad Efeso nel 431.  – per poi concludere – In quegli anni particolarmente difficili per la Chiesa, Cirillo, nonostante alcune situazioni ancora oscure sotto un profilo storico, governò la Chiesa di Alessandria d’Egitto difendendo strenuamente l’ortodossia». 

Di san Cirillo sappiamo abbastanza, ma cosa s’intende con «situazioni ancora oscure sotto un profilo storico»?
È qui che s’inserisce la figura che vorremmo delineare oggi, una donna il cui motto fu: «Io non posso stare qui seduta ad aspettare di vedere morire il pensiero». Parole di Ipàzia , matematica e figlia di un matematico del quale fu anche collaboratrice, mentre della madre non sappiamo nulla, ma anche astronoma e filosofa – l’unica ad essere rappresentata nella Scuola di Atene, il famoso affresco di Raffaello – , in un periodo in cui le scienze non erano distinte come lo sono oggi, per cui il filosofo era una sorta di “tuttologo”. Se sulla data di nascita non v’è certezza, probabilmente tra il 355 e il 370 d.C., di certo morì, sempre ad Alessandria, nel marzo del 415, ragion per cui la celebriamo alla fine di questo mese. Guidò come docente la scuola neoplatonica della città egizia, al tempo parte dell’Impero romano d’Oriente. Anche se non cristiana - diversamente da alcuni dei suoi studenti, tra i quali Sinesio di Cirene, futuro vescovo di Tolemaide - si distinse per la sua tolleranza nei confronti dei primi seguaci del nazareno. Al tempo stesso, però, fu consigliera del prefetto d’Egitto Oreste, aspetto forse determinante; la donna, secondo l’avvocato e storico cristiano Socrate Scolastico: «s’incontrava alquanto di frequente con Oreste, l’invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo». Ipazia entrò dunque in aperto conflitto col vescovo, forse suo coetaneo, nonché futuro san Cirillo. Ma la grandezza della sua vita è divenuta celebre, in parte, a causa della morte.

Ovvero? Come morì? 
Facciamo un passo indietro. La scintilla che innesca l’inimmaginabile è una scoperta: mentre il tempio di Dioniso stava per essere trasformato in chiesa cristiana, vengono alla luce i resti – qualcuno sostiene addirittura teschi umani – di un tempio segreto dedicato al culto della dea Mitra, antica divinità indoiranica del cosmo e della luce, ma anche del sole e della guerra. Nel 412 il vescovo Teofilo muore e al suo posto gli succede il nipote Cirillo. Ipazia viene uccisa in quanto rea di aver alimentato il conflitto – con l’uso tra l’altro della magia – , tra Cirillo e Oreste. Alcuni monaci cristiani, detti parabolani, “coloro che rischiano la vita”, di fatto una setta dedita alla cura dei malati (in primis appestati) e alla sepoltura dei defunti, in pratica infermieri che all’occorrenza diventavano una sorta di corpo di polizia, la assassinarono ferocemente per poi bruciarne i resti mortali, facendo a pezzi il corpo in modo quasi rituale! A guidarli fu un certo Pietro, inviato a sua volta dall’episcopo egiziano.

Gran brutta vicenda.. 
Proprio così. Furono dunque la sua morte, il suo essere donna – in un’epoca decisamente diversa dalla nostra – e soprattutto il coinvolgimento del vescovo alessandrino, a farla assurgere a martire della libertà di pensiero; lei che, sia in qualità di matematica, che di astronoma e filosofa, fu in grado di succedere al padre nell’insegnamento, per lo più nella prestigiosa Alessandria, celebre per il Museo (al tempo la più importante istituzione culturale del mondo antico) e per la sua gloriosa Biblioteca, che del Museo faceva parte, Biblioteca in cui venne tradotta la Settanta, versione dell’Antico Testamento in lingua greca.  

