Compagni di viaggio: Karl Barth (10 Dicembre)



Karl Barth
«Quando mi presenterò di fronte a Dio, certo non potrò portare in una cesta tutti i volumi della mia Dogmatica, gli angeli si metterebbero a ridere. Quando mi presenterò di fronte al mio Creatore, dirò solo “Oh Dio, abbi pietà di me, peccatore”». 

Di chi è questa affermazione? 
A pronunciarla è il teologo Karl Barth in occasione del suo ottantesimo compleanno. Nato a Basilea il 10 maggio 1886, ma cresciuto a Berna, è figlio di un professore di teologia – eccola la sua pre-destinazione! – che non vuole vada a Berlino a formarsi dal progressista Adolf von Harnack, per cui lo indirizza in acque più tranquille. Nella capitale tedesca ci arriverà comunque. Tornato in Svizzera si prepara a fare il pastore, dato che non gli interessa fare carriera accademica, a partire da quello che oggi chiamiamo dottorato. Il suo pensiero può essere diviso in quattro momenti cruciali, cominciando dalla formazione alla scuola della teologia liberale (quella che, detta in termini semplici, si avvale delle moderne scienze), salvo poi rompere con la stessa; quindi la cosiddetta fase dialettica, basata sul fatto che Dio (il “totalmente altro”, secondo la celebre espressione dello storico delle religioni tedesco Rudolf Otto) e l’essere umano sarebbero su due posizioni troppo diverse e distanti tra loro; poi quella di passaggio del Fides quaerens intellectum, in cui Barth assume una posizione più morbida, cercando di conciliare fede e ragione; infine quella dogmatica, in cui cerca un possibile punto di contatto tra Dio e l’uomo. Ma la sua posizione teologica sarà in ogni caso fortemente indirizzata dall’attività pastorale, iniziata nel 1909, come pure dal contatto con gli operai, nonché dalla povertà materiale e culturale dei suoi parrocchiani, oltre che dalla difficoltà a trasmettere loro il Regno di Dio.. tutti aspetti che fanno maturare in lui la convinzione che tra la teologia liberale, da lui imparata all’Università, e la condizione concreta della gente, ci sia un abisso! Sperimenta quel divario che infondo vive un seminarista che, formatosi all’interno di una visione teologica ovattata e idilliaca, si ritrova catapultato nella cruda ma pur bella realtà, la stessa che Gesù ha scelto di condividere essendosi incarnato, non incartato.

A proposito di visione teologica, qual è stato il suo percorso?
Se la teologia cristiana non è capace nei momenti di crisi – e lui stava vivendo quello nazista – di dire altro che sia conformismo, beh, – dice Barth – allora va rivista l’impostazione teologica dalle fondamenta, per cui riformula, da pastore, la riflessione in questi termini: è necessario riscoprire la freschezza della Parola di Dio senza perdersi nei labirinti dell’analisi storica della Bibbia, pur senza rinnegarla. Così comincia con un poderoso commento della Lettera ai Romani, nella cui prima edizione afferma: «Paolo.. parla a tutti gli uomini e a tutti i tempi..». Se inizialmente il libro non ha troppo successo – perché scritto da un pastore di campagna! – , poi diventa un boom editoriale, al punto da scandalizzare gli accademici, dato che la sua esegesi è selvaggia, pretende cioè di avere un accesso diretto al significato spirituale del testo biblico. Barth fa insomma la figura del dilettante, di colui che pretende di saltare le fatiche della ricerca scientifica per approdare subito alle conclusioni. Chiediamoci: non è forse il rischio che avvertiamo in buona parte delle attuali omelie? Probabilmente sì. Ad ogni modo il successo del libro sfocia nella chiamata ad insegnare a Gottinga, rinomata roccaforte luterana, mentre Barth, ricordiamolo, è calvinista, o meglio “riformato”. Egli non era tra l’altro un docente ordinario (percependo ad esempio uno stipendio inferiore), né insegnava teologia dogmatica, quella “di serie A” tanto per intenderci, bensì teologia riformata, ritenuta appunto “di serie B”. 

