Compagni di viaggio: Ennio Morricone (26 Febbraio)



Ennio Morricone
«L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme. Non è il conforto di un normale voler bene. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.. È assai di più della salvezza personale, è la speranza di ogni uomo che sta male e non gli basta esser civile. È quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa che in sé travolge ogni egoismo personale, con quell’aria più vitale che è davvero contagiosa.. L’appartenenza è un’esigenza che si avverte a poco a poco, si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo.. Sarei certo di cambiare la mia vita
se potessi cominciare a dire “noi”».

Di chi sono queste straordinarie parole?
Del poliedrico e geniale Giorgio Gaber, che con la sua Canzone dell’appartenenza ci introduce ad un altro gigante della musica, che tali parole ci permettono di mettere in luce: il compositore Ennio Morricone. Prima, tuttavia, non è forse superfluo chiedersi cosa sia la musica.. dal greco antico mousikḗ, “arte delle Muse”, è appunto l’arte di ideare e creare suoni, a partire dalla voce umana. Fenomeno culturale universalmente riconosciuto, in origine il termine rimandava a qualcosa di perfetto e non si riferiva ad una particolare arte, ma a tutte le arti delle Muse, le nove divinità femminili dell’antica Grecia, figlie di Zeus e Mnemosine, la “memoria”, quella le cui note di Morricone sono capaci di introdurci in un mondo altro. Quanto alle canzoni, hanno un carattere duale, a parere del docente universitario Francesco Giardinazzo sono infatti «documento e commento della storia.. capaci di produrre significati che permettono la ricostruzione di un determinato periodo storico, a volte coincidente con la biografia personale di chi scrive». 

Cosa ci dicono allora le numerosissime canzoni che Morricone ha arrangiato, ma soprattutto le musiche che ha prodotto? 
Proviamo a scoprirlo, premettendo che lo ricordiamo il 26 febbraio perché in questo giorno del 2016 venne affissa nella Walk of fame di Los Angeles, il marciapiede più celebre al mondo, la sua stella, 2.574sima di questa originale tradizione. Nato a Roma il 10 novembre 1928, dopo aver studiato al Conservatorio di Santa Cecilia si diploma prima in tromba e poi in composizione, sotto la guida di Goffredo Petrassi, la persona più decisiva, lavorativamente parlando, della sua storia: ai suoi corsi decise di partecipare con ostinazione, nonostante in quel 1954 al conservatorio non ci fossero più posti disponibili. Maestro cui tuttavia non ebbe mai il coraggio di mostrare le sue musiche per il cinema, da lui considerate “roba di serie B”, o meglio solo una debolezza che il compositore si concedeva per sbarcare il lunario. Singolare che per il film La Bibbia di John Huston chiamarono proprio Morricone a sostituire Petrassi, che la produzione non riteneva adeguato a quel compito. Nel libro-intervista Ennio, un maestro con Giuseppe Tornatore, legato al documentario biografico dello stesso regista siciliano, confida a tal proposito: «Cercavano.. un novellino – cioè io – che sarebbe costato il meno possibile. Infatti non sono costato proprio niente, perché infine non mi hanno pagato». Non solo, per conflitti legati alla produzione, alla fine Morricone decise di ritirarsi, così la colonna sonora Huston la affidò al compositore giapponese Toshiro Mayuzumi.  

