Compagni di viaggio: Pier Paolo Pasolini (24 Aprile)



Pier Paolo Pasolini (24 Aprile)
«Quel nostro ventre da cui sei uscito ti ha sempre riempito di orrore, fuorché tua madre, che veneravi come una Madonna messa incinta dallo Spirito Santo, dimenticando che anche tu eri stato legato a un cordone ombelicale che si snoda nel sangue.. non dimenticavi mai la leggenda che dà a noi la colpa di aver colto la mela, scoperto il peccato. Odiavi troppo il peccato, il sesso che per te era peccato. Amavi troppo la purezza, la castità, che per te era salvezza. E meno purezza trovavi, più ti vendicavi cercando la sporcizia, la sofferenza, la volgarità, come una punizione. Come certi frati che si flagellano, là cercavi proprio quel sesso che per te era peccato, il sesso odioso dei ragazzacci dal volto privo di intelligenza, tu che avevi il culto dell’intelligenza. Dal corpo privo di grazia, tu che avevi il culto della grazia. Dalla mente priva di bellezza, tu che avevi il culto della bellezza. In loro ti tuffavi, ti umiliavi, ti perdevi, tanto più voluttuosamente tanto più essi erano infami. Di loro ci cantavi con le tue belle poesie, i tuoi bei libri, i tuoi bei film. Da loro sognavi d’essere ucciso prima o poi, per compiere il tuo suicidio..». 

Di chi sono queste parole così forti, e a chi si stanno riferendo?
Della celebre scrittrice e giornalista Oriana Fallaci (1929-2006), con le quali si rivolse all’amico-nemico Pier Paolo Pasolini, attraverso una lettera postuma datata 14 novembre 1975, dodici giorni dopo la sua morte, una missiva che così prosegue: «Tu scrivendo insultavi, ferivi fino a spaccare il cuore, ed io non ti insulto dicendo che non è stato quel diciassettenne ad ucciderti: sei stato tu a suicidarti, servendoti ti lui. Io non ti ferisco dicendo che ho sempre saputo che invocavi la morte come altri invocano Dio, che agognavi il tuo assassinio come altri agognano il paradiso. Eri così religioso, tu che ti presentavi come ateo. Avevi un tale bisogno di assoluto, tu che ci ossessionavi con la parola umanità. Solo finendo con la testa spaccata e il corpo straziato potevi spengere la tua angoscia e appagare la tua sete di libertà. E non è vero che detestavi la violenza: col cervello la condannavi, ma con l’anima la invocavi, quale unico mezzo per compiacere e castigare il demonio che bruciava in te. Non è vero che maledicevi il dolore: ti serviva invece, come un bisturi per estrarre l’angelo che era in te». 

Cosa sappiamo di lui?
La madre, Susanna Colussi-Batistòn, era maestra elementare e, tra i tanti soldati trasferitisi in Friuli allo scoppio della Prima guerra mondiale, aveva conosciuto il ravennate Carlo Alberto Pasolini. Da tale “conoscenza” nacque prima Pier Paolo, il 5 marzo 1922, poi Guidalberto, nel 1925. Il primo, per via degli spostamenti del padre, vide la luce a Bologna, il secondo a Belluno. Dopo una lunga prigionia in Kenya, papà Carlo Alberto farà ritorno solo nel ’47, ma tre anni dopo – diagnosticatagli una sindrome paranoidea – rimarrà solo, abbandonato dal primogenito e dalla moglie, fuggiti a Roma perché incapaci di rimanere in quella pesante situazione familiare. Raggiungerà i due anni dopo, coi quali vivrà fino al 1958, anno della sua morte. Il feeling che c’era tra Pier Paolo e Susanna fece soffrire non poco Guidalberto, che tuttavia stimava il fratello maggiore, come testimonia l’episodio in cui, quando si trovavano a Bologna, prese le sue difese contro un gruppetto di bulli che lo offendevano per la sua omosessualità: ne uscì con una commozione cerebrale! Ma il 12 febbraio del ’45 gli fu fatale, massacrato insieme ad altri partigiani. 

