Geremia 26,11-16.24 con il commento di Auro Panzetta



Dal libro del profeta Geremia
Ger 26,11-16.24

Testo del brano
In quei giorni, i sacerdoti e i profeti dissero ai capi e a tutto il popolo: «Una condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro questa città, come avete udito con i vostri orecchi!». Ma Geremìa rispose a tutti i capi e a tutto il popolo: «Il Signore mi ha mandato a profetizzare contro questo tempio e contro questa città le cose che avete ascoltato. Migliorate dunque la vostra condotta e le vostre azioni e ascoltate la voce del Signore, vostro Dio, e il Signore si pentirà del male che ha annunciato contro di voi. Quanto a me, eccomi in mano vostra, fate di me come vi sembra bene e giusto; ma sappiate bene che, se voi mi ucciderete, sarete responsabili del sangue innocente, voi e tutti gli abitanti di questa città, perché il Signore mi ha veramente inviato a voi per dire ai vostri orecchi tutte queste parole». I capi e tutto il popolo dissero ai sacerdoti e ai profeti: «Non ci deve essere condanna a morte per quest’uomo, perché ci ha parlato nel nome del Signore, nostro Dio». La mano di Achikàm, figlio di Safan, fu a favore di Geremìa, perché non lo consegnassero al popolo per metterlo a morte.

 

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
P.I.Tchaikovsky. The sick doll. G Major. Piano, Louis Sauter. Diritti Creative Commons. Musopen.org.

Meditazione
Auro Panzetta

 

Meditazione
Le parole di Dio che Geremìa ha pronunciato contro il Tempio e la città, forse uno degli scontri più accesi nei confronti dei sacerdoti e dei profeti legati al santuario di Gerusalemme, rimanda alla medesima situazione provocata dalla predicazione di Gesù contro la corrente farisaica e gli ambienti del Tempio. Indubbiamente in entrambi i casi la difficoltà di accogliere un annuncio così imprevedibile, ed apparentemente incomprensibile, non era del tutto irragionevole per il contesto storico e religioso dei due diversi episodi. Tuttavia occorre chiedersi perché accada di ridurlo alle proprie categorie di comprensione. La parola di Dio che si incarna nelle parole degli uomini ha sempre una prospettiva che ci supera e i cui contorni non possediamo mai interamente, talmente è vertiginosa e talora incredibile, oltre le logiche della ragione umana, che ama maggiormente ciò che conosce ed alla fine ciò che si può controllare e dominare. In genere i profeti dell’Antico Testamento annunciano tempi di sventura, quasi mai si fanno obbedienti ai desideri del cuore degli uomini. Anche per Geremìa è stato difficile accettare che la parola del Signore fosse talvolta così dura e aspra, fino a quando non si è lasciato vincere dalla forza di quella Voce e dalla speranza di una nuova alba dopo le tenebre dell’esilio. Ancora una volta  siamo posti di fronte ad un’apparente contraddizione tra i desideri di una pur comprensibile visione umana ed i progetti difficilmente accessibili di Dio. Ciò è accaduto anche a Gesù nella sua polemica verso la corrente farisaica, che lo accusava di contraddire le stesse promesse messianiche. Si rivela una volta di più il misterioso modo di agire di Dio, che non applica le gerarchie umane, ma manifesta il suo favore ai piccoli, a coloro che il mondo non guarda. Geremìa infatti non si arroga il diritto di parlare a nome di Dio, ma umilmente si pone al servizio del Signore come semplice strumento della Sua parola, e accetta le conseguenze di questa vocazione: «Quanto a me, eccomi in mano vostra, fate di me come vi sembra bene e giusto». Il profeta autentico è colui che non indietreggia di fronte alle contraddizioni e alle difficoltà causate dalla sua predicazione, ma umilmente proclama le parole di un Altro. Il profeta dunque è chiamato ad una libertà autentica, per non essere intrappolato in nessun tipo di legame che implichi una dipendenza. Geremìa è libero perché è del Signore. Questa parola diventa indicativa anche oggi: la libertà dei  cristiani è fonte di un’identità inalienabile che non può farsi influenzare da motivi politici, economici, religiosi o di interesse personale: questa è la libertà dei figli di Dio. In questa sua prima disputa con i sacerdoti ed i profeti legati agli ambienti del tempio, emerge la difficoltà di comprendere ciò che Dio chiede al suo popolo: convertire il cuore e piegarsi al giogo di una potenza straniera. Questa soluzione, che permetterebbe la sopravvivenza della nazione, è considerata inaccettabile e per certi aspetti contraria alla consapevolezza filiale di Israele: come può Dio abbandonare il suo popolo al dominio straniero? Sarebbe stato per chiunque difficile accettare l’assoluta novità della volontà di Dio, eppure quella parola che tarda a compiersi, inesorabilmente accadrà. In questa sua prima predicazione di fronte alle colonne del Tempio, Geremìa viene salvato imprevedibilmente dagli ambienti di corte, probabilmente legati alla precedente riforma del re Giosìa, di cui Geremìa era stato sostenitore. Il profeta è colui  che rappresenta la voce di un altro, ed in questo senso perdendosi si ritrova. Anche per noi sarà così: se sapremo abbandonarci nelle braccia di Dio riscopriremo la nostra vera identità.

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