Compagni di viaggio: Ulrico Zwingli (29 Gennaio)



Ulrico Zwingli (29 Gennaio)
«Intendere cosa sia Dio è impresa superiore all’uomo e al suo intelletto». Con questa celebre frase ricordiamo oggi il suo autore, il teologo svizzero Huldrych Zwingli, italianizzato in Ulrico. Prima, però, occorre una lunga premessa sull’enorme e variegato mondo del protestantesimo, rispetto al quale ci lasciamo aiutare dal presbitero genovese Giovanni Cereti, docente di Teologia Ecumenica a Venezia e a Roma, fondatore tra l’altro nel 1976 della Fraternità degli Anawim. Cereti nell’ABC delle chiese e delle confessioni cristiane della San Paolo, libricino pubblicato nel 2009, premette: «non si devono considerare sempre gli altri come colpevoli delle divisioni, perché le responsabilità sono condivise: il Concilio (nel decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio) afferma che queste divisioni sono sorte “talora per colpa di uomini di entrambe le parti” (n 3)».

Come sono nate dunque tali divisioni?
Anzitutto da una ricerca della maggior fedeltà alla Parola di Dio, ma anche e soprattutto da fattori non teologici: circostanze storico-geografiche, socio-politiche, linguistiche e culturali, al punto da rendere una comunità estranea all’altra – ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che è sempre di comunicazione che si tratta! Fattori che, tra l’altro, col tempo si sono ulteriormente diversificati, rendendo ancor più difficile il ritorno alla comunione. Così avvenne nel XVI secolo, in cui ai limiti palesati dal clero e dai religiosi di quel tempo, insieme ad un quantomeno discutibile esercizio del culto dei santi e delle reliquie, unitamente al rifiuto dei pellegrinaggi e delle indulgenze, si unirono quei già citati elementi non teologici: l’affermarsi dell’Umanesimo, l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Johannes Gutenberg e, ultimo ma non ultimo, l’imporsi dei vari nazionalismi. «Un fattore politico assolutamente decisivo – precisa il Ceredi circa la nascita della Riforma protestante – fu l’affermarsi del potere dei principi anche in campo ecclesiastico: il governo delle chiese locali da parte dei principi territoriali o delle libere città soprattutto in Germania». Ma la frattura principale in seno alla chiesa d’Occidente del XVI secolo era nata già un secolo prima, col cosiddetto “scisma d’Occiente” (1378-1415), che prese le mosse dalle contestazioni di John Wyclif e Jan Hus, prendendo forma coi concili di Costanza (1414-1418) e di Basilea (1433-1448). Riguardo a quest’ultimo, non è un caso che – è sempre il Ceredi a parlare – «la separazione fra le “nazioni” che seguivano la linea conciliare e quelle che appoggiavano la linea papale al Concilio di Basilea coinciderà quasi perfettamente con la linea di frattura che si formerà ottant’anni dopo fra i popoli che aderiranno alla Riforma e quelli che rimasero fedeli a Roma». 

Quanto alle definizioni terminologiche, spesso si fa un po’ di confusione..
Proviamo a procedere con ordine. Anzitutto: protestanti o evangelici? «Inizialmente – precisa lo storico Massimo Rubboli nel suo volume intitolato I protestanti – , fu lo stesso Lutero che, riprendendolo dal greco, utilizzò il termine “evangelico” per indicare la natura della vera chiesa, in opposizione alla falsa chiesa, che secondo lui era incarnata dalla Chiesa di Roma. L’uso di evangelico come sinonimo di protestante – prosegue – è stato sempre largamente in uso nell’Europa continentale; ad esempio, nel 1817 la chiesa nata dalla fusione delle chiese luterane e riformate di Prussia prese il nome di Chiesa evangelica (Evangelische Kirche) e lo stesso nome è usato ancora oggi per designare varie chiese luterane nazionali, a partire da quella tedesca». Se il termine protestantesimo rimanda alla “protesta” levata dalla dieta di Spira nel 1529, da cinque principi e quattordici rappresentanti di altrettante città aderenti alla Riforma – nell’antico diritto germanico la dieta era la riunione popolare atta in primis all’elezione del sovrano – , l’anno successivo, in quella di Augusta tali comunità fecero la loro “Confessione di fede” (da cui “augustana”), redatta dal celebre Filippo Melantone e da lì in poi riferimento delle chiese protestanti luterane, che in breve tempo si diffusero nel nord Europa e, in alcuni casi, divennero chiese di Stato, grazie anche alla cosiddetta pace di Augusta (1555), la quale stabilì il noto principio cujus regio, ejus religio, letteralmente “di chi (è) la regione, di lui (sia) la religione”. Concretamente, nei territori dell’impero i sudditi dovevano seguire la fede del sovrano. Con i suoi oltre 70 milioni di fedeli quella luterana rappresenta la principale confessione protestante, che fa vanto tra l’altro di figure di spicco in campo filosofico (Kant, Hegel e Kierkegaard), ma anche musicale (Bach) e teologico (su tutti il nobel per la pace Albert Schweitzer e il protagonista della resistenza nazista Dietrich Bonhoeffer).       