Tornando per un attimo alla sua formazione, iniziale e non, chi sono stati i riferimenti nel suo percorso?
In diversi ne segnarono il pensiero, estimatori e detrattori. Il già citato von Harnack, a quel tempo teologo numero uno in Germania, fu ad esempio nei suoi confronti molto gentile e accogliente, pur essendo Barth per lui un “marziano”, come pure venne apprezzato da un altro gigante: Rudolph Bultmann, celebre rappresentante di quel filone storico-critico che Barth condannò. Quest’ultimo, pur molto autoironico, non è stato certo generoso coi suoi avversari teologici, a partire dall’amico Emil Brunner, il quale sosteneva che certo l’iniziativa era di Dio, ma all’uomo spettava almeno il poter acconsentire a tale iniziativa. Barth gli rispose con un libro: Nein! Risposta a Emil Brunner. «Dio è Dio – afferma – e l’essere umano è l’essere umano», e tale barriera non può essere oltrepassata: l’uomo non può cooperare! Ma se Dio si è fatto uomo in Gesù, prosegue Barth, questa vita allora è degna di essere vissuta. Barth e Brunner litigheranno tutta la vita e, ormai vecchi (siamo negli anni ’60 del ’900) ed entrambi in ospedale – con Brunner ormai più di là che di qua – Karl chiese alla moglie di Brunner di recapitargli un messaggio: «Gli dica che il “no” che a suo tempo ho ritenuto di dover pronunciare contro di lui, è da lungi superato dal grande “sì” che il nostro Dio rivolge a noi tutti». Brunner, in fondo – afferma il teologo evangelico Fulvio Ferrario – non voleva altro che un’approvazione dall’amico: ascoltato il messaggio infatti, sorrise, entrò in coma e morì.. Il “sì” di Dio è insomma il cuore dell’ultima fase della produzione barthiana. 

Tornando a Bultmann, qual è il suo approccio alla Bibbia?
Per lui, filologo di formazione, un gigante della teologia in quel periodo, il mondo del Nuovo Testamento, fatto di angeli e demoni, miracoli, esorcismi, ecc.. risente di una visione della realtà che non è più la nostra. Sosteneva che oggi occorre predicare ed evangelizzare in un mondo ormai demitizzato: «Non è possibile utilizzare la luce elettrica e, al tempo stesso, pensare al mondo come abitato da demoni». Il pastore svizzero reagisce nettamente a tale posizione, accusandolo di prendere le distanze dai miti del passato sottomettendosi però a quelli del mondo moderno. Barth era tra l’altro un vero fanatico di Mozart, e da discreto violinista vedeva il compositore austriaco come una parabola della bellezza e dell’amore di Dio.. il primo cattolico ad interessarsi di lui fu un altro svizzero e amante di Mozart: Hans Urs von Baalthasar. Dopo quest’ultimo di lui si interesserà un suo allievo, Hans Kung che, formatosi a Roma, scriverà il suo dottorato a Parigi proprio su Barth. Sarà quindi il futuro papa Benedetto XVI, al tempo giovane teologo, a scrivere a sua volta una recensione al libro di Kung. Dopo la fine del Concilio Vaticano II, Barth si farà tra l’altro invitare a Roma, dove incontrerà lo stesso Ratzinger, Karl Rahner e Paolo VI, col quale avrà un colloquio amichevole, tanto che il papa riconoscerà in lui uno dei maggiori teologi del ’900. L’ultimo Barth fu dunque un uomo dialogico, soprattutto con quel cattolicesimo romano che lo stimerà molto.

Della sua vita invece, cos’altro sappiamo?
Pur non essendo, come detto, un teologo “di serie A”, riceve dall’Università di Munster un dottorato ad honorem: primo riconoscimento di una lunga serie che gli permetterà di insegnare finalmente teologia dogmatica. Conscio tuttavia di dover colmare il suo gap, si butterà a capofitto nello studio. Raggiunta la fama, pur restando un “contadino” svizzero, riformato e socialista (prosegue scherzosamente Ferrario: «le ha tutte!»), comincia a far discutere, diventando un teologo col quale ormai bisogna confrontarsi. Scoppiata la guerra si adopererà per l’espatrio in Svizzera degli ebrei, pur senza mai vantarsene, la cosa si verrà infatti a sapere molto dopo. Oppostosi al Nazismo, uno dei pochi cristiani di vertice a farlo, fu però anche anti-anti-comunista, non condividendo ad esempio la scomunica del comunismo da parte cattolica. Ma forse ciò che fece maggiormente parlare di lui fu il menage a trois cui diede luogo.

