Compagni di viaggio: Emily Dickinson (27 Gennaio)



Emily Dickinson (27 Gennaio)
Emily Elizabeth Dickinson nasce ad Amherst dall’avvocato Edward Dickinson e da Emily Norcross – una famiglia borghese di forti tradizioni puritane – il 10 dicembre 1830, e nella medesima città muore il 15 maggio 1886. Sia il padre sia il nonno svolsero importanti ruoli in ambito scolastico: il primo era infatti legale e tesoriere dell’Amherst College, di cui il secondo fu uno dei fondatori, eppure Emily scrive: «Sono andata a scuola.. ma non mi hanno insegnato niente. Da piccola.. per molti anni il mio vocabolario è stato l’unico compagno». E ancora: «Mio padre è troppo impegnato con le difese giudiziarie per accorgersi di cosa facciamo. Mi compra molti libri ma mi prega di non leggerli perché ha paura che scuotano la mente». I suoi studi non furono dunque regolari. Fu sempre alle scuole superiori che decise, contrariamente alla consuetudine dell’epoca, di non professarsi pubblicamente cristiana.  

A proposito della sua vita di fede, si è scritto e detto tanto.. cosa sappiamo di certo?
Occorre anzitutto fare una premessa, che lasciamo alla penna della curatrice Barbara Lanati: «Proprio perché così lacunosa di informazioni la storia della sua vita ha sollecitato ipotesi, letture romanzesche e biografie romanzate che adottavano.. l’ipotesi di partenza e dunque il percorso tracciato da Mabel Loomis Todd (sua prima “biografa”, ndr) oppure quello ostinatamente indicato da Martha Dickinson Bianchi (ultima erede della dinastia Dickinson, ndr)». Ma la sua religiosità ci sfugge: singolare ed estremamente personale, velata da un pessimismo in cui Dio e il male difficilmente riescono ad essere conciliati. Se in alcuni momenti era capace di scrivere: «..la divinità, per naturale tendenza s’inclina, poiché a nulla s’appoggia più in alto di sé. Così io, dimora imperfetta della sua eletta letizia – come fossi una chiesa – conformo la mia anima al suo sacramento» (n. 751), in altri affermava invece: «“Padre del Cielo”, prendila su di te la malvagità suprema che la tua candida mano ha foggiato di contrabbando, in un attimo, anche se l’aver fiducia in noi ci sembrerebbe più dignitoso. “Siamo polvere”. Ti chiediamo scusa per la tua stessa doppiezza» (n. 1461). 

Insomma, un rapporto con Dio piuttosto ondivago..
Non solo con Lui. Se nel 1860 si chiedeva: «Cos’è “Paradiso”? E chi ci vive? ..Portano “scarpe nuove” in Eden? È sempre bello là? Non ci sgrideranno se avremo fame? O riferiranno a Dio che siamo di cattivo umore? ..Non mi toccherà poi di camminare sul “diaspro” (cfr. Apocalisse, ndr) a piedi nudi. E i redenti non rideranno di me. Forse l’“Eden” non è tanto solitario quanto lo era il New England!» (n. 215), eccola due anni dopo sostenere: «Non mi sono mai sentita a casa quaggiù, né mi sentirò a casa – lo so – nei cieli luminosi. Il Paradiso non mi piace. Perché è domenica tutti i giorni e l’intervallo non arriva mai, e l’Eden sarà tanto triste nei limpidi pomeriggi, il mercoledì. Se solo Dio se ne andasse in visita ogni tanto – o s’assopisse – allora non ci vedrebbe, ma lui si dice sia proprio un telescopio che non ci perde mai di vista. Io allora fuggirei lontano da lui – dallo Spirito Santo – e tutto il resto, ma c’è il “Giorno del Giudizio”!» (n. 413). 

Da questi componimenti si sente un’anima che passa da un moto al suo contrario.. o almeno si concede la libertà del dubbio!
Per alcuni la sua poesia esclude ogni sbocco metafisico, essendo preoccupata non delle sorti della storia ma unicamente di quelle di chi amava. In una lettera del 1885 scrisse ad un’amica: «Se sapessi come pregare, lo farei per te, ma non sono che una pagana». Altri sottolineano poi come la sua religione fosse legata alla natura: «Alcuni osservano il dì di festa andando in Chiesa – scrive nella poesia n. 324 – Io lo osservo, stando a Casa. Con un Bobolink (un passero, ndr) per corista e un frutteto, a mo’ di cupola. Alcuni osservano il dì di festa in cotta (che potremmo tradurre “con l’abito adatto”, ndr), io indosso soltanto le mie ali, e invece di suonare le campane per la funzione, il nostro piccolo sagrestano canta. Dio predica, è un celebre pastore, e il sermone non è mai lungo, così invece di arrivare al cielo, alla fine ci vado, per tutto il tempo». «Se potrò impedire a un cuore di spezzarsi – scrive ancora nella n. 919 – , non avrò vissuto invano. Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena, o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido, non avrò vissuto invano». 