E quando si utilizza l’ambiguo termine riformati?
Con chiese protestanti riformate si intendono invece quelle accettate da alcuni cantoni svizzeri e dalla chiesa di Ginevra, influenzata dal pensiero di Giovanni Calvino, che cancella la figura del vescovo e indica, per la guida delle comunità, quelle del pastore, del dottore, del diacono e dell’anziano. Tali chiese calviniste sono definite anche presbiteriane (per l’importanza che danno al ruolo dei presbiteri, dal greco presbýteros, “più vecchio”) o evangeliche. Per quanto riguarda questo tipo di chiese, tuttavia, Calvino non fu l’unico riformatore di riferimento, a lui se ne aggiunsero infatti altri, su tutti il nostro Zwingli, nome che segna l’inizio della Riforma a Zurigo nel 1523. Oggi in comunione con le chiese luterane, si contano circa 65 milioni di fedeli e quasi 180 chiese sparse in 84 Paesi del mondo. 

Chi sono invece gli anglicani?
Con Comunione anglicana – nata dall’atto di supremazia col quale il 30 novembre 1534 il re Enrico VIII d’Inghilterra (in latino Anglia) stabilì che nel suo territorio l’unica autorità doveva essere quella regia, dunque non più Roma – si allude a quella “via di mezzo” tra cattolicesimo e protestantesimo oggi formata da una quarantina di province autonome e oltre 350 diocesi: diversi milioni di fedeli sparsi nel mondo – parte dei quali statunitensi, dove la Comunione anglicana è detta chiesa episcopaliana – , aventi tutti come riferimento l’arcivescovo di Canterbury, che dal 1867 convoca (solitamente l’anno 8 di ogni decennio) la cosiddetta Conferenza di Lambeth, così chiamata poiché ha luogo al Lambeth Palace di Londra, a cui partecipano tutte le chiese anglicane. Caratteristica principale dell’anglicanesimo rimane la comprehensiveness, ovvero la capacità di accogliere posizioni tra loro molto distanti, come dimostra la denominazione con la quale tali “distanze” sono definite: chiesa Alta (molto vicina al cattolicesimo), chiesa Bassa (prossima invece al protestantesimo evangelicale) e chiesa Larga (attigua al protestantesimo liberale).    

Il panorama tuttavia non si esaurisce qui..
Decisamente no, ci presenta infatti il movimento anabattista, o dei “ribattezzatori”, quella Riforma radicale che, nata nei primi del Cinquecento e radicatasi in Svizzera, Austria, Paesi Bassi e Germania del sud, in nome di una fedeltà letterale della Bibbia rifiutava tutta la tradizione ecclesiale successiva, compreso il pedobattesimo (quello dei bambini), negando tra l’altro ogni autorità. A tale movimento si rifanno poi i mennoniti i quali, preso il nome da Menno Simons (1496-1561) si ispirano al “Discorso della montagna” (Mt 5-7) e si caratterizzano per un rigoroso pacifismo. Ma non è tutto: nei secoli XVII e XVIII le chiese sorte dalla Riforma si rinnovarono ulteriormente, dando alla luce gli olandesi armiani (da Jacob Arminius, 1560-1609), detti anche rimostranti; quindi i battisti che, reazionari alla chiesa d’Inghilterra, si caratterizzarono per la centralità data al sacramento del battesimo, considerato suggello della grazia divina. Con i suoi 50 milioni di fedeli costituiscono oggi la quarta forza protestante, nota ai più grazie alla testimonianza del pastore Martin Luther King. Poco dopo ecco la Società degli amici (nome legato alla citazione di Gv 15,15), nata in Inghilterra dall’esperienza di George Fox (1624-1691), poi diffusasi negli Stati Uniti grazie a William Penn. Il nome con cui costoro sono conosciuti nel mondo è tuttavia un altro: quaccheri, dall’inglese to quake, “tremare”, per via dell’emotività che caratterizzava la loro preghiera, capace di determinare nei fedeli movimenti fisici esagerati. Quindi, mentre in Inghilterra nascevano battisti e quaccheri, il protestantesimo luterano dava vita al pietismo, il quale, richiamandosi ad una testimonianza di fede più viva e personale, si opponeva al dogmatismo teologico e al formalismo liturgico. Del 1727 è inoltre la fondazione dei fratelli moravi, discendenti della Unitas Fratrum, gruppo religioso diffuso in Boemia e Moravia, che prese le mosse dalla dottrina del boemo Jan Hus (1371 ca.-1415) e fu riconosciuto successivamente dal teologo tedesco Ludwig von Zinzerdorf (1700-1760). Il vescovo mennonita svizzero Jacob Ammann fondò poi i tanto discussi amish, che da lui prendono il nome e, trasferitisi negli Stati Uniti, fondarono comunità rurali tuttora presenti, celebri per il loro rifiuto delle tecniche moderne, contadini e artigiani estremamente restii ad ogni incursione civilizzatrice.

