Geremia 11,18-20 con il commento di Auro Panzetta



Dal libro del profeta Geremia
Ger 11,18-20 

Testo del brano
Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; mi ha fatto vedere i loro intrighi. E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me, e dicevano: «Abbattiamo l’albero nel suo pieno vigore, strappiamolo dalla terra dei viventi; nessuno ricordi più il suo nome». Signore degli eserciti, giusto giudice, che provi il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa.  

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
P.I.Tchaikovsky. The sick doll. G Major. Piano, Louis Sauter. Diritti Creative Commons. Musopen.org.

Meditazione
Auro Panzetta

Meditazione
Geremia, in questa sofferta confessione, ancora una volta sperimenta quanto sia doloroso camminare sulla strada che il Signore ha tracciato per lui. La scoperta  di essere, senza  motivo,   considerato un inciampo per  gli stessi abitanti  del suo paese natale, con cui ha vissuto fianco a fianco,  i quali vorrebbero addirittura   strapparlo   «dalla terra dei viventi; [perché] nessuno ricordi più il suo nome», lo getta nello sconforto di un’amara solitudine. Accorgersi che coloro da cui ti aspetti sostegno e cura  tramano insidie costituirebbe già una fonte di grande dolore, ma che questo accada perché si è scelto di percorrere la via del Signore sembra doppiamente sconsolante. Infatti  il tema del brano non  è tanto l’opposizione dei suoi conterranei,  piuttosto è la sua vocazione profetica a creare il  problema: quello che non si accetta è la parola  di Dio  che il profeta annuncia. Nello scorrere della storia  questo conflitto permane ed anzi si acuisce, come gli avvenimenti di cui siamo ogni giorno testimoni ci confermano. Il giudizio di Dio, le sue vie, sono così lontane dal cuore dell’uomo, che questi, pur di non sentirsi giudicato dal proprio peccato che quella parola gli ricorda, vorrebbe spegnere quella voce e dimenticare di essere ciò che è: creatura che ha bisogno di riconoscere una paternità. Esattamente quello che spesso anche noi proviamo di fronte alla verità che non vogliamo accettare, pur riconoscendone la fondamentale importanza. Troviamo allora mille scuse e giustificazioni per far tacere quella voce, deridendola magari, disprezzandola talora, negandole infine il diritto di parlare quando non appaia necessario addirittura sbarazzarsi di coloro che ne sono testimoni. Il profeta allora si rivolge a Dio implorando la sua giustizia. Si badi bene: non la vendetta chiede Geremia, ma l’intervento di Dio, a cui il profeta ha affidato la sua causa. Un ammonimento anche per noi, che spesso vorremmo fosse applicata una giustizia immediata, da parte di Dio, che però usi il nostro metro. Comunque ci colpisce profondamente nella vita del profeta l’incessante domanda che Geremia sembra rivolgere a Dio: “Perché mi hai fatto questo?” riferendosi alla vocazione   radicale a cui è stato chiamato, certo una condizione di vita non proprio tranquilla, vedendone le conseguenze. Ma Dio non sembra rispondere all’invocazione del profeta, almeno nel modo che egli vorrebbe. Una situazione che conosciamo bene: quante volte ci sembra che Dio non ascolti le nostre preghiere, che sia sordo alle nostre invocazioni e non veda le nostre angosce? Tuttavia la citazione biografica che il brano ci offre, richiama in parallelo l’esperienza della vita di Gesù: «E io come un agnello mansueto che viene portato al macello..». Dunque Dio non ha risparmiato a sé stesso le stesse umiliazioni, gli stessi inganni, i tradimenti, ed infine il supplizio della croce. La risposta di Dio alle domande degli uomini ha attraversato la morte per vincerla definitivamente. Una risposta inaspettata nei modi, straordinaria per i suoi effetti. All’esistenza anomala di Geremia, in cui la sua vocazione profetica lo pone come uomo, si aggiunge la costante sofferenza che essa gli procura e che spesso lo porta a contestare anche violentemente il Signore, nell’orizzonte peraltro di un’ostinata fedeltà. Geremia ci insegna che, nonostante tutto, solo all’interno della relazione con Dio possiamo trovare le risposte che cerchiamo, se osiamo guardare, senza scandalizzarci, al Suo disegno di salvezza, testimoniandone la certa riuscita con perseveranza, pazienza e letizia. Tempo fa in una famosa striscia Linus avvertiva Charlie Brown: “Da grande penso che farò il profeta”, “Dirò verità profonde, ma nessuno mi ascolterà”. “Se nessuno ti ascolterà, perché parlare?” “Noi profeti siamo molto ostinati”.

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