Ovvero?
Ad un certo punto conobbe un’ammiratrice, Charlotte von Kirschbaum, un’infermiera con la quale nascerà dell’affetto, e questo nel momento in cui Barth ha 39 anni ed è già sposato con Nelly Hoffmann, con cui ha cinque figli. «Caro Karl – scrive Charlotte in una lettera del 27 febbraio 1926 – posso dirti soltanto una cosa, che forse non ho neppure il diritto di dire: semplicemente dallo scorso mercoledì, so di volerti bene.. ora è così, ed è difficile». I due si sono scritti e frequentati per oltre un anno, dopo di che un incontro li ha costretti ad ammettere che la loro non era un’amicizia solo intellettuale. Cosa fa Karl? Inizialmente pensa di comunicarlo alla moglie e di reprimere il nuovo amore, ma la vicenda, sempre alla luce del sole, durerà tuttavia anni. Decide allora che quello che non può essere vissuto affettivamente va trasferito sul piano intellettuale, ma come? Scrive Karl a Charlotte il giorno dopo la sua dichiarazione di intenti: «Vogliamo.. ammettere che fra noi si tratta dell’amore umano, che in altre circostanze ci avrebbe uniti come marito e moglie.. un’altra possibilità sarebbe quella di dirci addio.. ma anche questo sarebbe una forzatura, e non esattamente degno di noi.. Propongo dunque: esteriormente nessun cambiamento essenziale rispetto ad ora, assoluta attenzione a che la questione rimanga riservata tra Nelly, te e me..». Charlotte diventerà la segretaria di Karl, fino al verificarsi di quella che l’amico Edward Turnaisend definirà la “possibilità impossibile”, ovvero la convivenza fra i tre in altrettante stanze diverse. “L’amante”, per i figli di Barth diventerà “zia Lollo”, e quello strano e scandaloso nucleo familiare verrà chiamato comunità “per emergenza”. La gente, com’è facile immaginare, si farà beffa dei tre.

Come riuscirono a convivere in queste condizioni?
Se Charlotte, pur di stare accanto a quest’uomo straordinario, accetta la situazione, Nelly a stento sopporta il fatto che i due sarebbero più felici senza di lei.. E i figli? Solo Franzisca, la maggiore, pare avere gli strumenti per decifrare quanto sta accadendo. Nel 1933 Nelly si lascia scappare un “non ce la faccio più”, e Barth prende sul serio la dichiarazione: agguanta il divorzio, lui, teologo, uomo di Chiesa in lotta col Nazismo, per giunta negli anni ’30 del secolo scorso! Ma Nelly si tira indietro, e non vuole dare adito ad alcuno scandalo nei confronti della comunità. Nel frattempo Karl e Charlotte lavorano alla monumentale Dogmatica Ecclesiale, il tentativo di esposizione della dottrina cristiana in 9.000 pagine. 

Si è detto che Barth operò in clima nazista.. come ci riuscì?
Se oggi è chiaro e pacifico quanto l’ebraismo attraversi l’intero Nuovo Testamento – Gesù e i suoi, non scordiamolo, erano ebrei – , nel primo trentennio del ’900 non era affatto così, tanto che Hitler innerva il suo antisemitismo a partire da ciò, attecchendo in una storia che vuole un Gesù ariano che si contrappone “ai suoi”, farisei su tutti. Per il fuhrer l’Antico Testamento andava quindi sostituito con le mitologie nordiche. Il pensiero più ricorrente nei confronti del teologo svizzero, in questo clima, è che si rinchiuda nella sua torre d’avorio a fare teologia mentre “il mondo brucia”. Ma il punto è un altro, la Chiesa fa politica essendo Chiesa: “Gesù morto e risorto è l’asserzione politica più forte che esista”, sembra dire Barth. Cioè, egli aveva capito – sottolinea ancora una volta Ferrario – che il Nazismo si stava strutturando come religione alternativa, ragion per cui il miglior modo per fronteggiarlo era quello di riproporre con forza il messaggio evangelico: Gesù morto e risorto! E oggi, occorrerebbe chiedersi, come si pone la Chiesa all’interno della sfera politica? Tornando a quel periodo, le Chiese tedesche erano divise sulla posizione da prendere, che in ogni caso costerà del sangue versato, dato che Hitler rivendicava la totalità dell’esistenza umana (tedesca nella fattispecie), come Cristo, dunque l’aut aut si imponeva da sé. In una lettera del 1967 dirà: «Dietrich Bonhoeffer aveva visto quello che io allora non avevo visto, che cioè l’antisemitismo era il vero cuore del paganesimo nazista». Ma anche Barth fu messo sotto inchiesta: quando fu imposto di iniziare ogni lezione col saluto hitleriano, egli iniziò con un canto ecclesiastico. Licenziato, dovrà ritornare a Basilea, in quell’università che, seppur con incertezza, lo riaccoglierà. 

