Geremia 7,23-28 con il commento di Auro Panzetta



Dal Libro del profeta Geremia
Ger 7,23-28 

Testo del brano
Così dice il Signore: «Questo ordinai loro: “Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”. Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio alla mia parola; anzi, procedettero ostinatamente secondo il loro cuore malvagio e, invece di rivolgersi verso di me, mi hanno voltato le spalle. Da quando i vostri padri sono usciti dall’Egitto fino ad oggi, io vi ho inviato con assidua premura tutti i miei servi, i profeti; ma non mi hanno ascoltato né prestato orecchio, anzi hanno reso dura la loro cervìce, divenendo peggiori dei loro padri. Dirai loro tutte queste cose, ma non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno. Allora dirai loro: Questa è la nazione che non ascolta la voce del Signore, suo Dio, né accetta la correzione. La fedeltà è sparita, è stata bandita dalla loro bocca».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
P.I.Tchaikovsky. The sick doll. G Major. Piano, Louis Sauter. Diritti Creative Commons. Musopen.org.

Meditazione
Auro Panzetta

Meditazione
Negli oracoli pronunciati dal profeta contro un certo modo di concepire il culto del Tempio si colloca il nostro brano che, riproponendo le parole rivolte da Dio a Mosè, pone l’accento sul moto del cuore e sull’obbedienza ai comandi del Signore, in contrapposizione al valore dei sacrifici e degli olocausti. In fondo, un richiamo che oggi potremmo tradurre così: un certo formalismo preoccupato più dell’apparenza che della sostanza nuoce alla vera fede. Questo non vuol certo dire che alla sostanza non convenga pure una forma opportuna, semplicemente è facile scadere in un conformismo rituale che progressivamente si sovrappone alla fede autentica e ne fa dimenticare la forza vitale, facendo smarrire la capacità di custodire la fedeltà promessa attraverso la custodia della voce di Dio. «La voce di Dio è sottile, quasi inavvertibile, è appena un ronzio». «(però) Se ci si abitua, si riesce a sentirla dappertutto». In questa affermazione di Clemente Rebora è contenuta la chiave per porsi all’ascolto della Parola di Dio, che è garanzia di felicità per l’uomo, cioè di superamento del limite ultimo della natura umana, che comporta la conquista di una vita senza tempo. Una felicità di cui Dio indica le coordinate: «camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici». Peraltro una parola oggi poco frequentata, perché non la si crede realmente possibile. Semmai si spera in alcuni momenti di serenità nel corso della propria vita, ma niente di più, perché il termine si riferisce ad una condizione permanente dell’esistenza piuttosto che ad una sequenza di piacevoli eccezioni. La felicità quindi non può che essere definitiva per essere vera. Ecco perché Dio solo può esserne l’autore, ma la condizione richiesta è un legame fedele tra l’uomo e la sua origine, un Padre prodigo di doni che corregge, certo, ma in vista di un bene più grande. Tuttavia Israele in questa dialettica della relazione con Dio sceglie ciò che è male agli occhi del Signore. Si manifesta ancora una volta il dramma di una libertà ferita che sceglie di allontanarsi dalla tenerezza materna del Padre nel tentativo vano di affermarsi contro Dio stesso, in un crescendo di orgoglio e presunzione. E qui, come in altre occasioni, il destino di Geremia si compie nel modo più doloroso: «Dirai loro tutte queste cose, ma non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno». Tutto il testo del profeta che la liturgia del giorno ci propone è tramato dal tema dell’ascolto di una Voce. Una Voce che la nostra coscienza spesso cerca di tacitare, giustificandosi in molti modi per non sentirsi condannare dal proprio peccato. Ma quella Voce sottile insiste in altri mille modi, cerca di penetrare la dura scorza del nostro cuore indurito, fino a far breccia tra la nostra indifferenza e una lontana nostalgia di gioia: «Dall’immagine tesa vigilo l’istante con imminenza di attesa e non aspetto nessuno: nell’ombra accesa spio il campanello (…) e non aspetto nessuno: fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto non aspetto nessuno. Ma deve venire, verrà, se resisto a sbocciare non visto, verrà d’improvviso, quando meno l’avverto.. verrà a farmi certo del suo e mio tesoro, verrà come ristoro delle mie e sue pene, verrà, forse già viene il suo bisbiglio». 

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