Tornando a Pier Paolo, invece?
Ancora diciassettenne, avendo anticipato la maturità classica, si iscrive alla facoltà di lettere nel capoluogo felsineo, ma il suo interesse maggiore è rivolto alla storia dell’arte, la cui cattedra è occupata da Roberto Longhi, professore che esercitava un fascino enorme sugli studenti, capace di andare fino a Parigi per vedere un film di Renoir, proibito in Italia, per poi poterne discutere in aula con gli alunni. Longhi divenne un trait d’union in grado di eliminare le barriere dello spazio-tempo, seppe infatti accostare due giganti: ovviamente Pasolini, e Caravaggio. Com’è possibile? Perché nel 1951 allestì a Milano una mostra che, attirando migliaia di visitatori, restituì al Merisi la grandezza scomparsa in tre secoli di dimenticatoio. Se Pier Paolo si stava preparando ad un futuro di storico dell’arte – avendo scritto tra l’altro i primi tre capitoli della tesi – Longhi dal canto suo lo degnava di scarsa considerazione. Richiamato alle armi l’1 settembre del 1943, si diede alla fuga riparando nella sua Casarsa.

Cosa rappresentò davvero per lui questo paesino friulano?
«A Casarsa.. – scrive nel suo Breve vita di Pasolini il poeta, narratore e saggista, nonché cugino di Pier Paolo, Nico Naldini (1929-2020) – alla fine dell’Ottocento si contavano circa cinquemila abitanti. Si sarebbe potuto chiamarle anime, data la loro devozione alla Chiesa cattolica.. Dio era visibile nel soffitto affrescato della chiesa parrocchiale, e coloro che ci stavano sotto non riconoscevano nel loro intimo altra autorità». Nel ’42 esce il suo primo libro di versi: Poesie a Casarsa, carico di quella parlata che la gente semplice di quella terra adotta per le comunicazioni più essenziali, o per tramandare indovinelli, fiabe o ninne nanne. Pubblicazione dopo la quale la famiglia, padre a parte, decide di trasferirsi definitivamente a Casarsa. In un paesino lì vicino poi, Versuta, Pier Paolo sceglie un giorno di affittare una stanzetta per portarci i suoi libri, ma quando nell’autunno del ’44 il fratello Guido si aggregherà ai partigiani in Carnia, lui e la madre vi si trasferiranno, rimanendoci due anni.

Di lui fece discutere soprattutto la sua omosessualità.. 
Se già nel 2013 papa Francesco aveva diviso i “benpensanti” con la celebre frase «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?», un articolo di Avvenire del 28 gennaio 2023 riporta lo scambio avvenuto tra il vescovo di Roma e il gesuita statunitense James Martin, che svolge il suo apostolato tra le persone LGBT. In esso il pontefice afferma che, quando si tratta il peccato, «bisogna considerare anche le circostanze, che diminuiscono o annullano la colpa», perché «sappiamo bene che la morale cattolica, oltre alla materia, valuta la libertà, l’intenzione», e ciò vale «per ogni tipo di peccato», per poi aggiungere: «A chi vuole criminalizzare l’omosessualità vorrei dire che si sbaglia». Sulla ribalta di quel mondo che contempla ancora oltre cinquanta Paesi che condannano legalmente l’omosessualità – alcuni dei quali prevedendo perfino la pena di morte! – Pasolini è entrato in scena già nel secolo scorso, a partire dalla sua iniziazione erotica, avviata con un certo Bruno, «ben presto – è ancora il Naldini a parlare – inizieranno passioni multiple e sincroniche, create da una perenne sete di avventure erotiche, strappate a un ambiente, quello contadino, che per sua natura è poco incline a questa variante dell’amore». Il suo amore per la notte, dopo che gli amici erano andati a dormire, gli causerà non pochi guai, eppure, diceva lui stesso, «la solitudine è la cosa che amo di più».