Davvero un mondo sconfinato..
Proprio così. Il Settecento è segnato in particolare dalla nascita della chiesa metodista che, così chiamata per l’importanza attribuita allo studio “metodico” della Bibbia, è sorta da un movimento di risveglio religioso sviluppatosi in Inghilterra ad opera dei fratelli John e Charles Wesley. Da sempre sensibile all’impegno politico e sociale, è tuttavia l’invito ad una ricerca della santificazione personale ad averla avvicinata non poco alla tradizione cattolica. Forti incomprensioni con la chiesa anglicana portarono infatti il nuovo movimento a separarsi dalle loro origini, per diffondersi però negli USA, dove ancora oggi i metodisti costituiscono forse la chiesa evangelica più significativa, con 60 milioni di membri rappresentano infatti la terza compagine protestante. A chiudere il cerchio delle cosiddette “vecchie” comunità protestanti ecco infine i vetero-cattolici, ovvero quella parte di cattolici rimasti tali in Olanda, nonostante l’adesione maggioritaria del Paese alla Riforma. Alcune tensioni portarono ad una separazione da Roma attraverso quello che verrà chiamato lo scisma di Utrecht, che ebbe luogo tra il 1702 e il 1723, anno in cui fu ordinato il primo vescovo. A costoro si unirono intorno al 1870 cattolici tedeschi, svizzeri e boemi, i quali rifiutavano il primato e l’infallibilità papale dichiarata nel Concilio Vaticano I. Così nel 1889 vide la luce l’Unione di Utrecht, che prese il nome di chiesa vetero-cattolica (dal latino “antico, vecchio”), convinta di conservare integralmente la fede del passato. A tale comunità può essere accostata quella lefebvriana, nata ad opera di Marcel Lefebvre, l’arcivescovo cattolico francese che più si oppose alle riforme attuate dal Concilio Vaticano II. 

Il mondo protestante del passato è insomma davvero vario, ma qual è la situazione attuale? 
Oltre ad affermare una certa vivacità delle realtà precedentemente esposte, non meno fiorente è il quadro odierno, quello delle “nuove comunità”, le più recenti, nate tra il XIX e il XX secolo, a partire dai discepoli di Cristo i quali, nati anch’essi negli Stati Uniti, conobbero una scissione interna che portò alla nascita nel 1906 delle chiese di Cristo, entrambe incentrate sul rapporto diretto con la Sacra Scrittura, considerata unica fonte normativa. Abbiamo poi la chiesa evangelica dei fratelli, sorta in Inghilterra ad inizio Ottocento, da subito volutamente priva di ogni gerarchia e incentrata sul rifiuto del mondo, oltre che su una fiduciosa attesa del ritorno di Cristo. Separatisi successivamente in “fratelli stretti” o darbisti (dal nome del pastore John Nelson Darby) e “fratelli aperti” o plymutisti (dalla città inglese di Plymouth), aborriscono ogni forma strutturata di liturgia, lasciando che sia lo Spirito ad animare i fedeli durante il culto. Altro tratto caratteristico è una lettura piuttosto fondamentalista della Bibbia. Ad essi si aggiungono le chiese avventiste del settimo giorno, così definite sia per una febbrile attesa della seconda venuta del Signore, sia per la stretta osservanza del sabato: la tradizione ecclesiale avrebbe a parer loro colpevolmente spostato la celebrazione del “giorno del Signore” alla domenica, da cui avventisti del settimo giorno.

