Geremia 17,5-10 con il commento di Auro Panzetta



Dal libro del profeta Geremia
Ger 17,5-10 

Testo del brano
Così dice il Signore: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti. Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce! Chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per dare a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni».  

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
P.I.Tchaikovsky. The sick doll. G Major. Piano, Louis Sauter. Diritti Creative Commons. Musopen.org.

Meditazione
Auro Panzetta

Meditazione
Che in questa parola del profeta sia adombrata anche una critica al re e ai potenti della casa d’Israele o più in generale essa sia un ammonimento a tutto il popolo, poco importa: ciò che conta è il significato estremamente chiaro, anche per noi oggi, del brano. Il grande inganno di cui fin dall’origine il cuore dell’uomo diviene dimora è la persuasione di poter confidare in se stesso o in chi incarna il sogno illusorio di una salvezza solo umana. Soprattutto il nostro orizzonte culturale sembra avere percorso già da tempo questa strada, sottolineando le grandi capacità della ragione nel controllare ed usare le forze della natura piegandole ai propri scopi, non sempre pacifici. La negazione della relazione con Dio come sorgente unica delle grandi realizzazioni della civiltà umana è simile alla tentazione che la Torre di Babele ha simboleggiato: una pretesa di autonomia che nel furore delle proprie affermazioni ha creduto di opporsi a Dio stesso, addirittura combattendolo, per cancellarne la presenza tra gli uomini. La storia ha poi mostrato i terribili effetti che questa negazione ha prodotto: oltre alle macerie della carne una solitudine irreversibile in un orizzonte vuoto di speranza. L’efficace similitudine del profeta a questo riguardo si colloca in un paesaggio naturale che spesso nel libro viene usato per descrivere in termini morali le conseguenze delle scelte che compie il cuore dell’uomo. L’immagine del tamerisco nella steppa o quella della terra sterile perché impregnata di sale, sono efficaci parabole visive del destino di coloro che credono di poter fare a meno di Dio. D’altro canto, ci sembra quasi di avvertire la freschezza di quell’acqua che dona forza e vigore spirituale nell’immagine così viva dell’albero piantato lungo un corso d’acqua, che non teme né la calura né la siccità e non smette di produrre frutti. Tuttavia, proprio perché intrappolato dalla miopia che non permette di riconoscerlo, l’uomo «non vedrà venire il bene». La sconfitta dunque sembra certa e il cuore ingovernabile, perduto nel proprio orgoglio. Ma il Signore della vita, che scruta il cuore dell’uomo e ne conosce i pensieri più segreti, «per dare a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni», non smette di bussare alla sua porta, attende con infinita pazienza che uno spiraglio si faccia luce, per incrinare quella fiducia mal riposta, la consapevolezza irragionevole di bastare a se stessi. Nella fatica di accettare il proprio limite si fa strada una domanda che non si può rimandare: «da dove mi verrà l’aiuto?»; «Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia».

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