In diversi lo considerano forse il più grande intellettuale del secolo scorso.. è così?
A Casarsa Pier Paolo e Susanna organizzano gratuitamente e in casa loro, una scuola privata per i figli dei contadini che, a causa dei rischi legati al conflitto militare, non possono raggiungere in sicurezza Udine: di quelli delle scuole medie se ne occupa lui, gli allievi elementari sono invece affidati alla madre. Laureatosi nel 1945, due anni dopo inizia ad insegnare a Valvasone, località che dista cinque chilometri da Casarsa, sempre rigorosamente percorsi in bicicletta. Quando sono già cinque anni che risiede a Roma, inizia a scrivere Ragazzi di vita, romanzo che gli assicura una certa notorietà, cui seguono Le ceneri di Gramsci e Una vita violenta. Nel frattempo, fonda insieme agli amici bolognesi la rivista Officina, importante stimolo culturale per quegli anni. Tornando alla domanda, lasciamo che a rispondere sia Roberto Saviano, nelle pagine del suo libro Gridalo, in cui, rivolgendosi a sé stesso quando era ancora adolescente, scrive ad ogni lettore di quell’età: «Sai, la verità è che esistono solo due tipi di intellettuali: quelli che raccontano la vita osservandola come da dietro un paravento, e quelli che ci si devono schiantare addosso, perché solo quando sono al tappeto, agonizzanti, allora riescono a descriverla. Pasolini era del secondo tipo: dentro alla vita. Scrivere sì, leggere sì, commentare sì, fare analisi sì, ma solo dall’alba al tramonto, perché – sparito il sole – iniziava il suo corpo a corpo con la vita. Pasolini non ha mai usato la testa per scrivere, ha usato sempre e solo il corpo, più precisamente il corpo a corpo».  

Cosa pensava, invece, Pasolini stesso della cultura?
Il 28 dicembre del ’68, su un articolo confluito su Il caos – frutto, insieme a Le belle bandiere, delle due rubriche che Pier Paolo teneva sui settimanali Vie nuove e Tempo illustrato – alla domanda «Perché ci si droga?» rispondeva – certo riferendosi non a tutti, ma alla maggioranza – che «Ci si droga per mancanza di cultura». Per precisare poi che «In realtà, tutti ci droghiamo. Io.. facendo il cinema, altri stordendosi in qualche altra attività. L’azione ha sempre una funzione di droga.. (allora) Ciò che salva dalla droga vera e propria (cioè dal suicidio) è sempre una forma di sicurezza culturale.. – e sentenzia – Il passaggio da una cultura umanistica a una cultura tecnica pone in crisi la nozione stessa di cultura. Vittime di questa crisi sono soprattutto i giovani. Ecco perché ci sono tanti giovani che si drogano». Se a quei tempi gli stupefacenti erano di un certo tipo, occorrerebbe chiedersi quale sia concretamente la “droga” che anestetizza dal “male di vivere” i giovani di oggi, sempre più tecnologicamente in contatto fra loro, eppure sempre più soli.. Ma il suo essere uomo di cultura non lo estraeva dal mondo, anzi!

In che senso?
La passione che nutriva per il calcio – “pura gioia della sua vita”, come amava dire lui stesso –  è solo un esempio di quanto godesse appieno di tutto quello che la società poteva offrire: «io so i nomi dei giocatori di quasi tutte le squadre non solo di oggi – scriveva a 47 anni –, ma anche delle stagioni passate; e ne seguo le vicende». A calcio Pasolini ha continuato a lungo a giocarci, e in diverse occasioni non mancò di andare sugli spalti del Renato Dall’Ara a sostenere il suo Bologna. 

Quanto all’“impegno” politico, invece?
Ad un certo punto inizia a collaborare con l’Architrave e il Setaccio, la prima una rivista del GUF (Gioventù Universitaria Fascista), la seconda organo della GIL (Gioventù Italiana del Littorio).. ma come, non era comunista?! Sì, ma per capire questa contraddizione lasciamo la parola al cugino Naldini, che dice: «Pier Paolo, come tutta la sua generazione, è politicamente un vaso vuoto, riempito da quello che il regime fascista ha ritenuto opportuno fornire ai giovani, circonfuso da molta retorica e da falsa vitalità». E aggiunge: «Quando nel luglio del 1943 cade il fascismo, molte nebulosità e incertezze spariscono di colpo. Resta nei giovani la meraviglia di come un popolo di antica cultura possa essersi consegnato a un tiranno di cui ora si scoprono i lati deboli, velleitari, parolai, comici e infine tragici». Sarà solo nel 1947 che, dopo aver letto il Manifesto di Marx e diverse opere di Gramsci, si iscriverà al PCI, diventando in poco tempo uno dei militanti più in vista. Nell’ottobre del ’49 però, in seguito a una denuncia per atti osceni e corruzione di minorenni, Pier Paolo viene espulso dalla sezione di partito di Udine. Il suo orientamento politico diventerà sempre più anarchico, perché insoddisfatto di qualsiasi partito, anche se continuerà a votare comunista.   

