1Corinzi 11,17-26.33 con il commento di Edoardo Bianchini



Dalla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi
1Cor 11,17-26.33 

Testo del brano
Fratelli, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri.

 

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Aaron Kenny. Beneath the Moonlight. Diritti Creative Commons

Meditazione
Edoardo Bianchini. Recita Nicolò Bianchini

Meditazione
In questo brano della lettera di Paolo alla comunità di Corinto impressiona profondamente quanto simili siano, i problemi di relazione tra le persone della comunità di allora, con quelli odierni. Eppure son passati due millenni. Già allora le differenze di censo provocavano dissidi e incomprensioni. La confusione tra Agape (la cena comune) ed Eucaristia (la cena del Signore) creava come una cortina fumogena che impediva ai fedeli di penetrare nel Mistero della Fede. Oggi come allora ci mostriamo ugualmente incapaci di partecipare alla Cena del Signore spogliati di quanto ci divide. Eppure Paolo annota come l’insorgere di tali divisioni sia non solo naturale e comprensibile, ma addirittura necessario; necessario a che tra i fedeli vengano a manifestarsi coloro «che hanno superato la prova». Questo passo fa echeggiare in me le parole tra le più dure che Gesù abbia pronunciato. Parole che evocano la spada, la separazione all’interno della stessa famiglia. E’ questa la fede che ci viene richiesta? Una fede che immediatamente venga a separarci dagli altri? Addirittura da chi siede alla nostra stessa mensa? Forse perché si tratta di una fede che non accetta compromessi, fondata sull’accettazione di quanto nessuna mente umana può essere in grado di concepire: l’uccisione del Figlio di Dio a seguito del tradimento di un suo discepolo affinché da tale evento, inconcepibile, scaturisse la salvezza dal peccato. «Nella notte in cui veniva tradito», dice Paolo, e questa formula viene ripresa nella terza preghiera Eucaristica. In questo passo della lettera ai Corinzi san Paolo ci costringe a spalancare gli occhi sul sublime smarrimento di fronte al Mistero della fede perché «ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». E non posso davvero fare a meno di pensare che Paolo scrive di eventi accaduti forse vent’anni prima; che Gesù con un po’ più di accortezza da parte dei suoi discepoli e del “movimento” che lo seguiva avrebbe potuto essere ancora vivo e cenare con loro. E che ciò rende ancora più sconvolgente il senso di necessità che la sua morte e resurrezione riveste nell’economia del mistero della nostra fede. Non il fato cinico e baro. Non il determinismo meccanicistico della storia. Bensì che si compia ciò che è necessario affinché l’umanità possa venire liberata dal male del peccato. E nello spaventoso abisso che Paolo ci fa intravedere è consolante la sua esortazione finale, con la quale le divisioni necessarie vengono in qualche modo mitigate: «Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri».

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