Cosa sappiamo di Ipazia?
Come filosofa «si applicò a educare gli uomini, fossero re o semplici cittadini, singoli o gruppi», lontana da ogni ricerca del successo personale e col solo obiettivo di educare i propri simili. Il filosofo Damascio scrisse di lei intorno al quinto secolo: «di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata introdotta da lui ma, non senza altezza d’animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche. La donna, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo». Sappiamo che, con l’imperatore Teodosio il cristianesimo divenne religione di stato e, verso la fine del IV secolo, sancì la proibizione di ogni genere di culto pagano, ordinando di distruggere i templi degli elleni in Alessandria, risparmiando, come già sottolineato, solo quello di Dioniso, che il vescovo Teofilo ricevette dall’imperatore per poterlo trasformare appunto in una chiesa.

Ipazia visse quindi un periodo decisivo per il cristianesimo nascente..
Se il prestigio ch’ella acquisì ad Alessandria fu in primis culturale, in seconda battuta divenne anche politico, come attesta il già citato Socrate Scolastico, autore dell’Historia Ecclesiastica in sette libri: «Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura – scrive – , accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale». 

Forse è il caso di tornare ancora sulla sua morte..
Siamo nel marzo del 415, in piena Quaresima, quando «un gruppo di cristiani dall’animo surriscaldato – riportano alcune fonti – , guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Questo procurò non poco biasimo a Cirillo e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo».

Affermazione di forte biasimo nei confronti del nostro san Cirillo, non c’è che dire.. 
Proprio così. Altre fonti cristiane, nello specifico quella di Giovanni di Nikiu, riportano invece che Ipazia esercitasse la magia e il satanismo, aspetti che mirerebbero a discolpare – forse senza riuscirci – il vescovo: «Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi. Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola fatta scendere, la trascinarono e la portarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno. Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono “il nuovo Teofilo” perché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città». Mah..

Anche in tal caso non ci pare che il futuro santo ne esca proprio indenne..
Una delle versioni pagane della vicenda, trasmessa questa volta dal già citato Damascio, un centinaio di anni dopo la morte di Ipazia, propende addirittura per una diretta responsabilità di Cirillo nell’uccisione della donna. Fatto sta che, a partire dall’Illuminismo, Ipazia assurse a prototipo-vittima del fanatismo religioso, nonché martire laica della scienza. Se la letteratura ha visto scorrere fiumi di inchiostro sulla sua figura – con autori del calibro di Mario Luzi e Umberto Eco –  , anche il mondo del cinema, nel 2009, le ha dedicato la pellicola intitolata Agora. Otto anni dopo, nel suo Sei donne che hanno cambiato il mondo, la giornalista, fisica e attrice teatrale Gabriella Greison, narrando sei storie di scienziate del XX secolo, premette che «ci furono soltanto una ventina di donne che nell’antichità si occuparono di scienza. Fra loro emerge il nome della matematica Ipazia.. (precisando poi che) Oggi solo nel campo dell’astronomia sono più di 2.000». La Greison non perde tempo a schierarsi con il versante pagano della vicenda, afferma infatti: «Nella sua morte c’è l’odio per la verità, il rifiuto della scienza, la negazione della ragione». Prosegue quindi sottolineando che se di Ipazia purtroppo non conserviamo scritti, è forse a causa di uno dei tanti incendi che distrusse la biblioteca di Alessandria, oppure perché cancellati da chi non voleva fossero trasmessi.  