Sembra che, pur criticando la religione, il suo rapporto con essa fosse in qualche modo forte..
Ridiamo voce nuovamente ad Oriana Fallaci, che, riferendosi alla tenera cura che aveva per il soprano più famoso di tutti i tempi, Maria Callas (protagonista tra l’altro del suo film Medea), afferma: «c’era in te l’eroismo del missionario che va a curare i lebbrosi, la bontà del santo che subisce il martirio con gioia.. (una sera a Copacabana, sulla spiaggia di Rio de Janeiro) ti mettesti a parlare di Gesù Cristo, di san Francesco.. nessun prete mi ha mai parlato come te di Gesù Cristo e di san Francesco. Una volta mi hai parlato anche di sant’Agostino, del peccato e della salvezza come li vedeva (lui).. ho compreso in quell’occasione che cercavi il peccato per cercare la salvezza.. ciò che mi dicesti.. mi è rimasto come una cicatrice, perché era un inno all’amore, cantato da un uomo che non crede alla vita.. La tua virtù più spontanea era la generosità, non sapevi mai dire no. Regalavi a piene mani a chiunque chiedesse, sia che si trattasse di soldi.. di lavoro.. di amicizia». 

Insomma, un uomo pienamente evangelico!
La sua preferenza per i semplici e gli ultimi è sempre stata marcata, tanto da fargli dire: «c’è molta dolcezza nella mia natura.. Ma l’uso, evangelicamente, solo coi poveri o con gli esclusi». Ad un carcerato che gli scrive dalla prigione risponde con grande tenerezza: «Se sono tanti anni che sei lì, vuol dire che l’hai combinata abbastanza grossa: eppure la tua anima è piena di grazia». «La nostalgia che sente inoltre per (il) mondo religioso (di Casarsa), – scrive sempre Naldini – simboleggiato dal suono delle campane e dal profumo dell’incenso, mescolandosi a quanto c’è di accecante e irrisolto nel suo erotismo, si colora di eresia. Si identifica nel Cristo crocefisso, esposto quasi nudo agli sguardi del mondo». Già, la nostalgia, dal greco nostos e algos, ovvero il “dolore per il ritorno a casa”, ma quale casa? Pasolini stesso affermerà in seguito: «Sono sempre più scandalizzato dall’assenza del sacro nei miei contemporanei. Io difendo il sacro perché è la parte dell’uomo che resiste meno alla profanazione del potere». La sua difesa del sacro prendeva strade concrete e attuali, nel’69 scriveva ad esempio: «Sono tre anni che faccio in modo di non essere in Italia per Natale.. (perché) il nuovo capitalismo.. ha infatti creato il suo nuovo mito autonomo: il Benessere. E il suo tipo umano non è l’uomo religioso, o il galantuomo, ma il consumatore felice d’essere tale». Solo un anno dopo rincarava la dose: «Non ho niente da aggiungere a quanto dicevo un anno fa, qui, contro questa festa stupida e irreligiosa. Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali! ..Gli auguri veri voglio farli a quelli che sono in carcere, qualunque cosa abbiano fatto.. (perché) essi restano gli unici veri contestatori della società. Sono tutti appartenenti alla classe dominata, e i loro giudici sono tutti appartenenti alla classe dominante». 

Qual era, invece, il suo rapporto con la Chiesa?
Circa il suo ruolo diceva che se «non avrà il coraggio di negare se stessa, scomparirà.. prendendo coscienza della propria relatività», mentre in uno dei tanti articoli scritti ha come sempre parole forti e nette: «(se) la carità è pensabile anche di per sé: la fede e la speranza sono impensabili senza la carità: e non solo impensabili, ma mostruose. Quelle del Nazismo (e quindi di un intero popolo) erano fede e speranza senza carità. Lo stesso si dica per la Chiesa clericale». Fede e speranza, ancora, che «da sole rendono fanatici.. (poiché) Servono a giudicare, ma non a comprendere.. a discriminare ma non a scegliere.. alla norma, ma non all’eccezione. Sono insomma, disumane, il “non-credente” è una definizione disumana». E neppure biblica, aggiungiamo noi, dato che l’uomo della Scrittura divide gli esseri umani, anziché tra credenti e non, tra credenti e idolatri, non è possibile infatti non credere, il punto è in cosa. Il suo favore, per concludere la disamina circa le virtù teologali, va dunque alla carità, che «è una conquista libera.. un rapporto reale con la realtà».   