Come mai la festeggiamo proprio oggi, giorno in cui l’Europa commemora tristemente la Shoah?
La scelta, agli occhi dei più alquanto bizzarra ma in sintonia con quanto affermato, è legata alla morte del suo Terranova Carlo (1849-1866), da lei spesso citato, con cui passava tantissimo tempo e che amava appassionatamente. «I cani – diceva – sono migliori degli esseri umani perché sanno ma non dicono». 

Quando e per quale ragione divenne poetessa?
Uno dei suoi biografi afferma che l’idea l’ebbe avendo come riferimento biblico quello della lotta tra Giacobbe e Dio, manifestatosi al patriarca nelle sembianze di un messaggero: «L’Angelo implorò il permesso di fare colazione per poi tornare. Certo che no, disse l’astuto Giacobbe! “Non ti lascerò andare, salvo che tu non mi benedica”.. E lo sconcertato Atleta scoprì d’aver sconfitto Dio!». 

Ci sono poesie in cui si rivolge direttamente al Creatore?
Nella n. 644 scrive: «Mi hai lasciato, Signore, due eredità, una d’amore.. Mi hai lasciato confini di dolore capienti quanto il mare, fra l’eternità e il tempo, la tua coscienza e me». Il noto biblista Gianfranco Ravasi scriveva su un articolo apparso il 26 febbraio del 2004 per il quotidiano cattolico Avvenire, che quella di Emily «era una fede intima, profonda e lacerante. Scriveva infatti: “È assai più grave perdere la fede che un patrimonio perché questo potrai rinnovarlo, la fede no”», sottolineando quindi come la poetessa non esitasse ad affidarsi a Cristo: «Io vi dico – così disse Gesù – che esiste qui sulla terra una specie che non conoscerà il gusto della morte, se Gesù disse il vero non ho bisogno di altre garanzie, perché l’affermazione del Signore non si può contraddire. Mi disse Lui che la morte era morta». Quanto alla sua speranza, lei stessa la definiva come «quella cosa piumata che si viene a posare sull’anima. Canta melodie senza parole e non smette mai» (n. 254). 

Non temeva certo l’attesa..
Anzi, «Poiché non so quando l’alba giungerà – scrisse nel 1884 – , apro tutte le porte..» (n. 1619). Nel suo libro In caccia del giorno. Sulle tracce del divino, il docente di Lettere Lorenzo Gobbi descrive la poetica della Dickinson chiamandola “teologia del desiderio”, evidenziando come Emily, fin dall’adolescenza, contrastasse la religione costituita. Insomma, una figura che potremmo definire molto attuale o.. sempre attuale, almeno quanto il rapporto che molti hanno, oggi più di ieri, con Dio e l’intera impalcatura religiosa. Scrive Emily a tale proposito, nel 1882: «Una volta chi moriva sapeva dove andava. Si andava alla destra di Dio, ora però questa mano è amputata e Dio, introvabile. La rinuncia alla fede fa assumere atteggiamenti meschini, meglio un fuoco fatuo che l’assenza completa di luce» (n. 1551). Un Dio di cui affermava inoltre: «Dicono che.. sia ovunque e tuttavia continuiamo a pensare a Lui come a una specie di recluso». 

Già, il Creatore del Cielo e della Terra abbiamo spesso la tentazione di rinchiuderlo in qualcosa che, in ogni caso, non lo può certo contenere: è sempre più grande e più “avanti” di come lo pretendiamo! Tornando ad Emily, si è detto che la sua attenzione vertesse in primis sulla natura, in che senso?
La natura, l’amore e la morte erano fuori di dubbio le sue tematiche preferite.. «La Dickinson – scrive il poeta forlivese Davide Rondoni nel suo Cos’è la natura? Chiedetelo ai poeti – sottolinea il fatto che sotto il nome Natura cade ciò che noi conosciamo.. Per lei.. Natura è il nome complessivo dato ai fenomeni a noi noti. Tanto è vero che in tal senso Natura e realtà appaiono sinonimi. Nondimeno – prosegue – non sappiamo esprimere quello che “vediamo, sentiamo, conosciamo”.. Ma allora: possiamo dire di conoscere davvero qualcosa che non sappiamo esprimere?». Lo stesso Rondoni sottolinea quindi il «paradosso: il mistero si addentra nel conosciuto e getta la sua luminosa ombra nello spazio che esiste tra percezione ed espressione. La getta nel territorio del linguaggio». 