Cosa afferma, invece, nella sua monumentale Dogmatica Ecclesiale?
La Kirchliche Dogmatik consta di tredici tomi, che lo impegnarono dal 1932 alla morte. In essa si legge: «L’azione di Dio in Gesù Cristo, cioè la sovranità che esercita sulla sua creatura si chiama “il regno dei cieli”, mobilizzando, come fa, in primo luogo il mondo superiore, dal seno di tale mondo superiore Dio sceglie e invia i suoi messaggeri, gli angeli. Costoro precedono la rivelazione della volontà divina ed il suo compimento sulla terra, a guisa di testimoni autentici ed obiettivi, accompagnano questo avvenimento come servitori fedeli e fidati di Dio e dell’uomo. Sono infine le sentinelle, che vigilano efficacemente per contenere gli elementi e la potenza ostile del caos». In pieno XX secolo, fa notare ancora Fulvio Ferrario, un professore universitario osa parlare di angeli!? L’angelologia è infatti un tema stranissimo, tanto più nella teologia protestante, ma lui gli dedica decine e decine di pagine. Barth è convinto perfino di conoscere i loro gusti musicali: «quando sono davanti a Dio, ovviamente suonano Bach, per dovere d’ufficio, ma quando sono tra di loro suonano Mozart, e Dio, da dietro la porta, li ascolta con piacere». Spettacolo! 

Barth, come detto, era calvinista: come si pose circa il concetto di predestinazione?
Secondo questa tradizione, Dio, prima che il mondo fosse, lo ha già diviso in salvati e dannati. Idea che non si inventa il riformatore di Ginevra Giovanni Calvino, ma viene da sant’Agostino. Barth presenta dal canto suo una rivisitazione della predestinazione: la decisione di Dio, nei confronti dell’essere umano, è un “sì” senza alcuno “no”. Dio dice di sì all’uomo. Questo significa che tutti saranno salvati? «Io non lo voglio dire – afferma – , non sono in grado di rispondere.. non so se anche Hitler sarà salvato (!?), ma la salvezza può essere sperata». Ma soprattutto, perché i cristiani si preoccupano (o meglio si preoccupavano) così tanto dell’Inferno e, in particolare, si intristiscono se qualcuno non ci va? Il rischio è che siamo tutti il fratello maggiore della parabola del Padre misericordioso: invidiosi e tristi per la bontà di Dio. 

Dove e come terminò la sua vita?
L’ultima parte della sua esistenza sarà caratterizzata da diversi acciacchi fisici, ricoveri ospedalieri e dalla morte di alcuni amici, oltre che dalla malattia neurodegenerativa di Charlotte, ricoverata in una casa di assistenza: la visiterà tutte le domeniche e, quando lei non potrà più comprenderne la difficoltà dei discorsi, i due comunicheranno cantando la loro fede. La vecchiaia di Barth è insomma quella di un anziano conciliato. Charlotte saluterà questo mondo nel 1972 e verrà sepolta da Nelly – rispettosa del desiderio del marito – nella tomba di famiglia dei Barth, in cui troverà posto prima lei stessa e Karl dopo di lei, morendo a 82 anni nella sua Basilea, là dove era nato. Lo strano e scandaloso trio, che tanto fece discutere la gente – e in qualche modo anche la teologia – , si ricomporrà nel cimitero svizzero di Hörnli-Gottesacker, in attesa di quella risurrezione che, come ebbe a dire nella domenica di Pasqua del 1964 ai detenuti del carcere di Basilea: «fu interamente opera di Dio.. e come tale.. incomprensibile», qualcosa che non si può raccontare, ma solo testimoniare ed annunciare. 

«Grazie, Signore, per averci donato un cuore e una mente come quelli di Karl. Ricordaci ogni giorno che, come amava lui stesso ripetere, “se Dio è umano.. tutto ciò che è umano: sport, politica, musica, e ogni altro tuo dono, è bello e degno perché voluto da Te..”».  

 

Recita
Ausilia Bini, Cristian Messina

Musica di sottofondo
www.soundscrape.com

Scarica la nostra App su