Tra i tanti lasciti che ci ha regalato, per quanto discussi – o forse proprio per questo – non possiamo tacere le sue pellicole..
Dopo aver collaborato a molti film nelle vesti di sceneggiatore o soggettista – su tutti quelli con Federico Fellini – , nel 1960 progetta una pellicola tutta sua: Accattone, prima di tredici, tra le quali Mamma Roma (dedicato al suo maestro Roberto Longhi); Uccellacci e uccellini (con Totò e primo dei suo film “difficili”); Teorema; Edipo re (col quale ha rappresentato la sua lotta edipica col padre) e Il Vangelo secondo Matteo (dedicato questa volta a san Giovanni XXIII, anche se il papa più grande riteneva fosse stato Celestino V, quello del “gran rifiuto”). Ciò che le caratterizza tutte è in ogni caso lo stile, come sottolinea Nico Naldini: «Pier Paolo fa anche centoventi inquadrature al giorno dove altri registi ne avrebbero fatte venti.. abbondanza di primi e primissimi piani, assoluta prevalenza delle persone sul paesaggio, grande semplicità di mezzi. (mentre) Come modello formale pensa alla grande tradizione pittorica italiana da Giotto a Masaccio, e quindi all’esigenza di presentare i suoi personaggi frontalmente, fortemente chiaroscurati, statuari. (infine) Come riferimento ai maestri del cinema pensa a Dreyer, Mizoguchi, Chaplin». Quanto agli attori, ama cercarli per strada. Tutto ciò non può non dividere la critica, spaccata decisamente in due. Rispetto al successo ottenuto con Il Vangelo secondo Matteo – le cui riprese iniziarono il 24 aprile del 1963, ragion per cui ne celebriamo la memoria proprio oggi – pluripremiato dalle varie organizzazioni cattoliche (a Parigi perfino proiettato all’interno della cattedrale di Notre-Dame), ci tiene subito a precisare che non è frutto di una personale conversione, semmai della volontà di evidenziare la sua tensione verso il sacro, il mitico e l’epico, poiché, diceva, «La mia visione del mondo è sempre, nel suo fondo, di tipo epico-religioso». Per quanto riguarda invece gli attori, con questo film inizia la sua “collaborazione” col giovane pastorello Ninetto Davoli, figlio di immigrati calabresi che Pasolini ha conosciuto durante le riprese di un altro film, Ricotta. Nei confronti di Ninetto Pier Paolo sarà gelosissimo e possessivo. L’attore darà ad uno dei suoi figli lo stesso nome del regista. Le colonne sonore dei film pasoliniani, poi, nascevano a casa dell’amica e scrittrice Elsa Morante, la quale disponeva di una collezione di dischi da vera intenditrice. 

Ma i film non sono tutto, scrisse anche poesie, libri, dipinse..
Nella prefazione al già citato Il caos, griffata Roberto Saviano, l’autore dell’epopea Gomorra così esordisce: «Il caos è un capolavoro.. è la realizzazione della profezia di Pasolini. E la profezia si compie nella modernità di queste pagine che, pubblicate oggi, descrivono esattamente il nostro presente». 

Ma Tempo era tra i giornali più finanziati dal regime fascista.. come mai accettò di scriverci?       
È con questa domanda che lui stesso esordisce, affermando: «Ci sono molte ragioni: la prima è il mio bisogno di disobbedire a Budda. Budda insegna il distacco dalle cose e il disimpegno: due cose che sono nella mia natura. Ma c’è in me, appunto, un irresistibile bisogno di contraddire questa mia natura». Ed è con questo stile che affronterà i temi più svariati, a partire dai giovani, che «corrono dietro a stupide chimere, imposte terroristicamente e tutto ciò che non “sa” di queste intimidatorie novità, viene lasciato da parte.. Gli anziani, in parte a causa dello stesso terrorismo, un po’ seguono i giovani, un po’ sono completamente nelle mani dell’industria culturale». Sono parole vergate 1968, ma di un’attualità disarmante!   

Eppure, nonostante il successo e la fama, la giustizia non lo risparmiò..
Dei tantissimi processi che Pasolini ha dovuto affrontare, quello che fece più scalpore è senza dubbio legato all’accusa di rapina: nel novembre del 1961 si ferma con l’auto ad un distributore di San Felice Circeo, in provincia di Latina e, un apparente scambio verbale col giovane inserviente diventa, sui mezzi di comunicazione di massa, rapina a mano armata! 