Anche del suo versante affettivo si è parlato e non poco, cosa c’è di vero?
Le voci su un legame affettivo con la cognata Susan Gilbert, cui inviò oltre trecento lettere, dicono forse di un amore platonico, paragonato ad esempio a quello che Dante provava per Beatrice. Più verosimile quanto accadde in seguito al suo viaggio del 1855 a Washington e Philadelphia, dove conobbe il reverendo Charles Wadsworth (già sposato e con dei figli), del quale si innamorò. Un’altra “sbandata” romantica l’ebbe per l’anziano giudice Otis Phillips Lord (1812-1884), amico del padre, al tempo defunto. Quando Otis rimase vedovo ed Emily aveva 48 anni, le chiese di sposarla, ma alla fine non se ne fece nulla, forse a causa di tensioni familiari. Quanto ad affetti di altro genere, forse il colpo più duro l’ebbe alla morte del nipote preferito Thomas Gilbert, deceduto per tifo ad appena otto anni. L’anno seguente morirà lo stesso giudice Otis a causa di un attacco cardiaco.

Il lato affettivo occupò insomma non poco spazio nella sua vita..
Sì, ma sapeva coniugare l’affezione al raziocinio, l’amore all’intelletto, il cuore e il cervello: «Molta follia – scrive nel 1862 – è saggezza divina per chi è in grado di capire. Molta saggezza pura follia, ma è la maggioranza in questo, in tutto, che prevale. Conformati: sarai sano di mente. Obietta: sarai pazzo da legare, immediatamente pericoloso e presto incatenato» (n. 435). «Che l’amore è tutto ciò che c’è – aggiunge – , è tutto quello che sappiamo dell’amore..» (n. 1765), ma soprattutto: «Cuore è la capitale della mente, mente è uno Stato a sé. Il cuore e la mente, insieme, fanno un solo continente. Uno, è la popolazione, numerosa abbastanza. Questa nazione estatica, cercala, è te..» (n. 1354). Cuore che, ancora, «prima chiede gioia, poi assenza di dolore, poi gli scialbi anodini che attenuano il soffrire, poi chiede il sonno, e infine se a tanto consentisse il suo tremendo Giudice, libertà di morire» (n. 536).

Sappiamo che ad un certo punto scelse volontariamente di isolarsi.. come mai?
«Sola, non posso stare – scrisse nel 1861 – , perché mi vengono a far visita ospiti al di là della memoria, ospiti che ignorano la chiave di casa.. A volte corrieri interiori ne annunciano l’arrivo, ma mai la partenza, perché non se ne vanno mai più» (n. 298). Poco dopo il già citato viaggio, scelse di estraniarsi dal mondo rinchiudendosi nella propria camera, situata al piano superiore della casa paterna e, salvo qualche visita in giardino e alla casa adiacente del fratello, visse in totale isolamento (non uscendo neppure per la morte dei genitori!), forse anche per via di alcuni disturbi nervosi quali agorafobia e ansia sociale. Altro problema con cui dovette fare i conti furono una malattia agli occhi: per alcuni biografi i vestiti bianchi che decise di indossare erano quelli che gli affetti da epilessia dovevano mettersi per motivi igienici. Per altri fu proprio questa la vera causa della sua reclusione volontaria. Nella sua prefazione di Silenzi, raccolta di poesie della già citata Barbara Lanati, leggiamo: «Sono due le esperienze cui a Emily Dickinson, come a molte, accadde in pieno Ottocento di essere esclusa in quanto donna e poeta: quella di una relazione sentimentale e quella di vedere pubblicate le sue poesie. Nessuna delle quasi duemila composizioni infatti vide le stampe quando Emily Dickinson era in vita, tranne sei – apparse tra il 1852 e il 1866.. che tenne rinserrate nel cassettone in camera da letto, lo stesso che ora è conservato alla Houghton Library di Harvard insieme all’unica immagine che, oltre a un triste dagherrotipo, ci resta di lei, ragazzina in un quadro a olio che la raffigura insieme al fratello Austin e alla sorella Lavinia.. (alla quale) poco prima di morire.. (pregò) di distruggere pacchi di lettere che aveva ricevuto». 