Cos’ha fatto di così importante Morricone? In altre parole, perché ricordarlo?
La mole di quanto realizzato ha dell’incredibile: ha scritto musiche per più di 500 film e serie TV, oltre che opere di musica contemporanea. Come giovane arrangiatore della casa discografica RCA Italiana ha contribuito a formare il sound degli anni sessanta del Belpaese, arrangiando brani – dal francese arranger, “organizzare”, “accomodare al meglio” – che hanno fatto la storia. Il motivo per cui rendergli omaggio è tuttavia un altro, ovvero il suo essere stato un uomo appassionato della vita, in particolare di quel pezzo di vita che per lui era la musica, e lo ha fatto da creativo, là dove il creativo è in primis colui che porta avanti a suo modo e a suo tempo l’opera del Creatore! «Il problema di chi crea – dice lui stesso – è il solito, è la pagina bianca che ti trovi davanti e a cui devi dare una forma, un significato, un cuore. Il piccolo dramma è: come la riempio quella pagina? Ecco, lì c’è il pensiero che deve nascere, che deve svilupparsi, che deve andare avanti alla ricerca di tutto, tutto ciò che è possibile e a volte impossibile. Quel pensiero e quel desiderio di osare non devono morire.. mai». Scusate, non si sta forse parlando di ogni vocazione umana? Ma torniamo all’inizio della sua vicenda, che parte, e non potrebbe essere altrimenti, dai genitori, originari della provincia di Frosinone: Mario Morricone e Libera Ridolfi. Il padre era uno straordinario trombista (così ritiene si debba chiamare, non trombettista) che però lavorava dalla mattina alla sera – spesso nelle orchestrine che intrattenevano i villeggianti a Rimini e Riccione – , dunque un padre assente, oltre che severo. Ennio racconta, quando cominciò ad arrangiare, il padre non era più così efficiente, pertanto scelse di smettere di scrivere pezzi di tromba: «Lo facevo per non offenderlo.. Fu un momento drammatico nel rapporto fra me e lui.. Solo quando lui morì, ricominciai a scrivere parti per tromba». Ebbe tre sorelle – Adriana, Maria e Franca – e un fratello, Aldo, morto però giovanissimo a causa di un banale incidente domestico.

Quindi tutto iniziò con la tromba..
Proprio così, Ennio cominciò a suonarla a 11 anni e a 16 si diplomò, pur non amandola mai davvero: «Io – confessa – volevo veramente diventare medico, ma mio padre un giorno comunicò la sua decisione: “Ennio studierà la tromba”. E così mi ha mandato al conservatorio.. Io non ho deciso niente». Che dire, scelta alquanto dispotica, caro signor Mario, ma il mondo la ringrazia di tutto cuore! Alla domanda sul perché proprio medico, risponde che voleva diventare come il loro pediatra, al tempo medico dei figli di Mussolini. Poi si appassiona alla musica ascoltando compositori antichi, su tutti Giovanni Pierluigi da Palestrina, Claudio Monteverdi e Girolamo Frescobaldi, e moderni: Gian Francesco Malipiero, il suo maestro Goffredo Petrassi e Igor Stravinskij. Diplomatosi come detto in tromba prima e in composizione poi, completa la sua formazione studiando anche musica corale e direzione di coro. Dirà egli stesso: «qui in Italia dimentichiamo due grandi compositori: Giovanni Pierluigi da Palestrina e Girolamo Frescobaldi.. C’è stato un periodo nella storia della nostra musica in cui i canti della chiesa erano accompagnati da parole profane, anche scurrili. Nei canti liturgici le parole sacre si accompagnavano a melodie popolari, a canzonette qualsiasi. Questa degenerazione musicale si diffuse, così il Concilio di Trento decise di fare ordine e stabilì nuove regole da osservare. Qui si vide la grandezza di Palestrina, che fu autore di capolavori assoluti. Con lui nacque la cosiddetta scuola romana, di cui secoli dopo posso dire di far parte anch’io». Ma se iniziò con la tromba, il suo strumento preferito rimane un altro: «Se proprio mi minacciassero (di scegliere).. Forse alla fine direi l’organo.. lo strumento (che, a differenza degli altri) non è più schiavo di colui che suona.. E poi fa parte della grande storia della musica sia liturgica sia laica». 