Con questi ultimi il quadro si esaurisce?
Neanche per sogno! Come non citare infatti l’esercito della salvezza, quel movimento che, fondato a Londra nella seconda metà dell’Ottocento come risposta alle sfide inaugurate dalle rivoluzione industriale, organizza circa tre milioni di persone in forma paramilitare. Che dire poi della Christian Science la quale, nata neanche a dirlo negli Stati Uniti, grazie allo scritto di Mary Baker Eddy (1821-1910) intitolato Scienza e salute, insegna ai propri fedeli che il malato deve far affidamento solo sulla preghiera, grazie all’intervento dello Spirito Santo, rifiutando in tal modo le normali cure mediche. Il sorgere del Novecento è stato poi accompagnato dal movimento pentecostale, che ebbe le sue origini sia in Galles (in cui sorsero le chiese dette “apostoliche”) sia negli USA, dove ebbe inizio – richiamandosi al cristianesimo nascente – l’esperienza dell’effusione dello Spirito, come durante il giorno di Pentecoste, attraverso il dono della glossolalia (quello cioè di “parlare in lingue”) e il carisma di guarigione. Affianco ai pentecostali ecco gli evangelicali, così definiti per via dell’originale inglese evangelicals, i quali sono nati come reazione al protestantesimo liberale (quello cioè influenzato dall’Illuminismo e caratterizzato da un approccio scientifico al testo sacro) attraverso l’affermazione di alcuni principi del Nuovo Testamento ritenuti fondamentali, ragion per cui sono chiamati anche fondamentalisti. Se nell’Ottocento sono sorte in Germania le chiese unite, in cui figuravano sia luterani che riformati, dal secolo dopo con questo termine si è soliti indicare quelle che, caratterizzate da un forte anelito ecumenico, hanno unito in un’unica chiesa oltre un centinaio di comunità evangeliche.

Il panorama religioso moderno è costellato anche da realtà spesso accostate al mondo protestante.. di loro cosa sappiamo?
Un caso a parte è rappresentato da quelle comunità che, spesso confuse con il mondo protestante, in realtà non è più possibile considerare cristiane per ragioni presto dette, a partire dai mormoni, rappresentanti della chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’Ultimo Giorno, nati negli Stati Uniti dalla predicazione di Joseph Smith (1805-1844), il quale ritenne di aver ricevuto una rivelazione da Dio, trascritta in seguito nel Libro di Mormon, testo venerato al pari della Bibbia. Quindi i ben noti Testimoni di Geova i quali, originariamente radicati nelle chiese battiste e avventiste, si sono poi definiti grazie alla predicazione di Charles Taze Russell (1852-1916) prima e di Joseph F.Rutheford (1869-1942) poi. Quindi le chiese unitariane che, lodevoli se non altro per il tentativo di conciliare fede e ragione, oltre che per la ricerca dell’unità tra le diverse religioni, si ispirano purtroppo ad una tradizione antitrinitaria. Consci che l’universo confessionale cristiano sia ben più ampio e sfumato di quanto fin qui esposto, citiamo per ultima la chiesa dell’unificazione, facente capo al reverendo Moon (1920-2012), coreano che assieme alla moglie si è proclamato il nuovo Messia. 

A conti fatti, il dialogo interconfessionale non è così semplice..
Non lo è, eppure, prosegue il già citato Cereti: «Ancora di più, si è invitati a riconoscere le ricchezze dottrinali e spirituali presenti nelle comunità che una volta venivano considerate eretiche o scismatiche e nelle quali lo Spirito ha prodotto frutti di santità e di dottrina: “D’altra parte è necessario che i cattolici con gioia – citando nuovamente Unitatis Redintegratio, questa volta al n 4 – riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promanati dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e deve essere ammirato nelle sue opere”».   

Dopo questa lunghissima carrellata è tuttavia il momento di tornare a Zwingli.. chi era costui?
Secondogenito di otto figli, nacque nel paese di Wildhaus, piccola frazione di 1.200 abitanti nel cantone di San Gallo il 1º gennaio 1484. Destinato fin da piccolo alla vita ecclesiastica, la sua educazione fu affidata inizialmente ad un parente prete. Successivamente frequentò le scuole di Basilea e Berna, quindi l’Università di Vienna e poi quella di Basilea. Dopo aver ottenuto il titolo di maestro in teologia ricevette l’ordinazione presbiterale a Costanza. Dallo studio si dette poi alla battaglia, assieme ai mercenari svizzeri nella guerra della Lega di Cambrai e alla battaglia di Marignano del 1515, nelle vesti di cappellano militare. Diventato parroco a Glarona prima e a Einsiedeln poi, città quest’ultima già  celebre meta di pellegrinaggi almeno dal Duecento, in cui oggi oltre mezzo milione di persone si reca annualmente a visitare la chiesa abbaziale per onorare la statua di legno gotica della Madonna Nera. Nello stesso periodo Zwingli si avvicina al pensiero di Erasmo da Rotterdam, da cui prende le mosse per elaborare una personale concezione teologica che, sul modello della Riforma di Lutero, darà presto i suoi frutti a Zurigo. Ma è lo studio di sant’Agostino a fargli maturare un’esperienza interiore che lo porterà ad allontanarsi dalla posizione cattolica, concependo la salvezza unicamente come opera della grazia divina, escludendo i meriti del singolo e considerando la Bibbia come unica norma in ambito di fede e morale.

