1Corinzi 10,14-22 con il commento di Edoardo Bianchini



Dalla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi
1Cor 10,14-22 

Testo del brano
Miei cari, state lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane. Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui?

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri

Meditazione
Edoardo Bianchini. Recita Nicolò Bianchini

Meditazione
Phronimois, il termine che è usato in greco e tradotto con “intelligenti”, non ci aiuta nella comprensione del brano, a meno che non si entri profondamente nel significato di questa parola che è propriamente intus-legere, “leggere dentro”. Se non accettiamo il fatto che Paolo sta esortando i Corinzi ad essere persone assennate (phronimois), prudenti (come dice la Vulgata), potremmo pensare che quanto lui scrive sia una mancanza di delicatezza verso quella comunità. Questo non significa che l’Apostolo, come già abbiamo avuto modo di vedere, non sia avvezzo a “strigliare” i destinatari delle sue lettere, ma l’oggetto dello scritto è talmente complesso e importante che san Paolo deve avere per forza usato quel termine per richiamare ad una attenzione spropositata i suoi uditori. Sta inoltre per introdurre una serie di tematiche, che vedremo nei prossimi capitoli, che hanno dato origine ad alcune delle pagine più famose dell’intera Bibbia. Occorre forse tenere a mente come orizzonte interpretativo di questo brano tutta la tematica affrontata nel capitolo 15 degli Atti degli Apostoli, dove Paolo “dissente e discute animatamente” con la nuova Chiesa di Gerusalemme e con Pietro a capo di essa, circa la libertà dei convertiti rispetto alle regole dei cristiani ebrei. E’ un tema caro a san Paolo tanto che, come tutti ben sappiamo oggi, non solo “portò brillantemente a casa il risultato”, ma si prese una piccola rivincita sull’ostruzionismo di una certa Chiesa formale e ierocentrica del tempo (cfr. At 15,39-40). Tale posizione intransigente però Paolo l’adotta anche con le chiese da lui convertite. Egli non si preoccupa di essere accondiscendente: è talmente preso dalla sua missione che non ha un doppio linguaggio. Egli comprende che, come in questo caso, sono a rischio le verità profonde e sacramentali della ripresentazione della cena eucaristica. Aggiungerei liturgiche. Consumare la carne degli idoli non è come accostarsi al pane eucaristico. In realtà la promiscuità di queste situazioni, in un crocevia di culture come era la città di Corinto, potevano essere frequenti. Paolo si sta preoccupando di due elementi dei quali uno, a mio parere e per le righe ad esso dedicato, pare stargli più a cuore. Certo, la deriva verso l’idolatria necessita di un suo richiamo. E non se ne dimentica. Ma che i segni eucaristici, quali il pane e il vino, siano altro rispetto alla carne dei sacrifici, egli ci tiene oltremodo a custodirlo. Non limita neanche la pesantezza del linguaggio indicando come demoniaca la consumazione di sacrifici che non siano offerti a Dio.. e l’unico sacrificio gradito che egli accetta è quello del Figlio. La bellezza della semplicità dei segni eucaristici è da riscoprire per la comunione delle nostre comunità. Preghiamo nelle nostre liturgie? Il linguaggio non è facile a volte, ma rimaneggiarlo a nostro usum et abusum, piegarlo alle nostre inventive, risponde alle nostre necessità cognitive. Pensiamo che la preghiera delle nostre liturgie passi prima attraverso le nostre intelligenze, piuttosto che essere la celebrazione celeste ripresentata sui nostri altari. Ma allora, a cosa crediamo!?

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