A proposito, qual è stato il suo rapporto con la musica liturgica?
Durante le celebrazioni, rivela che suonava tantissimi pezzi che nulla avevano a che fare con la liturgia: «Spesso da ragazzo (la musica scritta per Stazione Termini l’ho suonata) anche in chiesa, e piantavo un gran casino col prete, che non voleva quel pezzo, e allora mi guardava dallo specchietto con l’espressione incazzatissima.. (ma) ammetto che non c’entrava un cacchio con la messa.. le musiche liturgiche non le conoscevo nemmeno». A un giovane di diciassette, diciotto anni del resto.. si poteva chiedere di più? Nel 1960 comincia a scrivere musiche per film, e contemporaneamente lavora come arrangiatore di musica leggera per la casa discografica RCA Italiana, il cui direttore artistico Vincenzo Micocci gli commissiona l’arrangiamento di brani italiani che passeranno alla storia: Se telefonando io; Pinne fucile ed occhiali; Guarda come dondolo; Abbronzatissima; Hully gully in 10; Sul cucuzzolo; Sapore di sale; Il mondo; Tremarella; Questo piccolo grande amore; La solitudine e tanti altri ancora. La collaborazione più fruttuosa fu probabilmente con Gianni Morandi, che definiva «Delizioso.. era solo un ragazzo di sedici, diciassette anni.. (di) suoi arrangiamenti – disse Morricone – , ne feci tanti.. Andavo a cento all’ora; Fatti mandare dalla mamma; Ho chiuso le finestre; In ginocchio da te; Non son degno di te; Se non avessi più te; La fisarmonica. Ma c’eranotanti altri a guidarlo..». L’ultima canzone che arrangiò per lui fu C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, dopo di che lasciò la RCA, che lo richiamò tempo dopo per arrangiare un pezzo di Riccardo Cocciante, celebre in primis per Margherita, a detta di Morricone un vero capolavoro. Se già a partire dal 1946 aveva iniziato a comporre diversi brani classici, ciò che gli ha fornito una fama internazionale sono state tuttavia le musiche dei film western all’italiana, soprattutto da quando conobbe, o meglio ri-conobbe, Sergio Leone.

In che senso ri-conobbe?
Il primo western Morricone lo fece col regista Mario Caiano, Le pistole non discutono, mentre il secondo con lo spagnolo Ricardo Blasco, Duello nel Texas. Fu proprio ascoltando le musiche di questi due che Sergio Leone volle conoscerlo, scoprendo e ricordandosi poi che i due erano stati compagni di classe in terza elementare! La stessa sera in cui si rincontrarono, tra l’altro, andarono a mangiare da “Checco er Carettiere”, altro compagno di quella classe! Dalla prima collaborazione nacque allora nel 1964 Per un pugno di dollari, film che venne firmato dai protagonisti con pseudonimi, dato che la produzione voleva sembrasse una pellicola americana, quando di statunitense c’era solo Clint Eastwood. Morricone si firmò Dan Savio, nome (femminile) di un’amica di sua moglie. La verità è che al tempo a fare film western, seppur del calibro de Il buono, il brutto e il cattivo, ci si vergognava, essendo considerati film di serie B. A quelli poi che ricordavano Ennio solo per questo genere di film, lui ribadiva stizzito che sulle quasi cinquecento pellicole musicate, solo trenta erano western. Tornando a Per un pugno di dollari, Morricone confida ironicamente che quel film non piacque a Sergio Leone, mentre a lui stesso neppure la musica! Il più grande capolavoro del regista e amico rimane tuttavia, a detta di Ennio, C’era una volta in America. 

Quindi non fece unicamente colonne sonore western..
Fu capace di cimentarsi in tutti i generi cinematografici, come testimoniano le sue colonne sonore più celebri: Nuovo cinema paradiso; Mission; La leggenda del pianista sull’oceano; The untouchables; Kill Bill: Volume 1; La miglior offerta; Baarìa; Metti una sera a cena; La battaglia di Algeri; L’uccello dalle piume di cristallo e molti altri. Dagli anni settanta Morricone diventa infatti un nome di spicco anche nel cinema hollywoodiano, componendo per registi americani del calibro di John Carpenter, Brian De Palma, Terrence Malick, Oliver Stone, Roman Polański e Quentin Tarantino. Ma i riconoscimenti che ricevette, e furono tanti, forse non rendono adeguatamente omaggio ad una tale carriera: pur avendo vinto tre Golden Globe, dieci David di Donatello e tanti altri premi, pur avendo venduto oltre 70 milioni di dischi, l’Oscar – il premio più ambito – lo vide candidato in diverse occasioni come miglior colonna sonora, ma è solo nel 2016  che lo ricevette. Nove anni prima tuttavia, il 25 febbraio 2007, dopo ben cinque candidature non premiate, accompagnato da una grandiosa standing ovation gli venne conferito l’Oscar alla carriera, «per i suoi magnifici e multiformi contributi nell’arte della musica per film». A consegnargli la statuetta fu Clint Eastwood, col quale non lavorò mai nelle vesti di regista: «Qualcuna delle sue prime regie mi fu offerta, ma rinunciai. Non mi pareva corretto.. Per rispetto nei confronti di Sergio (Leone, ndr). Sbagliai, so che sbagliai». Tornando ai riconoscimenti avuti, il 27 dicembre 2017 ricevette il Cavalierato di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, il secondo grado in ordine d’importanza.