Insomma, per Cirillo e i cristiani chiamati in causa, sembra piova sul bagnato..
Sono davvero in tanti ad aver scritto di lei, uno di questi è Roberto Saviano, che dal canto suo fa esordire Ipazia come prima di trenta personaggi (tra cui Giordano Bruno, Martin Luther King, santa Francesca Cabrini ed altri ancora) trattati nel libro Gridalo, in cui il poliedrico napoletano racconta la vita di chi, a parer suo, può aiutarci ad “aprire gli occhi”, restituendo al lettore «la voglia di indignarsi» di fronte ad un mondo che sembra accettare tutto e ad appiattirsi sempre più. Il capitolo che riguarda la Nostra lo intitola provocatoriamente Ipazia e i talebani; riferendosi ad una celebre canzone, così esordisce: «Non sono mai state solo parole, altrimenti non si spiegherebbe perché da sempre sono state cancellate, messe a tacere, nascoste, distorte, stracciate, proibite, bruciate, perseguitate, imprigionate.. Le parole sopravvivono a coloro che le hanno pronunciate.. Fanno paura, le parole!». Saviano sottolinea insomma quanto la Storia si sia fatta e si faccia attraverso le parole, proposte o combattute, difese od osteggiate, per poi passare alla vicenda di Ipazia, una donna a parer suo «che ha creduto nel potere salvifico della conoscenza, e che con ogni mezzo ha cercato di condividerla e renderla contagiosa», per poi concludere il capitolo con una domanda già presente nel titolo dello stesso.. rivolto al lettore gli domanda: «Sai cosa vuol dire talebano? ..vuol dire “studente”, ma per estensione “studente del Corano”, in riferimento a quel gruppo di studenti coranici che tra il 1996 e il 2001 imposero in Afghanistan un regime fondamentalista; dunque, per ulteriore estensione, significa “studente integralista” e ancora “censore e nemico giurato della parola”».     

Chi altro si è addentrato nella vicenda di Ipazia?
Ad esempio la bizantinista Silvia Ronchey la quale, dopo essersi cimentata già nel 2010 nell’argomento, vi ritorna in un libro tredici anni dopo, intitolato non a caso Ipazia. La vera storia, che secondo lei «non è tanto la fine del paganesimo quanto la metamorfosi del cristianesimo». L’autrice ha insomma il coraggio di tuffarsi a 360° in pagine davvero spinose, dal punto di vista culturale, teologico, filosofico, politico, scientifico e, soprattutto, ecclesiale, e lo fa provando a scoprire tutte le carte sul tavolo, a partire dai soggetti-chiave chiamati in causa. Ma anche secondo la Ronchey Cirillo non ne esce affatto bene, poiché mandante, mosso fondamentalmente dall’invidia e dalla gelosia nei confronti di chi, in quel momento e in quel luogo – una donna, non basterà mai ricordarlo – parlava bene e tanto, a giudizio di molti, “troppo”.

Che dire.. l’ennesima figura non troppo bella di cui forse chiedere scusa, come cristiani, seppur in ritardo.
Oggi la posizione di Ipazia, sostenne Michela Murgia nella sua rubrica dal titolo splendidamente provocatorio, Morgana (la fata antagonista di re Artù), «sarebbe quella del relativismo o, se vogliamo usare termini più filosofici, del Logos spermatikòs (traducibile con “ragione seminale”), cioè l’idea stoica che i semi di verità divina si trovino sparsi in tutte le filosofie e le religioni, e che il compito dell’uomo e della donna saggi sia quello di investigarli, riconoscerli e promuoverli in qualunque cultura si manifestino, concetto ecumenico, poco adatto a quegli anni feroci, e probabilmente anche a questi». Ma con quest’ultima affermazione della Murgia ci permettiamo di dissentire: l’ecumenismo è quanto di più adatto, anzi, di necessario, ci sia oggi. Allora non ci resta che fare ammenda, affidandoci ancora una volta alle parole, già citate, dell’Historia Ecclesiastica vergate da Socrate Scolastico: «Questo fatto (l’uccisione di Ipazia) procurò considerevole biasimo a Cirillo e alla chiesa degli Alessandrini giacché omicidi, contese, discordie e cose simili sono del tutto estranei a coloro che scelgono di seguire Cristo». 

 

Recita
Federica Lualdi, Patrizia Sensoli

Musica di sottofondo
Libreria suoni di Logic Pro
www.motionarray.com

Kyrie eseguito dalle Sorelle Clarisse di Sant'Agata Feltria

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