Geremia 2,1-3.7-8.12-13 con il commento di Auro Panzetta



Dal libro del profeta Geremia
Ger 2,1-3.7-8.12-13

Testo del brano
Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata. Israele era sacro al Signore, la primizia del suo raccolto; quanti osavano mangiarne, si rendevano colpevoli, la sventura si abbatteva su di loro. Oracolo del Signore. Io vi ho condotti in una terra che è un giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti, ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso una vergogna la mia eredità. Neppure i sacerdoti si domandarono: “Dov’è il Signore?”. Gli esperti nella legge non mi hanno conosciuto, i pastori si sono ribellati contro di me, i profeti hanno profetato in nome di Baal e hanno seguito idoli che non aiutano. O cieli, siatene esterrefatti, inorriditi e spaventati. Oracolo del Signore. Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua».

 

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
P.I.Tchaikovsky. The sick doll. G Major. Piano, Louis Sauter. Diritti Creative Commons. Musopen.org.

Meditazione
Auro Panzetta

Meditazione
Gli accenti di una trama amorosa infiammano le parole con cui il profeta sottolinea le mancanze dell’Eredità che Dio si è scelta. Il Signore è un innamorato geloso, acceso d’ira per le infedeltà di Israele e i suoi tradimenti, che manifesta la misura del suo amore ardente e ferito nel gridare «agli orecchi di Gerusalemme» tutti i favori fatti ad un popolo ingrato, che non ricorda la tenerezza con cui è stato amato. L’infedeltà, che costituisce una delle cifre distintive del libro del profeta Geremìa, è il motivo dell’amarezza con cui Dio lamenta le prostituzioni di un popolo che ha inseguito altri dei, dimenticando la custodia del proprio Dio. Ancora una volta la metafora amorosa illustra la passione con cui Egli manifesta la sua insistenza indomita nel curare l’educazione e nel correggere le storture di un  popolo generato con un cuore di madre. I doni del Signore e la sua provvidente sollecitudine, simboleggiati da una terra rigogliosa come un giardino, in cui è stato introdotto il popolo, sono divenuti ostacolo e impedimento per Israele, che ha dimenticato la mano che lo ha soccorso, credendo suo possesso ciò che era  frutto di una elezione e di una preferenza immeritata. Siamo anche noi richiamati a considerare le conseguenze di una falsa autonomia, quando crediamo di essere capaci di realizzare qualcosa da soli supponendo che la nostra libertà ci permetta una vera alterità rispetto a Dio. La consapevolezza, che non è facile da raggiungere, riguarda la dipendenza creaturale, che pensiamo limiti la nostra libertà, senza accorgerci che piuttosto la esalta. Ancora una volta, la pretesa di una relazione paritetica con Dio ignora la nostra originaria condizione di per-dono, che l’amore di Dio ha voluto. In Gesù si realizza l’umanità desiderata dal Padre, perché obbediente in tutto alla Sua volontà. L’esito di questa condizione é la pace con se stessi e con la realtà, il metodo è costituito dall’abbandono a questo Amore incondizionato, il prezzo è un combattimento spirituale costante, sostenuto dalla sua Grazia. La faticosa conquista di questa coscienza, opera della Grazia, caratterizza il cammino di santità. Occorre soprattutto fuggire dall’idea di essere privilegiati solo perché  si è  stati chiamati  ad appartenere alla famiglia di Dio, in modo che non ci capiti di essere giudicati così: «Neppure i sacerdoti si domandarono: “Dov’è il Signore?”. Gli esperti nella legge non mi hanno conosciuto, i pastori si sono ribellati contro di me, i profeti hanno profetato in nome di Baal e hanno seguito idoli che non aiutano». La vita di Geremìa diventa, allora, l’esempio speculare che Dio ha costituito come monito per i capi del popolo, i dottori della legge, i profeti di corte. L’elezione del profeta avviene contro ogni regola di buon senso umano, proviene da una famiglia sacerdotale in disgrazia e da un’area marginale del paese. Dio predilige ciò che nella gerarchia dei valori umani compare all’ultimo posto o è scartato. Egli  non chiede di aderire in primo luogo ad una legge o ad un sistema di regole comportamentali, sebbene pedagogicamente esse siano presenti. Ciò che commuove è l'amore che Dio mendica dalla sua creatura come un innamorato travolto dal dolore per l’ingratitudine di un popolo, che nonostante i richiami non considera la propria condizione: «O cieli, siatene esterrefatti, inorriditi e spaventati». 

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