Geremia 1,1.4-10 con il commento di Auro Panzetta



Dal libro del profeta Geremia
Ger 1,1.4-10

Testo del brano
Parole di Geremìa, figlio di Chelkìa, uno dei sacerdoti che risiedevano ad Anatòt, nel territorio di Beniamino. Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Risposi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare».

 

 

 

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
P.I.Tchaikovsky. The sick doll. G Major. Piano, Louis Sauter. Diritti Creative Commons. Musopen.org.

Meditazione
Auro Panzetta

Meditazione
Il pensoso Geremìa della cappella Sistina copre con la mano sinistra la bocca, che così è nascosta alla vista. L’allusione alla sua vocazione profetica è evidente. Diventare una voce della Voce: questo sarà il suo destino. La Voce che lo chiama  non tollera  resistenze: «Non dire: sono giovane».  Questa imperiosa  richiesta non  rispetta le paure e le incapacità umane. La vocazione  di Geremìa accade dentro una relazione esigente e misteriosa, le cui caratteristiche sono, come sempre, non convenzionali. Non meno esigente è la vocazione a cui Dio chiama ciascuno di noi. Scoprirla è il compito della nostra libertà. Alle nostre resistenze Dio non oppone la sua forza persuasiva come con  il profeta  biblico, più  spesso ci accompagna con  paterna sollecitudine. Non ce ne accorgiamo perché siamo distratti da un logica troppo umana, che pretende evidenze e chiede segni. I segni ci sono, ma si rivelano a chi vuol vedere con gli occhi di Dio. Certo per seguire la vocazione che Dio ha per noi  occorre una grande libertà, la libertà di chi accetta che la fantasia di Dio realizzi a volte in modo imprevedibile la nostra umanità. La perplessità di Geremìa e i suoi timori,  che saranno una costante della sua esperienza profetica,  nascono dall’orizzonte umano del suo sguardo. E’ questo il campo di battaglia  che ci vede coinvolti, i nostri progetti e le nostre vie non sono quasi mai le Sue vie. Allora dovremmo rassegnarci ad una volontà che trascura i nostri desideri, in fondo proprio ciò che avvertiamo di più umano, di più nostro? Dio stesso ci risponde, nel testo che abbiamo ascoltato: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato..». Non si può prescindere da questo Amore, che  ci precede perché ci conosce. Ovviamente la consacrazione del profeta fin dal grembo materno è figura della sua separazione dal mondo per una vocazione particolare, segno di un’appartenenza radicale a cui sarà chiamata l’umanità intera nell’ora del Salvatore. Dunque ci viene chiesto di riconoscere che siamo di un Altro perché solo se saremo di un Altro saremo veramente noi stessi. Ma in questa via, che può sembrare a tratti dura, impervia e solitaria, c’è la consolante presenza di Dio come una madre premurosa che protegge e consola: «Non temerli perché io sono con te per proteggerti». È propriamente alla sequela di Gesù che  impariamo a gustare questa tenerezza, che la sua umanità ci ha insegnato e che traspare dai suoi gesti e dal suo sguardo: la più concreta manifestazione dell’amore di Dio per noi.

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