Un’eremita un po’ sui generis..
«..La separazione – diceva – è tutto ciò che sappiamo del Cielo, e tutto ciò che vi basta sapere dell’Inferno» (n. 1732). Aggiunge la Lanati: «È una signora che la gente chiama il Mito. Da quindici anni non esce di casa, tranne una volta, e fu per andare a vedere una chiesa appena eretta (la First Congregational Church, che il fratello Austin aveva progettato). Si dice che.. tutto sia avvenuto al chiaro della luna.. solo ai bambini, di tanto in tanto, e uno alla volta, dà il permesso di entrare nella sua stanza. Veste unicamente di bianco e dicono abbia un cervello come un diamante. Scrive molto bene, ma non si lascia vedere da nessuno, mai». Quindi sì, una “laica di clausura”, ma conscia di «essere viva.. – vergò nel 1862 – perché non sono in una stanza, il salotto generalmente così come si possa venire a vedere.. Io sono viva perché non possiedo una casa a me unicamente destinata, precisa, di misura soltanto mia.. È stupendo essere vivi! È infinito esserlo due volte, perché sono nata alla vita. E ora, anche, perché sono nata dentro di te!» (n. 470). La Lanati sottolinea inoltre il fatto che, fosse vissuta nel Seicento, la Dickinson «sarebbe stata impiccata». La sua reclusione fu in ogni caso caratterizzata da tantissime letture, che vanno da Shakespeare ai suoi contemporanei inglesi, dall’Apocalisse “giovannea” alla poesia metafisica.

Un ventaglio ampissimo nel quale cimentarsi..
Proprio così, in cui a farla da padrona era la parola: «Alcuni dicono che quando è detta, la parola muore. Io dico invece che proprio quel giorno comincia a vivere» (n. 1212). «Leggere – prosegue la curatrice di Silenzi – fu la sua grande passione, il vizio, il peccato che suo padre temeva commettesse e che lei commise, con ostinazione, fino alla fine. E le sue letture furono onnivore ed eterogenee». «Non esiste un vascello veloce come un libro – scriveva infatti Emily nella poesia n. 1263 – , per portarci in terre lontane, né corsieri come una pagina, di poesia che si impenna – questa traversata può farla anche il povero senza oppressione di pedaggio – tanto è frugale il carro dell’anima». 

Come morì Emily?
Salutò questa vita ad appena 55 anni, il 15 maggio 1886, mentre si trovava nello stesso identico luogo in cui era nata, nel Massachusetts. «Amore, tu sei alto, non ce la faccio ad arrivare fino a te.. Amore, tu sei profondo, non ce la faccio ad attraversarti.. Amore, tu sei velato.. Senza di te sarebbe cosa ben strana quella felicità perfetta da Dio, soprannominata Eternità» (n. 453). Riguardo al paradiso, in cui non ci è dato sapere se sarà accolta, ma le probabilità sono molto alte, a due anni dalla morte si chiedeva: «Pochi, eppure abbastanza, abbastanza è Uno. Non abbiamo forse tutti il diritto di appartenere a quella folle eterea, uno per uno, in clandestinità?» (n. 1596). Il medico curante attribuì il decesso alla “malattia di Bright”, che la affliggeva da due anni e mezzo, meglio nota come nefrite, nome con cui oggi si indica la patologia nel momento in cui sfocia in insufficienza renale cronica. Fu sepolta nel cimitero locale, nel settore di famiglia.

Quando, invece, divenne famosa?
Dopo il decesso la sorella scoprì nella camera di Emily diverse centinaia di poesie, scritte su foglietti ripiegati e cuciti con ago e filo, posti all’interno di un raccoglitore. Altri componimenti furono quindi ricavati dalle sue lettere, oltre che dai biglietti che amava allegare ai doni fatti a parenti ed amici. Nel 1955 Thomas H. Johnson curò la prima edizione critica di tutte le 1.775 poesie di Emily, ordinandole in modo cronologico. 

«(Signore) Portami il tramonto in una stanza.. Dimmi fin quando dorme colui che intrecciò e lavorò le vastità d’azzurro.. chi posò i moli dell’arcobaleno.. chi conta le conchiglie della notte, per vedere che non ne manchi nessuna? ..Chi mi farà uscire un giorno di gala e mi darà quanto occorre per volar via più sfarzosamente di un re?» (n. 128).

 

Recita
Riccardo Cenci, Ausilia Bini, Cristian Messina

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