Geremia 14,7b-22 con il commento di Auro Panzetta



Dal libro del profeta Geremia
Ger 14, 17b-22

Testo del brano
Il Signore ha detto: «I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la vergine, figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere». Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpiti, senza più rimedio per noi? Aspettavamo la pace, ma non c’è alcun bene, il tempo della guarigione, ed ecco il terrore! Riconosciamo, Signore, la nostra infedeltà, la colpa dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te. Ma per il tuo nome non respingerci, non disonorare il trono della tua gloria. Ricòrdati! Non rompere la tua alleanza con noi. Fra gli idoli vani delle nazioni c’è qualcuno che può far piovere? Forse che i cieli da sé mandano rovesci? Non sei piuttosto tu, Signore, nostro Dio? In te noi speriamo, perché tu hai fatto tutto questo.

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
P.I.Tchaikovsky. The sick doll. G Major. Piano, Louis Sauter. Diritti Creative Commons. Musopen.org.

Meditazione
Auro Panzetta

Meditazione
Il dolore inconsolabile di Geremìa, colorato di accenti accorati e dolenti, è in qualche modo anche quello di Dio. Tuttavia la pena che si abbatterà sul popolo per le sue infedeltà è causa di una sofferenza che non pare ricevere risposta, nonostante l’appello alla misericordia del Signore. L’idea di un Dio che non ascolta l’invocazione del suo popolo, di un giudice che punisce, non appartiene al Dio che si rivelerà in Gesù. La punizione, comunque meritata, anche quando sembra sorda al richiamo del perdono, non deve ingannarci rispetto al misterioso disegno di un Padre che percorre vie diverse da quelle che la ragione umana pretenderebbe. La risposta ai dubbi di coloro che non comprendono un castigo così duro, di un Dio che non teme di abbandonare il proprio popolo all’esilio in terra straniera; che non protegge dalla devastazione Gerusalemme, da sempre promessa perché simbolo di un altro orizzonte; che sembra non ascoltare i tardi pentimenti e la struggente preghiera del profeta, si trova nel volto di un uomo coperto di piaghe, coronato di spine e crocifisso. Eppure quell’uomo era il Figlio di Dio. Il mistero del dolore, soprattutto innocente, è attraversato anche da Dio, il quale non si limita ad un messaggio morale, ma vuole vivere la condizione creaturale, per mostrarci quel varco che getta una luce nuova sul destino e sulla storia dell’uomo. Travolti dalle vicende talora incomprensibili e casuali della vita come è capitato negli ultimi tempi, ci si sente in balìa di un destino cieco, abbandonati alla mancanza di un senso, di una ragione sufficiente. Proprio chi crede avverte maggiormente il peso di questa prova: «Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpiti, senza più rimedio per noi? Aspettavamo la pace, ma non c’è alcun bene, il tempo della guarigione, ed ecco il terrore!». Se Dio è Padre, perché non soccorre i suoi figli e non sembra dare ascolto alle loro preghiere? Un Amore che ci abbracci e si chini sulle nostre miserie, lenisca il dolore delle nostre ferite, ci tolga  il peso delle nostre colpe, questo desideriamo, a questo aspiriamo, anche quando le vicende della nostra vita si complicano sempre di più, invece di  risolversi. Benché il passo in questione alluda ad un atto di giustizia comprensibile, ciò che ci colpisce è la scelta irrevocabile di Dio. Evidentemente a questa osservazione ne segue immediatamente un’altra, forse meno pertinente in relazione al brano appena letto, ma sicuramente decisiva: dov’è Dio quando la sofferenza ed il bisogno ne invocano l’aiuto? Perché? Ecco il grande interrogativo. Il mistero del dolore non si scioglie attraverso i ragionamenti e le spiegazioni umani. Ma nella vicenda terrena dell’Emmanuele sono illuminanti le parole rivolte al Padre nella notte oscura del tradimento: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Non ci viene offerta una spiegazione, piuttosto siamo chiamati a contemplare il mistero di una Presenza che si è fatta  dolore,  lo ha attraversato e guarito in quel giorno di Pasqua. Questo straordinario avvenimento chiede una testimonianza, talora eroica, che solo la Grazia può sorreggere. Una fedeltà che ha un’unica ragione evidente: «Da chi andremo, Tu solo hai parole di vita eterna». Ecco perché il profeta scioglie nella preghiera d’invocazione all’onnipotenza di Dio un’ultima attestazione di fede e di speranza: «Non rompere la tua alleanza con noi. Fra gli idoli vani delle nazioni c’è qualcuno che può far piovere? Forse che i cieli da sé mandano rovesci? Non sei piuttosto tu, Signore, nostro Dio? In te noi speriamo, perché tu hai fatto tutto questo».

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