Ebbe altri, per così dire, rimpianti?
Sergio Leone produsse anche i primi due film di Carlo Verdone, Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone, di cui fu in qualche modo lo scopritore. Le musiche furono ovviamente di Morricone, ma Verdone non le apprezzò: «per il suo terzo film non mi chiamò, e non mi ha mai più chiamato. Non me ne rammarico, penso solo che non gli piacesse quella maniera di mettere la musica in un suo film». Altre volte fu lui a rifiutare film che poi sarebbero diventati dei cult, su tutti Balla coi lupi, che vinse diversi Oscar ma, come detto, Ennio non voleva essere identificato col solo genere western. Un approccio negativo memorabile avvenne poi con un futuro gigante: «Pasolini aveva preparato una lista di pezzi tra i quali avrei dovuto scegliere – confessa Morricone – , e che in realtà aveva già scelto lui.. Così gli dissi: “Scusi, io sono un compositore, scrivo musica, non prendo le musiche di altri e le metto sul film.. devo rifiutare”. Lui mi rispose: “Va bene, allora faccia come vuole lei!”.. nessun altro regista mi aveva risposto così, concedendomi in un attimo tanta fiducia». Gli chiese solo di inserire Mozart, per motivi scaramantici. Ma tra i film che avrebbe potuto musicare, Morricone ne cita soltanto uno, Arancia Meccanica: «Ero già d’accordo su tutto con Stanley Kubrick. Mi chiamò al telefono.. non mi chiamava un regista, mi chiamava un colosso.. Eravamo d’accordo anche sul compenso.. Poi Kubrick parlò con Sergio Leone.. e (gli) chiese una specie di permesso». Fatto sta che, siccome Morricone stava lavorando con quest’ultimo per Giù la testa, il regista romano si mise in mezzo e non se ne fece nulla.. «ed è l’unico dispiacere legato a un film che non ho fatto».

Quale è stata la sua pellicola più amata?
Se il primo film in cui comparve il suo nome – ma altri ne aveva già fatti – fu Il federale di Luciano Salce, alla domanda di Tornatore su quale riputi il suo lavoro migliore, Ennio rispose: «certamente Mission, un film.. con significati interni che forse il pubblico non coglie pienamente». Confidò in seguito che un giorno un padre gesuita gli chiese una messa per il duecentesimo anniversario della loro ricostituzione, avvenuta nel 1814: «“Guardi, padre” gli dissi, “non le prometto niente.. mia moglie mi chiede una messa da dieci anni.. (e invece) L’ho fatta.. Mi è sembrata una coincidenza enorme nel destino della mia vita». Ma il fatto di non aver ricevuto l’Oscar per quella pellicola gli scocciò parecchio. E aggiunge: «Ho anche pensato che il premio alla carriera del 2007 fosse un modo per sanare un’ingiustizia», Oscar alla carriera che reputa in ogni caso superiore a quelli legati a qualche opera, superandole tutte. In quello stesso 2007, tra l’altro, ha partecipato alle primarie del Partito Democratico, ma nel suo impegno politico ha soprattutto preso a cuore le sorti dell’insegnamento della musica nelle scuole..