Come andò a finire? 
Diamo ancora una volta la parola al Naldini, il quale afferma che «il tribunale lo condanna.. a una pena assurdamente mite: quindici giorni di carcere per la rapina e cinque per il porto abusivo di pistola. Evidentemente i magistrati non lo hanno ritenuto colpevole, pur senza aver il coraggio di assolverlo». L’anno seguente Pier Paolo sarà assolto, seppur per insufficienza di prove. Roberto Saviano nel suo Gridalo torna sulla scena: «Il 18 novembre del 1961 un uomo percorre in macchina la strada litoranea che da Sabaudia porta al Circeo.. si ferma a un distributore di benzina. Entra nel bar e ordina una Coca-Cola.. posa il bicchiere.. tira fuori una pistola.. (e) recupera dalla tasca un proiettile.. d’oro.. Pasolini viene processato per rapina.. Il processo.. si chiude.. con una condanna a quindici giorni di reclusione.. una multa di diecimila lire (cinque volte la cifra che Pasolini avrebbe tentato di estorcere) per detenzione di armi e cinquantamila lire di risarcimento al padre del barista, all’epoca minorenne. Ma quali armi se la pistola non fu trovata?». Non solo, il giovane avrebbe sventato la rapina minacciando a sua volta il regista con un coltello, tenuto però dalla parte della lama!? Mah.. E questo fu solo uno dei trentatré processi che subì Pier Paolo.. 

Come mai così tanti? 
Nel pomeriggio del primo novembre 1975 egli stesso sembra presagire la sua fine.. intervistato dall’ex senatore Furio Colombo afferma: «Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori..». Passano poche ore e, lui che di anni ne ha 53, va a cena Al biondo Tevere col diciassettenne Giuseppe Pelosi. Alle 23:40 i due si recano a Ostia con l’Alfa Romeo Giulia GT Veloce grigio metallizzata di Pasolini.. all’1:30 del due novembre i Carabinieri fermano l’adolescente sul lungomare di Ostia, lanciato a tutta velocità in contromano con la Giulia GT.. Il corpo di Pier Paolo verrà ritrovato all’Idroscalo del Lido di Roma, in uno sterrato vicino a un campetto di calcio, dilaniato dai ripetuti passaggi sul suo corpo da parte della propria auto. Il 23 settembre 2009 Pelosi verrà rimesso in libertà, il 20 luglio 2017 morirà al Policlinico Gemelli a causa di tumore ai polmoni. Aveva 59 anni. Sulla morte di Pasolini verranno girati ben cinque film:     a partire dal 1995 con Pasolini, un delitto italiano, diretto da Marco Tullio Giordana; dieci anni dopo è la volta de La voce di Pasolini, di Mario Sesti e Matteo Cerami; l’anno seguente esce Pasolini prossimo nostro, di Giuseppe Bertolucci; Abel Ferrara si accoda otto anni dopo con Pasolini; chiude la lista La macchinazione di David Grieco nel 2016. Saviano non fornisce nulla in più di quanto già detto, ma la sua lettura dei fatti è importante: «Pelosi, appena dopo l’arresto, dichiarò quello che tutti volevano sentire: aveva dovuto ammazzare Pasolini perché Pasolini aveva tentato di sodomizzarlo con un bastone. Molti anni dopo ritrattò, disse che non era vero niente.. Ciò che però non è ancora stato detto su quell’omicidio – conclude – è che quella notte, all’Idroscalo, Pasolini ci arrivò già morto. Ci arrivò sfinito da quei trentatré colpi di processo. E che su trentatré colpi uno, alla fine, ti sia fatale, non è caso, è statistica». 

«Uno scrittore – si domandava Pasolini nel ’69 – deve fingere di essere eterno, grande, fuori dal tempo, e di usare il “quotidiano” solo se assunto a categoria stilistica?». Forse no, caro Pier Paolo, tu, con tutti i tuoi limiti – ma chi non ne ha?! – non hai finto di essere grande e fuori dal tempo: ci sei entrato pienamente, e di questo ti ringraziamo..».  

Recita
Massimo Montanaro, Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach. Matthaeus Passion. Musopen.org. Diritti Creative Commons

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