Quali sviluppi ebbe la sua nuova posizione?
Quando era predicatore nel duomo di Zurigo, il consiglio cittadino indisse il 29 gennaio 1523 – ragion per cui lo celebriamo proprio in questa data – , una disputa pubblica tra lui e il vicario generale della diocesi di Costanza,  disputa che, tuttavia, fu disertata dall’esponente cattolico. Il Consiglio cittadino allora, dopo aver ascoltato le Sessantasette tesi di Zwingli, che le scrisse proprio in vista di quell’evento e che contenevano la sua nuova dottrina, dichiarò “vincitore” Ulrico dando avvio alla sua riforma, completata due anni dopo con l’abolizione della messa cattolica, sostituita dalla nuova liturgia della Santa Cena in lingua tedesca, che non prevedeva né i canti di ispirazione extrabiblica né gli strumenti. Non solo, Zwingli ordinò di rimuovere le immagini della Madonna e dei Santi, ne proibì il culto e stabilì che si predicasse in lingua volgare, partendo unicamente dalla Bibbia. Oltre a ciò abolì il celibato ecclesiastico e i voti monastici. Appoggiato dalle autorità cittadine soppresse anche le processioni, ritenute pratiche superstiziose, le devozioni mariane e quelle dei santi, come pure i sacramenti, ad eccezione del Battesimo e dell’Eucaristia, chiamata come già detto Santa Cena. Il 19 maggio 1526 nel comune di Baden ebbe luogo una disputa teologica tra la fazione cattolica e quella zwingliana, in cui le posizioni del riformatore zurighese vennero condannate, portandolo alla scomunica da parte di papa Adriano VI.

Ebbe rapporti diretti con Lutero?
Dopo aver acquistato sia autorità sia un certo potere politico in quel di Zurigo, nel 1529 ebbe un faccia a faccia con l’ex monaco agostiniano a Marburgo, in cui i due cercarono un avvicinamento che tuttavia non raggiunsero pienamente: l’unico ostacolo tra i quindici argomenti discussi furono infatti le divergenze attorno alla Santa Cena e, dato che nessuno dei due era disposto a mollare la propria posizione, si lasciarono senza un vero accordo. La politica intransigente di Zwingli verso i cantoni cattolici lo portò ad un nuovo scontro il 9 ottobre 1531: questi ultimi dichiararono guerra a Zurigo, per marciare poi verso il comune di Kappel am Albis. Ma i cantoni protestanti erano alquanto impreparati all’attacco nemico, ragion per cui il riformatore si trovò a radunare un esercito dell’ultima ora, decidendo di scendere in campo personalmente in qualità di cappellano e portabandiera, decisione che però gli costò la vita: l’11 ottobre venne ucciso dall’esercito cattolico, che scelse tristemente di darne alle fiamme le spoglie, motivo che costringe i suoi discepoli ad accontentarsi delle varie statue collocate qua e là, dato che il corpo non fu mai ritrovato. A proseguirne l’operato furono anzitutto i suoi scritti, a partire dal testo del 1525 De vera et falsa religione commentarius, considerato il primo trattato teologico della riforma, quindi il teologo Heinrich Bullinger (1504-1575), capace di consolidarne l’opera nella città di Zurigo.   

Donaci, Signore, di riuscire a camminare tra il confine, estremità da valicare, e il limite, che è invece inviolabile, pena la perdita della nostra vera identità. Te lo chiediamo con le parole di Ulrico: «Fa’ come vuoi, perché io non ho bisogno di nulla. Io sono il tuo vascello, da riparare o da distruggere», aggiungendo però che di qualcosa abbiamo bisogno.. di Te.

 

Recita
Massimo Montanari, Cristian Messina

Musica di sottofondo
E.Lepri. Oltre

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