Tornando invece all’arrangiamento, che valore gli dava?
«Un arrangiamento – diceva – può dare una svolta importante, ma credo che alla fine la canzone debba essere buona di suo». Ciò che gli fece abbandonare quel mestiere fu però la sua contrarietà al fatto che la musica debba servire il testo: «La musica al servizio di un’altra arte mi dà fastidio». Quanto alla musica dei film, pretendeva che potesse essere ascoltata indipendentemente dalla pellicola. In altre parole doveva “funzionare” anche da sola. L’arrangiamento, tra l’altro, doveva evidenziare soprattutto l’attacco del brano, poiché a quei tempi, alla gente che chiedeva nei negozi di poter ascoltare un disco, venivano concessi i primi secondi: il successo di Ogni volta di Paul Anka, solo per fare un esempio, fu probabilmente legato soprattutto a questo motivo. Il compositore Benedetto Ghiglia sostiene che Morricone sia stato il padre dell’arrangiamento moderno. Sia come sia, buona parte del suo successo è forse legata all’utilizzo dei suoni realistici, negli arrangiamenti prima e nelle colonne sonore dei film dopo. Tale abitudine ebbe inizio quando da giovane ascoltò il disco di due ingegneri francesi, che producevano musica fatta solo ed esclusivamente da rumori. Da quel momento diventeranno celebri i fischi, la macchina per scrivere, la frusta, i barattoli, l’incudine, la campana, l’alfabeto Morse, gocce d’acqua, sirene della polizia, molle di ferro, senza dimenticare l’urlo del coyote di Per un pugno di dollari, e via dicendo. Dal 1964 Morricone entrò infatti a far parte del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, che si occupava principalmente di musica d’avanguardia attraverso l’improvvisazione libera, fondato qualche anno prima da Franco Evangelisti, con cui Morricone suonò e registrò album fino al 1980. Non solo, in diverse musiche Ennio ha “nascosto” il nome di Bach, ma non per scaramanzia: «L’uso del nome di Bach e il tema dei tre suoni del ricercare cromatico di Frescobaldi.. erano.. la mia illusione di dare dignità alla mia musica.. sentivo quella forza perché veniva proprio da autori classici che amavo». Insomma, una sorta di apparizione nascosta alla Alfred Hitchcock, che compariva fuggevolmente nei suoi film. Quanto a quella all’interno dei film ebbe a dire: «Se la musica deve essere originale deve tener conto dell’opera. All’interno del film, la ripetizione di un tema, anche solo timbrica, si rispecchia, diventa un’eco del momento precedente nel successivo. Impegna l’ascoltatore non solo con l’udito ma anche con memoria e con la memoria visiva. Se mi manca tutto questo, la musica non centra il suo bersaglio». 

Cos’altro sappiamo di lui?
Nel 1956 si unisce a Maria Travia – «Quando ci sposammo – disse – , non avevamo nemmeno i soldi per il viaggio di nozze.. andammo a Taormina» –, unione dalla quale nacquero quattro figli: Marco; Alessandra; Andrea, musicista; e Giovanni, regista e sceneggiatore. Morricone è stato inoltre un abile giocatore di scacchi, iniziando all’età di diciotto anni come autodidatta, fino a raggiungere il livello agonistico, concludendo poi col musicarne l’inno delle Olimpiadi nel 2006: «trovo gli scacchi.. un combattimento che insegna la battaglia della vita, la forza della resistenza.. tutto avviene in modo non cruento, né drammatico.. (amore nato casualmente) Andavo al conservatorio a piedi.. c’è ancora oggi un’edicola..», dove comprò un libro su questo sport e iniziò ad appassionarsi, al punto da trascurare la musica, tanto che il padre gli proibì di giocare: «Credo di aver ripreso almeno quindici anni dopo». Sappiamo che era un po’ superstizioso: «prima non lo ero. Lo sono diventato proprio quando ho cominciato a lavorare nel cinema». Quanto al suo carattere, disse al già citato Tornatore: «Mi sento onesto e molto buono. Mia moglie mi fa notare che qualche volta mi arrabbio troppo. È vero.. ma quasi sempre con me stesso.. mi irritano (anche) i rumori mentre rifletto su un pezzo». E aggiunse: «Se c’è un segreto, cercalo nel silenzio. Perché il silenzio è musica, almeno quanto i suoni, forse di più. Se vuoi entrare nel cuore della mia musica, cerca tra i vuoti, tra le pause. Ogni suono è (infatti) soltanto la pausa di un silenzio. La mia musica parte da qui.. (e) da due giganti, Johann Sebastian Bach e Igor Stravinskij». 

Fu un uomo di fede? Era in qualche modo credente?
Di certo non fu un tratto caratteristico della sua esistenza. Il 10 giugno 2015 diresse la Messa di papa Francesco, una sua composizione dedicata al primo papa gesuita della storia. Sosteneva che «abbiamo bisogno di miracoli.. Prima.. delle riflessioni di un compositore.. poi il miracolo dell’esecutore.. infine il miracolo dell’ascoltatore.. (che) In quel pezzo trova i suoi affetti, trova la sua personale nostalgia.. Che poi (la mia musica) susciti entusiasmi, condivisioni, nostalgie, è bello, ma non so dirne le ragioni». Insomma, tutto e sempre legato alla musica, che aveva in testa in ogni momento: «Certe volte immagino, e sento anche, un’orchestra che suona.. Suoni che non controllo.. Scrivo musica preferibilmente la mattina». E aggiunge: «dormo sempre con della carta da musica sul comodino, potrei svegliarmi nel cuore della notte e allora devo essere pronto a scrivere». Quanto a quella presente, «non è nato ancora nessuno – diceva – che con il suo genio è in grado davvero di spaccare il presente». Musica che ne caratterizzava le giornate dall’inizio alla fine: dopo una levataccia alle quattro del mattino faceva infatti un po’ di ginnastica (molto lenta!), un po’ di riposo, una doccia e, dopo essere andato a prendere i giornali e aver fatto colazione con la moglie, si gettava a capofitto nella sua più grande passione. Sappiamo inoltre che era tifoso della Roma, ma confessò che da bambino tifava per l’altra sponda del Tevere: «Nella mia classe alle elementari c’erano ragazzini laziali. M’hanno detto: “Ahò, te sei laziale?”. E io subito, senza sapere ciò che dicevo: “Sì, so’ laziale!”.. Un giorno (mio padre) mi domandò: “Ma tu per quale squadra fai il tifo?”. “La Lazio, papà!”. Me diede ’na pizza: “E non ti vergogni?”. Mi vergognai, tanto che sono diventato della Roma». Allo stadio andava spesso con Sergio Leone, ma quando scoprì che era laziale smise di andarci con lui..

A proposito di inni, chissà cosa pensava di quello delle varie nazioni, a partire dal nostro di Mameli..
L’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli chiese un giorno un parere a riguardo: «(gli) parlai piuttosto male – disse – sia del testo, sia della melodia, sia dell’accompagnamento». Insomma, non le mandava certo a dire! Tra i suoi discepoli più cari c’è senza dubbio Alessandro De Rosa, che iniziò a studiare composizione su suggerimento dello stesso maestro. Con lui ha scritto il libro-intervista Inseguendo quel suono. La mia musica, la mia vita. A Morricone è dedicato l’auditorium della Facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tor Vergata, ma i tributi più graditi gli vengono forse dallo stesso mondo della musica: sappiamo infatti che The Edge, il chitarrista degli U2, di cui Morricone è l’artista preferito, gli ha dedicato la canzone Magnificent. Il gruppo statunitense dei Metallica ha inoltre sempre reso omaggio al maestro aprendo i concerti con le sue musiche. Ma la dedica più curiosa è senza dubbio quella legata all’asteroide “152188 Morricone”. 

Come e quando morì?
Salutò questa vita all’alba del 6 luglio 2020, all’età di 91 anni, presso il Campus Bio-Medico di Roma, dove era stato ricoverato in seguito a una caduta con conseguente rottura del femore. Le esequie sono state celebrate in forma privata nella cappella dell’ospedale, come da lui stesso desiderato, mentre le sue spoglie mortali riposano nel cimitero Laurentino. Alla domanda «per cosa vorresti essere ricordato?», rispose a Tornatore ciò che un giorno, all’età di ventitre anni, disse alla moglie Maria: «rimanere nella storia della musica come un compositore, una piccola riga breve che mi segnalasse come uno che ha vissuto per la musica.. – e aggiunse – Non so se ci sono riuscito..». Ma, è ancora Ennio a parlare, «il giudizio su qualsiasi artista.. puoi darlo davvero solo dopo la sua morte, dopo lo studio attento delle sue partiture, dei suoi quadri o delle sue sculture. Non puoi valutarlo subito». 

Indipendentemente dal tempo che è passato, concedici caro Ennio di esprimere il nostro giudizio: non solo hai vissuto per la musica, ma con la tua passione hai reso la nostra una vita migliore.. grazie! 

 

Recita
Stefano Rocchetta, Riccardo Cenci, don Franco Mastrolonardo, Cristian Messina

Musica di sottofondo
Arrangiamenti di Gabriele Fabbri

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